Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24813 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. II, 09/10/2018, (ud. 19/04/2018, dep. 09/10/2018), n.24813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21384-2014 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO

EMILIO 32, presso l’avvocato DANIELA FRATACCIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO CIRILLO;

– ricorrente –

contro

M.G., F., D., C. ed A.,

elettivamente domiciliati PRESSO LA CANCELLERIA DELLA CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dagli avvocati VITTORIO DI MEGLIO E STEFANO

PETTORINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di NAPOLI n. 678/2014,

pubblicata il 14 febbraio 2014, notificata il 23 maggio 2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 aprile 2018 dal Dott. DARIO CAVALLARI.

Fatto

MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

M.R. ha chiesto al Tribunale di Napoli, Sez. Dist. di Ischia, con ricorso per la reintegrazione e la manutenzione del possesso, la rimozione del pilastro apposto il 2 febbraio 2010 ad un metro dal limite del viale carrabile che conduceva alla sua abitazione in (OMISSIS), in quanto detto pilastro impediva il transito dei veicoli.

Tale ricorso è stato accolto con ordinanza, poi confermata in sede di reclamo.

Introdotto il giudizio di merito, il Tribunale di Napoli, Sez. Dist. di Ischia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 158/2013, ha accolto la domanda di M.R., condannando M.G., F., D., C. ed A. a rimuovere il pilastro rappresentato nelle fotografie n. 3 e 4 della produzione del ricorrente e collocato di fronte al cancello che immetteva nella proprietà di M.R..

M.G., F., D., C. ed A. hanno proposto appello.

La Corte di Appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 678/2014, ha accolto il gravame e respinto la domanda possessoria avanzata in primo grado da M.R..

M.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.

M.G., F., D., C. ed A. hanno resistito con controricorso.

Il solo ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

1. Con il primo ed il secondo motivo che, stante la stretta connessione, vanno trattati congiuntamente, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1170 c.c. e l’omesso esame di circostanze di fatto concernenti la natura reale delle utilitas connesse all’esercizio della servitù di passaggio pedonale e carrabile perchè la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che non era stato provato l’esercizio di un possesso più ampio rispetto a quello indicato nel titolo.

Le doglianze sono inammissibili.

Infatti, al fine del conseguimento della prova del possesso che è tenuto a dare chi propone l’azione di manutenzione, deve risultare l’effettivo esercizio del potere di fatto sulla cosa (Cass., Sez. 2, n. 5588 del 26 ottobre 1982).

Con riferimento all’accertamento di tale effettivo esercizio, l’esame e la valutazione delle prove, come il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, essendo implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).

In particolare, chi contesti detta valutazione non può limitarsi a richiedere una diversa lettura alternativa delle prove agli atti, essendo rimessa al giudice del merito la scelta fra più interpretazioni possibili di tali prove.

Nella specie, la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto, con una valutazione di merito ad essa riservata e non sindacabile nella presente sede, che dalle risultanze istruttorie non emergesse la dimostrazione dell’utilizzo dell’area ove era stato apposto il pilastro oggetto di causa da parte del ricorrente, quantomeno nell’anno precedente il verificarsi della dedotta molestia, e che, inoltre, non fosse necessaria alcuna particolare manovra per passare sul viale in esame.

2. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1170 c.c. poichè la corte territoriale avrebbe omesso di rilevare che la domanda di reintegrazione conteneva in sè quella di manutenzione.

La doglianza è inammissibile, non avendo il ricorrente colto la ratio della decisione.

Infatti, la corte territoriale ha fondato la sua statuizione principalmente sull’affermazione della mancata prova dell’esercizio del possesso dell’area ove si sarebbe verificata la molestia.

3. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1066 c.c. poichè la corte territoriale avrebbe errato nel desumere da tale disposizione che, per qualificare come possesso la relazione di fatto con il fondo servente, dovesse aversi riguardo solo a quanto avvenuto nell’anno precedente.

La doglianza è inammissibile, non avendo il ricorrente colto la ratio della decisione.

Ai fini della tutela del possesso di una servitù oggetto di spoglio, la regola posta dall’art. 1066 c.c., secondo la quale occorre avere riguardo alla pratica dell’anno antecedente, indica solo i criteri che devono essere seguiti per risolvere le controversie relative alla misura ed alle modalità del possesso della servitù, ma non subordina la tutela possessoria alla durata ultrannuale del potere di fatto corrispondente a quest’ultima (Cass., Sez. 2, n. 8909 del 4 maggio 2016).

La corte territoriale, nel menzionare l’art. 1066 c.c., non ha escluso la tutela possessoria richiesta perchè avrebbe valutato solo la condotta tenuta nell’anno precedente, ma si è limitata a ricostruire, applicando la disposizione in questione, il contenuto del diritto reale previsto nel titolo menzionato dalle parti del giudizio.

La Corte di Appello di Napoli ha, poi, escluso che fosse stato dimostrato in fatto l’esercizio del possesso dedotto dal ricorrente nell’anno precedente, valutando la ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 1170 c.c., che prevede la tutelabilità del solo possesso ultrannuale.

4. Con il quinto ed il sesto motivo, che possono essere trattati congiuntamente stante la stretta connessione, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1064,1065,1067 e 1362 c.c., poichè la corte territoriale non si sarebbe avveduta che la marginale utilizzazione di parte del terreno attiguo alla fascia di ml. 2,50 non costituiva aggravio di servitù e, quindi, non giustificava una reazione possessoria di controparte.

La doglianza è inammissibile, non avendo il ricorrente colto la ratio della decisione.

Infatti, la Corte di Appello di Napoli ha semplicemente negato che il ricorrente avesse esercitato il proprio possesso sull’area ove era stato realizzato il pilastro in questione e ha affermato che non ogni modifica apportata da un terzo al possesso altrui costituisce turbativa, essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in modo giuridicamente apprezzabile l’esercizio del possesso.

Pertanto, non sono venuti minimamente in rilievo il profilo dell’aggravio della servitù e quello degli adminicula servitutis, dovendosi esclusivamente accertare in concreto le modalità di esercizio del passaggio in esame, a prescindere dai profili petitori.

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6 – 3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori ex lege e spese generali nella misura del 15%;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione 2 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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