Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24813 del 15/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 15/09/2021), n.24813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37459-2019 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA D’ARACOELI

1, presso lo studio dell’avvocato MAISTO GUGLIELMO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati LOVOTTI MASSIMILIANO,

CERRATO MARCO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 76/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELL’UMBRIA, depositata il 02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CATALDI

MICHELE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. M.S. ha impugnato dinnanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Perugia il diniego opposto dalli Agenzia delle Entrate alla sua richiesta di restituzione di quanto versato, all’esito di controllo formale della dichiarazione dei redditi Modello Unico 2008, relativa all’anno d’imposta 2007, con il quale l’ufficio aveva rilevato che non spettava allo stesso contribuente l’effettuata detrazione pro quota delle spese di ristrutturazione sostenute dall’Azienda Agricola Sant’Anna s.s., relativamente ad immobili residenziali di proprietà di quest’ultima, della quale egli era socio, possedendone una quota di partecipazione pari al 19h.

L’adita CTP ha respinto il ricorso ed il contribuente ha allora proposto appello, avverso la sentenza di primo grado, dinnanzi alla Commissione Tributaria regionale dell’Umbria che, con la sentenza n. 76/02/2019, depositata il 2 maggio 2019, lo ha rigettato, confermando la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandolo a due motivi.

L’Ufficio si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 9; del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 43 e dell’art. 2195 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Assume infatti il ricorrente che il giudice a quo -così come l’Amministrazione ed il giudice di primo grado- avrebbe errato nel ritenere che il diritto alla detrazione delle spese sostenute per la ristrutturazione degli immobili di proprietà della società, della quale egli è socio, non sarebbe riconosciuto dalle norme citate, poiché tali immobili costituirebbero beni strumentali, nonostante tale qualificazione debba essere esclusa per la natura non commerciale della medesima compagine, società semplice che svolgeva attività agricola, oltre che per la circostanza che gli stessi immobili non fossero accatastati come fabbricati rurali, ma al catasto edilizio urbano, e neppure fossero destinati allo svolgimento dell’attività agricola sociale, essendo invece concessi in locazione, come espressamente previsto nell’oggetto sociale della predetta compagine.

2.Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-ter e art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo ritenuto che il controllo formale della dichiarazione dei redditi Modello Unico del contribuente fosse legittimo, in quanto basato su dati ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione, laddove, al contrario, dalla documentazione a conoscenza dell’Ufficio emergeva piuttosto che la predetta società semplice era proprietaria di immobili censiti come abitativi e ne dichiarava i redditi, come derivati da beni non strumentali, nel quadro dei redditi fondiari. Pertanto, le diverse conclusioni cui l’Ufficio era giunto, in termini di qualificazione degli immobili e di natura fiscale dei redditi che ne derivavano, non potevano che basarsi su valutazioni autonome, compiute dall’Ufficio, che avrebbero potuto trovare espressione solo in sede di controllo sostanziale, da espletarsi con la forma necessaria dell’accertamento tributario.

2.1. E’ opportuno trattare in via anticipata il secondo motivo, di natura procedimentale e potenzialmente assorbente la decisione sul primo motivo.

Il secondo motivo è infondato.

Infatti, la fattispecie – qui sub iudice, secondo lo stesso motivo di ricorso- del controllo formale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-ter, comma 2, lett. b), differisce da quella del c.d. “controllo automatizzato” in sede di liquidazione dell’imposta, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 2, che attribuisce all’amministrazione finanziaria, il potere di provvedere, all’esito di un controllo formale effettuato mediante procedure automatizzate, “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria” (analogamente a quanto stabilito dall’omologa disposizione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis) e che non prevede lo svolgimento di alcuna attività di ricerca di informazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, escludendo pertanto la possibilità di una diversa ricostruzione sostanziale dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, una vera e propria valutazione o stima degli stessi e la risoluzione di questioni giuridiche, fatta salva l’applicazione di norme giuridiche che sia “diretta e immediata” (Cass., Sez. U., 8 settembre 2016, n. 17758, in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, omologo al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 2; Cass. 20/02/2017, n. 4360; Cass. 08/06/2018, n. 14949; Cass. 16/11/2018, n. 29582; ex plurimis e tutte relative al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 2; Cass. 19/11/2019, n. 29978, in motivazione; Cass. 23/11/2018, n. 30391; Cass. 27/4/2018, n. 10204).

