Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24816 del 05/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 24816 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 12328-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n.
12, è elettivamente domiciliato per legge;

– ricorrente contro
CASTELLUCCIO MASSIMILIANO ANTONIO

-intimato avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato il 30 marzo 2011;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/12/2012 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

Sentito il Procuratore Generale in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

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Data pubblicazione: 05/11/2013

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 30 marzo 2011, in accoglimento
del ricorso proposto da Massimiliano Antonio Castelluccio, ha condannato il Ministero
della Giustizia al pagamento, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale da
irragionevole durata del processo, della somma di euro 15000 in favore dello stesso.

rilevato che il giudizio presupposto, iniziato con atto di citazione del 18 aprile 1990
innanzi al Tribunale di Benevento, è stato definito con sentenza depositata in data 7n
giugno 2007. La Corte capitolina ha stimato la protrazione del giudizio oltre il termine di
durata ragionevole pari a quindici anni ed ha determinato il danno non patrimoniale
subito dal ricorrente nella misura di euro 1000 per ogni anno di ritardo.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Ministero della Giustizia sulla base di sette
motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza.
Con i primi quattro motivi si contesta sostanzialmente la configurazione operata dalla
Corte di merito del diritto all’equa riparazione da durata irragionevole del processo come
una fattispecie unitaria in relazione alla quale la previsione di un termine semestrale
decadenziale ex art. 4 della legge n. 89 del 2001 assorbirebbe ogni termine prescrizionale,
laddove detto diritto matura, secondo il ricorrente, Itratturg progressivamente via via che
il ritardo non ragionevole trovi verificazione nello svolgimento del procedimento
presupposto, versandosi, pertanto, in tema di fattispecie a formazione progressiva. Si
rileva, altresì, nel ricorso il carattere non innovativo a livello ordinamentale della legge n.
89 del 2001 in relazione alla preesistenza del diritto rispetto alla legge medesima, stante la
norma di recepimento interna di cui alla legge n. 848 del 1955, con la conseguenza che il
diritto di cui si tratta ben poteva essere fatto valere dall’attuale ricorrente fin dal
momento in cui fu superato il termine ragionevole di durata del processo presupposto:
donde l’applicabilità della disciplina relativa alla prescrizione estintiva decennale alle

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La Corte di merito, rigettata la eccezione di prescrizione del diritto all’indennizzo, ha

azioni riparatorie relative ai processi in corso alla data di entrata in vigore della legge n.
89 del 2001.
I quattro motivi, da esaminare congiuntamente siccome strettamente connessi, sono
immeritevoli di accoglimento.
Come chiarito dalle Sezioni Unite, in tema di equa riparazione per violazione del termine

giudiziale per ottenere l’equo indennizzo a ristoro dei danni subiti a causa
dell’irragionevole durata del processo, contenuta nell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n.
89, con riferimento al mancato esercizio di essa nel termine di sei mesi dal passaggio in
giudicato della decisione che ha definito il procedimento presupposto, esclude la
decorrenza dell’ordinario termine di prescrizione, in tal senso deponendo non solo la
lettera dell’art. 4 richiamato, norma che ha evidente natura di legge speciale, ma anche
una lettura dell’art. 2967 cod. civ. coerente con la rubrica dell’art. 2964 cod. civ., che
postula la decorrenza del termine di prescrizione solo allorché il compimento dell’atto o
il riconoscimento del diritto disponibile abbia impedito il maturarsi della decadenza;
inoltre, in tal senso depone, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se
riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di
maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del
processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonché il
frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che
l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo
ultradecennale nella definizione del processo (Cass., S.U., sent. n. 16783 del 2012.; conf.:
Cass., 16557 e 17277 del 2013).
Con il quinto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001 nonché omessa e/o insufficiente motivazione in relazione alla
determinazione del termine di durata ragionevole in tre anni, pur in presenza del rilievo
della stessa Corte in ordine alla complessità del caso ed ai rinvii a richiesta di parte. Il
motivo è privo di fondamento.
La Corte di merito, infatti, ha congruamente motivato il proprio convincimento secondo
il quale il processo presupposto si sarebbe potuto decidere in tre anni ancorchè
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di ragionevole durata del processo, la previsione della sola decadenza dall’azione

obiettivamente complesso, pur decurtando i rinvii dovuti a richieste delle parti, rilevando
che il comportamento di queste ultime, che si erano avvalse di prerogative difensive loro
riconogrinte dall’ordinamento, non poteva considerarsi determinante per il protrarsi del
procedimento.
Con il sesto motivo si denuncia la motivazione omessa e/o insufficiente in relazione al

