Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24814 del 05/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 24814 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 10636-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n.
12, è elettivamente domiciliato per legge;

– ricorrente contro
SPANO’ GIULIO, VADALA’ ANTONIO, ROMEO LUIGI, DE STEFANO
MASSIMILIANO in qualità di erede di DE STEFANO FRANCESCO, BILARDI
FORTUNATO in qualità di erede di BILARDI GIOVANNI, MAFRICA
FRANCESCO, BARRECA FILIPPO, BARRECA PASQUALE e LATELLA
ANGIOLA in qualità di eredi di BARRECA GIUSEPPE;

– intimati avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro, depositato 11 20 ottobre 2011;

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Data pubblicazione: 05/11/2013

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/12/2012 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

Sentito il Procuratore Generale in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

accoglimento dei ricorsi proposti dagli attuali intimati, rigettata la eccezione, sollevata dal
Ministero della Giustizia resistente, di prescrizione del diritto all’equa riparazione per
irragionevole durata del giudizio instaurato dagli attuali intimati o dai loro danti causa
innanzi al Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del lavoro, in data 14
dicembre 1990, giudizio concluso con sentenza del 10 luglio 2002, impugnata e
confermata con sentenza del 18 aprile 2008, ha condannato detto Ministero al
pagamento di somme in favore dei ricorrenti ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001
in relazione al danno non patrimoniale subito per le eccessiva durata del richiamato
procedimento.
La Corte di merito ha ritenuto che, sottratti i sette anni di durata ragionevole, tenuto
conto della complessità del processo, risultava indennizzabile il residuo periodo di dieci
anni. Quanto alla posizione dei ricorrenti che avevano richiesto la liquidazione
dell’indennizzo iure hereditatis, la Corte ha precisato che doveva essere preso in
considerazione esclusivamente il periodo di durata del giudizio presupposto fino alla data
del decesso del de cuius.
Per la cassazione di tale decreto ricorre il Ministero della Giustizia sulla base di un unico
motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza.
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 2934, 2935 e 1173 cod.civ.
per avere la Corte di merito respinto la eccezione di prescrizione spiegata dalla difesa
erariale. Si rileva che anche il diritto all’equa riparazione, come ogni altro diritto, si
estingue per prescrizione, che può cominciare a decorrere anche durante la pendenza del
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La Corte d’appello di Catanzaro, con decreto depositato il 20 ottobre 2011, in

processo, dal momento in cui è stato superato il termine ragionevole di durata
prospettabile, ed anche prima della entrata in vigore della legge n. 89 del 2001, in quanto
la CEDU prevede uno strumento di tutela (sussidiario) che, prima della introduzione
della legge Pinto, rendeva quel diritto direttamente azionabile davanti agli organi istituiti
dalla stessa Convenzione da parte del soggetto che avesse subito danni dalla sua lesione.

prescrizionale dal fatto che la legge n. 89 del 2001 abbia esplicitamente previsto solo la
decadenza dalla domanda entro il breve termine di sei mesi dal momento in cui la
decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva, in quanto
prescrizione e decadenza hanno presupposti e scopi diversi.
La censura è priva di fondamento.
Come chiarito dalle Sezioni Unite, in tema di equa riparazione per violazione del termine
di ragionevole durata del processo, la previsione della sola decadenza dall’azione
giudiziale per ottenere l’equo indennizzo a ristoro dei danni subiti a causa
dell’irragionevole durata del processo, contenuta nell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n.
89, con riferimento al mancato esercizio di essa nel termine di sei mesi dal passaggio in
giudicato della decisione che ha definito il procedimento presupposto, esclude la
decorrenza dell’ordinario termine di prescrizione, in tal senso deponendo non solo la
lettera dell’art. 4 richiamato, norma che ha evidente natura di legge speciale, ma anche
una lettura dell’art. 2967 cod. dv. coerente con la rubrica dell’art. 2964 cod. civ., che
postula la decorrenza del termine di prescrizione solo allorché il compimento dell’atto o
il riconoscimento del diritto disponibile abbia impedito il maturarsi della decadenza;
inoltre, in tal senso depone, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se
riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di
maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del
processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonché il
frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che
l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo
ultradecennale nella definizione del processo (Cass., S.U., sent. n. 16783 del 2012.; conf.:
Cass., 16557 e 17277 del 2013).
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Né si potrebbe desumere alcun valido argomento contrario alla operatività del termine

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese del
presente giudizio, non avendo gli intimati svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, Sottosezione

Seconda, il 4 dicembre 2012.

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