Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24815 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. I, 06/11/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 06/11/2020), n.24815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7841/2019 proposto da:

M.A.H.A., elettivamente domiciliato in Velletri

(RM), presso Agenzia Diantha Servizi di V.Q., e

rappresentato e difeso dall’avvocato Valentina Maria Elisabetta

Vitale, in forza di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 502/2019 della Corte d’appello di MILANO,

depositata il 5/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8/10/2020 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 502/2019, depositata in data 5/2/2019, ha respinto il gravame di M.A.H.A., cittadino del (OMISSIS), avverso decreto del Tribunale che aveva rigettato la richiesta dello stesso, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici d’appello hanno ritenuto, al pari del giudice di primo grado, il racconto del richiedente (essere fuggito dal Paese d’origine, per ragioni di indigenza economica, in mancanza di lavoro, e per ragioni politiche) non credibile, quanto alle motivazioni politiche della fuga dal Paese d’origine, non dedotte tempestivamente, e comunque non integrante i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, non avendo il richiedente dato prova di essersi rivolto alle Autorità locali senza esito e non potendo la concessione di tale misura protettiva essere giustificata dalla situazione generale del Paese d’origine, non emergendo ivi, come correttamente affermato dal Ministero, una situazione di violenza indiscriminata; non ricorrevano neppure i presupposti per la concessione della protezione umanitaria, non essendo neppure certa la presenza in Italia del richiedente, non essendo il medesimo comparso all’udienza tenutasi nel 2018, ed in difetto di situazioni di personale vulnerabilità e di un percorso di integrazione avviato in Italia.

Avverso la suddetta pronuncia, M.A.H.A. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine al diniego di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, avendo la Corte d’appello rilevato che non vi era prova di atti persecutori o del pericolo di un danno grave, non essendosi il richiedente rivolto alle autorità locali per difendere la propria posizione di simpatizzante del partito di minoranza, pur avendo, invece, lo stesso dedotto che, dopo le gravi minacce subite dal padre, simpatizzante del partito di minoranza, per non avere aderito alle pressioni per entrare nel partito al potere, era stata fatta denuncia, senza esito; b) con il secondo motivo, la “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”, per carente o inesistente motivazione sul diniego di protezione per gravi ragioni umanitarie, allegate in atto di appello (situazione di instabilità del Paese d’origine, a causa di gravi attentati di matrice islamica, e condizione personale del richiedente di assoluta povertà ed indigenza); c) con il terzo motivo, la “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”, per manifesta illogicità ed insufficienza della motivazione, sempre in relazione al diniego di protezione umanitaria, avendo la Corte distrettuale dato rilievo alla mancata comparizione del richiedente all’udienza di precisazione delle conclusioni (essendo il medesimo invece comparso alla prima udienza in appello) e non avendo ritenuto provato il rapporto lavorativo avviato in Italia.

2. La prima censura è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi, avendo la Corte d’appello, al pari del giudice di primo grado, in primis ritenuto non credibile il racconto del richiedente (quanto alle persecuzioni per asserite ragioni politiche) sia perchè la motivazione della fuga dal Paese d’origine era stata modificata, in sede di audizione giudiziaria, rispetto a quella originaria, resa in sede amministrativa e di ricorso, ove si era fatto esclusivo riferimento a ragioni economiche, sia per lacune e contraddizioni intrinseche. Solo ad integrazione, come ulteriore ratio, la Corte di merito ha ritenuto che non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, non avendo il richiedente dato prova di un’effettiva ragione persecutoria per motivi politici, in difetto di dimostrazione del ricorso, senza esito, alle Autorità locali.

3. Le ulteriori due censure, implicanti vizio motivazionale in relazione al diniego di protezione umanitaria, sono del pari inammissibili, in quanto la Corte d’appello, confermando il giudizio del Tribunale, ha ritenuto che non emergessero situazioni di vulnerabilità del richiedente, per ragioni sia oggettive, in correlazione alla situazione geo-politica dell’area di provenienza, sia soggettive personali, per ragioni salute, età, condizioni personali e famigliari, e che non fosse stato neppure documentato il processo di integrazione in Italia, non essendo nemmeno certa la presenza sul territorio dello straniero non comparsi all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Ora, il ricorrente, parcellizzando, oltretutto, la complessiva valutazione espressa dalla Corte di merito, si limita a contestare tale valutazione dei fatti, ritenendo che le ragioni addotte dell’allontanamento dal Paese d’origine avrebbero dovuto condurre ad una valutazione positiva della richiesta di protezione.

3. Per tutto quanto sopra esposto va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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