Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2481 del 01/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 2481 Anno 2018
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 28478-2014 proposto da:

SANDRINI VALERIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO
ROMANELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ALESSANDRA CAPUANO BRANCA giusta procura speciale a margine
del ricorso;
– ricorrente contro

COMUNE VICENZA, in persona del Sindaco e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
• GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO
VINCENTI, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 832/2013 del TRIBUNALE di VICENZA,
depositata il 20/08/2013;

Data pubblicazione: 01/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 16/11/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.
RILEVATO CHE:

1. – Valeria Sandrini convenne in giudizio il Comune di Vicenza
per sentirlo condannare, ex art. 2051 c.c., o in subordine ex art.
2043 c.c., al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza alle

gennaio 2003 verso le ore 11, allorquando, percorrendo a piedi un
tratto di pavimentazione stradale costituito da grossi ciottoli, al fine di
eseguire l’attraversamento della strada e raggiungere il lato opposto,
cadde a terra a causa della rotazione di uno dei predetti ciottoli.
1.1. – L’adito Tribunale di Vicenza, all’esito dell’istruzione
probatoria, con sentenza del 20 agosto 2013, respinse la domanda
attorea e condannò Valeria Sandrini al pagamento delle spese di lite.
1.2. – Il giudice di primo grado osservò che il selciato su cui era
caduta l’attrice costituiva un canale di scolo delle acque dal fondo
irregolare e con doppia inclinazione, il cui passaggio era
“intuitivamente pericoloso” perché era ben percepibile l’anzidetta
conformazione e “il pericolo che i sassi si muovono se ci transita
sopra”; ritenne, quindi, che l’attrice, avendo deciso di scendere
dall’ampio marciapiede e di transitare sopra detto selciato senza
utilizzare gli appositi attraversamenti, non avesse proceduto con la
cautela che la condizione dei luoghi richiedeva, non valutando
“correttamente … la difficoltà del passaggio, che è pure era evidente”
e così riponendo “un affidamento soggettivo, a dir poco, anomalo
sulle sue caratteristiche”, adottando, dunque, un comportamento tale
da interrompere “il nesso causale tra obbligo di custodia e l’evento
dannoso lamentato”.
2. – Avverso tale sentenza proponeva gravame Valeria Sandrini,
che veniva dichiarato inammissibile dalla Corte d’Appello di Venezia
con ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., resa pubblica in data 23
settembre 2014.
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gravi lesioni riportate a seguito del sinistro avvenuto, in data 19

3. – Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Vicenza
ricorre Valeria Sandrini, affidando le sorti dell’impugnazione a tre
motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Vicenza.
CONSIDERATO CHE:
1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360,

2051 c.c.
Il Tribunale avrebbe erroneamente affermato l’interruzione del
nesso causale tra cosa custodita e danno patito dall’attrice adducendo
la circostanza, irrilevante a tal fine, dell’utilizzo, da parte di essa
stessa attrice, di “un percorso piuttosto che un altro in una strada che
era destinata esclusivamente ed interamente al transito pedonale”,
non costituendo comportamento “anomalo ed inusuale” quello di
scendere “da un marciapiede, per transitare su un’ampia
pavimentazione in ciottoli” – il cui “passaggio non era impedito o
vietato” – al fine di attraversare una carreggiata in terra battuta e
“destinata al camminamento”. Né, infine, potendo assumere rilievo il
fatto che il “tratto di pavimentazione stradale fosse realizzato in
ciottoli dalla forma irregolare”, ciò non consentendo di poter
affermare che essa Sandrini “avrebbe dovuto prevedere che uno di
tali ciottoli, al suo passaggio, sarebbe uscito dalla sua sede naturale”,
provocandole la caduta a terra.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.
2051 c.c. e dell’art. 2627 c.c.
Il giudice di primo grado, oltre a ritenere “dimostrate
circostanze che non lo sono affatto”, ha “inammissibilmente invertito
l’onere della prova, laddove ha affermato che la signora Sandrini non
avrebbe adottato, durante l’attraversamento, specifiche cautele”,
mentre, “nei casi di insidia e trabocchetto”, era onere del custode, ai

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primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.

sensi dell’art. 2051 c.c., provare l’omissione delle normali cautele da
parte del danneggiato.
3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.
2051 c.c. e dell’art. 1227 c.c.
Il Tribunale avrebbe violato il principio di diritto per cui il caso

2051 c.c., è integrato solo da una condotta del tutto inusuale del
danneggiato e a fronte di uno stato di “buone condizioni di
manutenzione del bene” pubblico; manutenzione che, nella specie,
non vi era stata da parte del Comune di Vicenza, né potendosi
ascrivere a comportamento inusuale o anomalo quello di transitare
“in un tratto di strada a ciò dedicato”.
4. – I motivi – che vanno congiuntamente scrutinati per essere
tra loro connessi – non possono trovare accoglimento per le ragioni
che seguono.
5. – Ritiene il Collegio che la fattispecie offra l’occasione per una
puntualizzazione dei principi in materia di responsabilità per danni da
cose in custodia, come via via espressi dalla giurisprudenza di questa
Corte, con attenzione specifica – poi – alla custodia dei beni demaniali
e, tra questi, di quelli di grande estensione, come strade e loro
accessori e pertinenze: all’intera riflessione premettendosi che
incombe al danneggiato l’onere di un’opzione chiara – benché anche
solo di alternatività o reciproca subordinazione, ma espressa in tal
senso – tra l’azione generale di responsabilità extracontrattuale, ai
sensi dell’art. 2043 cod. civ., e quella della responsabilità – oggettiva
– per fatto della cosa, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., visto che le due
domande presentano tratti caratteristici, presupposti, funzioni ed
oneri processuali assai diversificati (tra molte: Cass. 05/08/2013, n.
18609; Cass. 21/09/2015 n. 18463).
5.1. – Occorre prendere le mosse dalla conclusione, definita
come tradizionale, della giurisprudenza di legittimità nel senso che
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fortuito, idoneo ad interrompere il nesso causale ai sensi dell’art.