Corte di merito, che, da un lato, ha valutato in tre anni la durata ragionevole del processo
presupposto, mentre, dall’altro, ha valutato in quindici anni anziché in quattordici la
durata del procedimento, protrattosi per diciassette anni, eccedente il termine di tre.
Errata sarebbe comunque la valutazione della ragionevolezza della durata triennale di
detto processo, in presenza di fattori di complessità ben superiore alla media, quali
l’oggetto del giudizio (azione di responsabilità promossa dalla gestione liquidatoria della
Cassa Rurale ed Artigiana di Ceppaloni scarl per circa tre miliardi di lire); la istanza di
sequestro presentata in fintine litis con relativo rigetto, a scioglimento di separata riserva;
la pluralità di parti; il procedimento incidentale di astensione da parte del magistrato
incaricato; la stipula di una serie di atti transattivi tra l’attrice ed una parte dei convenuti,
con richiesta del ricorrente, all’udienza del 13 maggio 2002, di estensione dei relativi
effetti alla propria posizione, sicchè prima di tale data il ricorrente medesimo non
avrebbe avuto interesse ad una definizione anticipata del procedimento; i successivi rinvii
per la ricostruzione del fascicolo di parte del ricorrente andato smarrito.
Il motivo, infondato, per le ragioni esposte con riferimento all’esame della precedente
doglianza, quanto alla ritenuta ragionevolezza di una durata triennale del processo
presupposto, risulta, invece, fondato nella parte relativa alla denuncia dell’errore di
calcolo commesso dalla Corte di merito.
Invero, una volta che la Corte capitolina ha valutato in tre anni la durata ragionevole di
detto processo, che si è protratto dal 18 aprile 1990 al 7 giugno 2007, il periodo
eccedente la ragionevolezza va computato in quattordici anni e due mesi, anziché in

quindici, come ritenuto nel decreto impugnato.
Con il settimo motivo, proposto in via subordinata, si deduce omessa e/o insufficiente
motivazione sulle ragioni per le quali, pur in presenza di un procedimento di complessità
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quantum della liquidazione. Si rileva anzitutto un errore di computo commesso dalla

superiore alla media e del comportamento delle parti, sia stato liquidato l’indennizzo
parametrato sulla base di mille euro per anno di durata non ragionevole del processo,
anziché di settecentocinquanta per i primi tre anni di ritardo, come indicato dalla
giurisprudenza nelle ipotesi di non peculiare rilevanza della posta in giuoco.
Il motivo è infondato.

violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo
2001, n. 89, l’ambito della valutazione affidato al giudice del merito è segnato dal rispetto
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come applicata dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo, e di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale; pertanto,
è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri
elaborati dalla CEDU, pur conservando un margine di valutazione che gli consente di
discostarsi, in misura ragionevole e motivatamente, dalle liquidazioni effettuate in casi
simili da quella Corte, che ha, in linea di massima, determinato in una somma oscillante
tra euro 1000,00 e euro 1.500,00 per ogni anno di eccessiva durata l’importo relativo alla
riparazione del danno (v., tra le altre, Cass., sent. n. 1605 del 2007).
Questa Corte ha poi precisato che la quantificazione del danno non patrimoniale
dev’essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai
primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1000 per quelli
successivi (v., tra le altre, Cass., sent. n. 8471 del 2012).
Nella specie, il giudice di merito non si è discostato, nell’esercizio della sua valutazione
discrezionale, da tale orientamento.
Conclusivamente, deve essere accolto per quanto di ragione il sesto motivo del ricorso,
rigettati gli altri. Il decreto impugnato deve essere cassato in parte qua e, non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere la causa nel merito,
riducendo da euro 15000 ad euro 14166,60 l’importo dovuto al Castelluccio a titolo di
equa riparazione, confermando nel resto l’impugnato decreto. Le spese del presente
giudizio, stante la parziale soccombenza del Ministero ricorrente, vengono compensate
tra le parti.
P.Q.M.
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Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla

La Corte accoglie per quanto di ragione il sesto motivo del ricorso, rigetta gli altri. Cassa
in parte qua il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, riduce ad euro 14166,60
l’importo dovuto all’intimato. Conferma nel resto il decreto impugnato. Compensa tra le
parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, Sottosezione

Seconda, il 4 dicembre 2012.

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