Viceversa, il controllo formale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-ter, comma 2, lett. b), che pacificamente ricorre nel caso di specie e che consente all’Ufficio di “escludere in tutto o in parte le detrazioni d’imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti”, non limita la conoscenza dell’Amministrazione ai dati ed agli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni o già in possesso dell’anagrafe tributaria, ma consente una, sia pur ridotta, attività istruttoria (Cass. 18/03/2015, n. 5373), disciplinata dal comma 3 e seguita, a pena di nullità, dalla comunicazione dell’esito motivato del controllo, che assolve ad una funzione di garanzia e realizza la necessaria interlocuzione tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente prima dell’iscrizione al ruolo, in ciò differenziandosi dalla comunicazione della liquidazione della maggiore imposta ex art. 36-bis dello stesso decreto, che avviene all’esito di un controllo meramente cartolare ed ha il solo scopo di evitare al contribuente la reiterazione di errori e di consentirgli la regolarizzazione di aspetti formali, per cui l’eventuale omissione non incide sull’esercizio del diritto di difesa e non determina alcuna nullità (Cass. 04/07/2014, n. 15311, in motivazione, sulla distinzione tra le due fattispecie di controllo), salvo che non sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione controllata (Cass. 18/04/2018, n. 9450, ex plurimis). Nel caso di specie, nel quale il contribuente non si duole puntualmente di alcuna specifica violazione dei poteri istruttori di cui al comma 3 e del contraddittorio preventivo di cui al ridetto art. 36-ter, comma 4, l’allegazione della mera circostanza che la cartella non sia stata, in ipotesi, emessa esclusivamente sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria, non equivale a denunciare l’illegittimità di tale atto, che è stata quindi correttamente esclusa dalla CTR (nello stesso senso Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 23987 del 29/10/2020, in motivazione, resa tra le stesse parti e per fattispecie analoga, ma relativa ad altra annualità d’imposta).

3.E’ invece fondato il primo motivo di ricorso, con il quale, come anticipato, si lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 9; del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 43 e dell’art. 2195 c.c..

La L. n. 448 del 2001, art. 9, commi 1 e 2, disciplina l’ulteriore applicabilità nel tempo della detrazione fiscale spettante per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 1, e successive modificazioni.

La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di trattare l’ambito applicativo delle detrazioni di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 1, rilevando che tale norma deve innanzitutto “essere letta in combinazione con la generale disciplina dettata dal TUIR a proposito dei proventi immobiliari (D.P.R. n. 9917 del 1986, art. 57, ora art. 90), a mente della quale “i redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa concorrono a formare il reddito nell’ammontare determinato secondo le disposizioni del capo II del titolo I per gli immobili situati nel territorio dello Stato ed a norma dell’art. 70 per quelli situati all’estero Le spese e gli altri componenti negativi relativi ai beni immobili indicati nel comma 1 non sono ammessi in deduzione”” (Cass. 18/12/2015, n. 25568, in motivazione). Pertanto, “l’anzidetta norma, in sostanza, prevede, in relazione ai redditi rinvenienti nell’esercizio di una attività di impresa e per la sola tipologia dei beni patrimoniali, (ossia dei beni non strumentali nonché estranei al novero dei beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa), una deroga all’ordinario criterio fissato nell’art. 95 TUIR (ora art. 81) secondo il quale “il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui all’art. 73, comma 1, lett. a) e b), da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito d’impresa””, con la conseguenza che “a questa stregua, nella sola ipotesi dei beni patrimoniali, la determinazione del reddito avviene (per gli immobili situati nel territorio dello Stato) secondo i criteri catastali, in base alle disposizioni del capo II dei titolo I, e perciò con le modalità di determinazione dei redditi fondiari (redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei fabbricati), appunto diversamente da ciò che è previsto per i redditi di impresa che sono regolati nel capo II – sezione I del medesimo testo unico. Per effetto di ciò l’art. 90 TUIR, attuale numerazione, prevede che le spese e gli altri componenti negativi concernenti i detti beni immobili “patrimoniali” non siano deducibili, non potendosi applicare – per conseguenza logica – la disciplina (prevista nell’art. 83 e ss., nuova numerazione) che tiene conto degli utili e delle perdite.

Pertanto, la norma di agevolazione introdotta dalla L. n. 449 del 1997, art. 1, non può che riferirsi alla sola ipotesi di determinazione del reddito immobiliare secondo il criterio del reddito fondiario, proprio perché in questa ipotesi i costi sostenuti (in particolare, per gli interventi di ristrutturazione) non concorrono già, come componenti negativi, alla determinazione del reddito ma costituiscono un onere per alleviare il quale il legislatore ha introdotto l’agevolazione di cui qui si discute. Al contrario, nella specie dei redditi derivanti dagli immobili che sono da considerarsi strumentali o beni merce, il reddito (d’impresa) è il risultato di una somma algebrica tra le entrate ed i costi sostenuti per conseguirle, sicché l’imprenditore non risente concettualmente degli oneri sostenuti per procurarsi il reddito, avendone già fatto deduzione dall’imponibile. In diversa ipotesi, l’agevolazione si tradurrebbe in una duplicazione della deduzione e perciò in una indebita locupletazione, non essendo correlata ad un costo effettivamente rimasto a carico” (così Cass., 18/12/2015, n. 25568, cit., in motivazione). Sulla base di queste considerazioni, quindi, è stato affermato da questa Corte che “In tema di reddito d’impresa, l’agevolazione di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 1, comma 1, si riferisce ai soli beni patrimoniali, il cui reddito si determina secondo il criterio del reddito fondiario, atteso che, in questa ipotesi, i costi sostenuti costituiscono un onere per alleviare il quale il legislatore ha introdotto tale beneficio, mentre è inapplicabile relativamente agli immobili strumentali, il cui reddito è il risultato della somma tra entrate e costi sostenuti, deducibili dall’imponibile, per i quali si tradurrebbe in una duplicazione della deduzione e, quindi, in un’indebita locupletazione, poiché non correlata ad un costo rimasto a carico dell’imprenditore.” (Cass. 18/12/2015, n. 25568, cit.; conforme Cass. 17/06/2015, n. 12466), chiarendo altresì che tale principio non ha ragione di mutare quando, come nel caso ora sub iudice, “il reddito in relazione al quale si invoca la deduzione sia quello personale del socio, in applicazione dell’art. 5 TUIR, poiché questo è il risultato di operazioni contabili che sono già state effettuate a monte (in capo alla società), seppure la sua “imputazione” è trasferita in capo ai singoli soci ai fini della tassazione diretta delle persone fisiche” (Cass. 17/06/2015, n. 12466, cit., in motivazione).

In seguito, la conclusione secondo cui la norma agevolativa in questione si riferisce soltanto ai “beni patrimoniali”, produttivi di reddito fondiario, ma non anche ai “beni strumentali” – né, per quanto riguarda le società, ai redditi d’impresa derivanti dagli immobili che sono da considerarsi “strumentali” o “beni-merce”- è stata ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, sia pure al fine di sottolineare il diverso ambito applicativo di ulteriori e successive misura agevolative, sorrette da una ratio non coincidente con quella qui sub iudice (cfr. Cass. 23/07/2019, n. 19815, in motivazione; Cass. 12/11/2019, n. 29163, in motivazione).

3.1. Tanto premesso, l’applicabilità, o meno, dell’agevolazione in questione viene quindi a dipendere dalla natura che si deve attribuire, ai fini fiscali, ai beni de quibus, che costituiscono, come deduce il ricorrente (richiamando la documentazione depositata in primo grado) e come non contestato dall’Ufficio, immobili residenziali, di proprietà di una società semplice che svolgeva attività agricola e che li concedeva in locazione, in conformità al suo oggetto sociale (come dedotto alle pagg. 7 s. del ricorso). E l’individuazione della natura fiscale dei beni dipende anche da quella dell’attività nella quale vengano utilizzati e dalla loro relazione funzionale con quest’ultima (cfr. Cass. 25/01/2019, n. 2153). Come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, ” sul piano fiscale assume rilievo (e v., sul punto, Cass. 23 luglio 2019, n. 19815, in motivazione) la distinzione – elaborata in dottrina e seguita nella prassi – tra “immobili strumentali” (destinati, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 43, comma 2, alla produzione propria o di terzi), “immobili- merce” (destinati al mercato di compravendita) e “immobili-patrimonio” (destinati al mercato locativo, ai sensi degli artt. 37 e 90 TUIR).

L’art. 90 del TUIR regola le modalità di tassazione degli immobili-patrimonio posseduti da società commerciali; viene espressamente esclusa la tassazione in base ai criteri catastali solo per i terreni utilizzati strumentalmente per l’esercizio di una delle attività agricole di cui all’art. 32 TUIR.

La definizione di immobili strumentali, per destinazione e per natura, si rinviene nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 43, comma 2, ove è previsto che “si considerano strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione o dell’impresa commerciale da parte del possessore. Gli immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se dati in locazione (…)” ” (Cass. 20/02/2020, n. 4417, in motivazione). Nel caso di specie, non è contestato che gli immobili locati siano residenziali, né quindi si assume che il loro utilizzo, tramite locazione a terzi, sia strumentale all’esercizio delle attività agricole tutte di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 32 e art. 2135 c.c..

Tanto meno risulta che l’Ufficio abbia imputato in fatto alla medesima società, o al socio ricorrente, lo svolgimento effettivo (in via interposta, simulata o abusiva), esclusivo o concorrente, sotto la falsa apparenza della società semplice agricola, di un’ attività commerciale imprenditoriale, in forma collettiva o individuale, che abbia per oggetto la gestione degli immobili in questione.

Ne’, comunque, il rilievo erariale della mera locazione di immobili a terzi equivale necessariamente all’allegazione in fatto dell’esercizio, da parte della predetta società, di attività che trascenda la gestione del patrimonio immobiliare (che comprende gli atti necessari alla conservazione ed alla valorizzazione di quest’ultimo), ed integri invece in concreto una vera e propria attività commerciale, esercitata in violazione della prescrizione civilistica di cui all’art. 2249 c.c. e produttiva di reddito d’impresa, ai sensi degli artt. 2195 c.c. e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, in particolare quale esercizio, abituale ed organizzato in forma d’impresa, di attività dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c..

Ed invero, che l’attività di locazione di immobili, di per sé sola, non costituisca necessariamente attività d’impresa e non comporti inevitabilmente la qualificazione dei beni che ne siano oggetto come strumentali, è conclusione condivisa dalla stessa Amministrazione, nella risoluzione 55/E 2002, citata dal ricorrente, ove si legge che “Sul tema della gestione degli immobili, l’Amministrazione Finanziaria è più volte intervenuta chiarendo, in modo conforme alla giurisprudenza della Cassazione, che la semplice attività di locazione di appartamenti, quand’anche svolta da un’impresa, non consente di qualificare come strumentali i beni immobili dati in godimento.”.

La sentenza impugnata ha invece espressamente, ma erroneamente, affermato che, al fine che qui interessa, non avrebbe alcuna importanza che la società semplice agricola de qua impiegasse o meno gli immobili in questione in un’attività commerciale, aggiungendo che “Ciò che invece è dirimente è il carattere strumentale dei beni rispetto allo scopo sociale”. Tuttavia, come già rilevato, la natura fiscale dei beni immobili va individuata in ragione della loro natura e della loro destinazione all’attività di produzione o di scambio oggetto dell’attività d’impresa (Cass. 25/01/2019, n. 2153, cit., in tema di reddito d’impresa ed indeducibilità dei costi relativi a beni immobili non strumentali), che nel caso di specie, per quanto già detto, non risulta concretamente imputata alla società, che li utilizza locandoli a terzi.

Dunque, il fatto che la locazione degli immobili fosse compresa nell’oggetto sociale della società de qua non equivale ad affermare che quest’ultima svolgesse in concreto attività commerciale, né è sufficiente a concludere che i beni locati producessero reddito d’impresa (e non fondiario) e fossero strumentali (e non patrimoniali) e che debba quindi escludersi la detrazione controversa.

Tutto ciò premesso, deve concludersi che, nel caso di specie, gli immobili in questione, non correlati allo svolgimento di un’attività produttiva di reddito d’impresa, non solo non possono ritenersi beni-merce, ma neppure beni strumentali per destinazione.

Solo per completezza, giova aggiungere che, anche a prescindere dalla già acclarata mancanza di una relazione funzionale degli immobili con lo svolgimento di un’attività commerciale che sia imputata alla società, neppure risulta dedotto che gli stessi beni, oggettivamente, rientrino tra gli immobili strumentali per natura, avuto anche riguardo al contenuto della circolare n. 39/E del 15 aprile 2008 dell’Agenzia delle Entrate, nonché della risoluzione n. 280 del 4 luglio 2008, da cui si evince che questi ultimi coincidono con quelli iscritti nei gruppi catastali B (uso alloggi collettivi), C (destinazione commerciale ordinaria, (destinazione speciale, es. opifici, alberghi, teatri, istituti di credito, etc.) ed E (destinazione particolare, es. stazioni per servizi di trasporto, ponti comunali e provinciali soggetti a pedaggio, etc.), nonché nella categoria A/10 (uffici e studi privati).

E’ utile infine aggiungere che tra le medesime parti, per fattispecie analoga ma relativamente ad altra annualità d’imposta, questa Corte ha accolto il ricorso del contribuente, precisando che ” In tema di redditi d’impresa, i beni immobili non strumentali né riconducibili ai beni-merce agli effetti del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 57 (ora 90) – che prevede l’indeducibilità dei relativi costi ed il concorso alla formazione del reddito secondo la disciplina sui redditi fondiari – vanno individuati in ragione della loro natura e della destinazione all’attività di produzione o di scambio oggetto dell’attività d’impresa, con la conseguenza che qualora gli stessi non siano correlati allo svolgimento di un’attività produttiva di reddito d’impresa, non solo non possono ritenersi beni-merce, ma neppure beni strumentali per destinazione. (In applicazione del principio, la S.C., sul presupposto che la semplice attività di locazione di appartamenti, quand’anche svolta da un’impresa, non consenta di qualificare come strumentali i beni immobili dati in godimento, ha cassato la decisione impugnata, che aveva ritenuto irrilevante, ai fini dell’indeducibilità, l’impiego degli immobili in questione da parte della società in un’attività commerciale).” (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 23987 del 29/10/2020).

Il primo motivo di ricorso è quindi fondato e va accolto, cassando di conseguenza la sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito che, premesso ogni necessario accertamento, applicherà i principi sopra esposti e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il primo motivo e rigetta il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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