«la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. postula la sussistenza di un
rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un
soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla,
di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i
terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il
danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia

conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente
lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire
la prova contraria alla presunzione

iuris tantum

della sua

responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito,
cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso
causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta
eccezionalità» (tra molte: Cass. 29/07/2016, n. 15761).
5.2. – Si tratta di una conclusione che risale almeno a Cass.
20/05/1998, n. 5031, in base alla quale:
– quanto al fondamento della responsabilità, l’art. 2051 cod. civ.
prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva, il cui unico
presupposto è l’esistenza di un rapporto di custodia; del tutto
irrilevante, per contro, è accertare se il custode sia stato o meno
diligente nell’esercizio della vigilanza sulla cosa;
– quanto all’onere della prova, ove sia applicabile l’art. 2051
cod. civ., il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un
valido nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre il custode ha
l’onere di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal
caso fortuito, ivi compreso il fatto dello stesso danneggiato o del
terzo;
– quanto all’ambito di applicazione, la norma in esame trova
applicazione in tutti i casi in cui il danno è stato arrecato dalla cosa,
direttamente o indirettamente; non è applicabile solamente quando la
cosa ha avuto un ruolo meramente passivo nella produzione del
danno.
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e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come

5.3. – In primo luogo, è prevalente in dottrina e dominante nella
giurisprudenza di legittimità la tesi della qualificazione della
responsabilità in esame come responsabilità oggettiva, nella quale
non gioca alcun ruolo la negligenza o, in generale, la colpa del
custode: e tanto in consapevole meditata accettazione delle teoriche
sulla configurabilità di una responsabilità senza colpa, se non altro in

fattispecie particolari, a partire dall’elaborazione dogmatica del
sistema francese – soprattutto al suo art. 1384 originario code civil,
oggi corrispondente all’art. 1242 dopo l’ordonnance 2016-131 del
10/02/2016, in vigore dal 10 ottobre 2016, sulla reforme du droit des
contrats – cui il sistema codicistico nazionale si è in origine ispirato, è
apportata deroga al principio ohne Schuld keine Haftung, che permea
sia l’altro ordinamento cardine dei sistemi romanisti (come quello
tedesco relativamente al Deliktsrecht, ma nel quale si assiste ad un
superamento graduale, benché solo in determinati settori, in forza di
obblighi derivanti direttamente, prima della riforma del 2002, dalla
norma sulla buona fede e, poi, dalla previsione della novellata
previsione del BGB sulla sussistenza di obblighi di protezione più
generali ed ampi rispetto a quelli di prestazione, idonei a riverberare i
loro effetti anche a favore di chi non è parte del contratto), sia il
sistema originario di common law (in cui la Tort Law presuppone
appunto la colpa, quanto meno sotto il profilo della Due Diligence).
5.4. – Il tenore testuale dell’art. 2051 cod. civ., analogo al
vecchio testo dell’art. 1384, co. 1, code civil (ora art. 1242, che
prevede, al primo comma, che on est responsable non seulement du
dommage que l’on cause par son propre fait, mais encore de celui qui
est causé par le fait des personnes dont on doit répondre, ou des
choses que l’on a sous sa garde), prevede invero che «ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo
che provi il caso fortuito».

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casi particolari e non in linea di principio. In sostanza, per alcune

5.5. – Va così osservato che, purché si tratti di un danno
«cagionato» da una cosa e che questa sia una cosa che si «ha in
custodia», null’altro è richiesto: basti allora in questa sede, per
l’impossibilità di altri approfondimenti dogmatici, da un lato accettare
quale ragione giustificatrice di tale peculiare responsabilità la sua
natura e funzione di contrappeso al riconoscimento di una signoria,

la generalità dei consociati, signoria che l’ordinamento riconosce ad
un soggetto evidentemente affinché egli ne tragga o possa trarre
beneficio o in dipendenza di peculiari situazioni doverose; e, dall’altro
lato, rilevare come il danno, di cui si è chiamati a rispondere, deve
essere causato dalla cosa (per il code civil, ancora più icasticamente e
stando alla lettera della disposizione, dal «fatto della cosa»:
dommage … qui est causé par le fait des choses que l’on a sous sa
garde).
5.6. – Sotto il primo profilo, il potere sulla cosa, per assurgere
ad idoneo fondamento di responsabilità, deve manifestarsi come
effetto di una situazione giuridicamente rilevante rispetto alla res,
tale da rendere attuale e diretto l’anzidetto potere attraverso una
signoria di fatto sulla cosa stessa, di cui se ne abbia la disponibilità
materiale (Cass. 29/09/2017, n. 22839): verosimilmente in
considerazione del fatto che solo questa può attivare, ovvero rendere
materialmente estrinsecabile, il dovere di precauzione normalmente
connesso alla disponibilità di una cosa che entra in contatto con altri
consociati; ovvero, che può consentire l’adozione di condotte
specifiche per impedire, per quanto possibile, che le cause
ragionevolmente prevedibili dei danni derivabili dalla cosa custodita
siano poi in grado di estrinsecare la loro potenzialità efficiente.
5.7. – Sotto il secondo profilo, quello della causazione del danno
da parte della cosa, non ci si può esimere da una sommaria premessa
alla problematica della causalità in diritto civile.

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quale la «custodia», sulla cosa che entra o può entrare a contatto con

5.8. – A questo riguardo, è noto che, con la fondamentale
elaborazione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenze
del dì 11/01/2008, nn. 576 ss., alla cui amplissima ed esauriente
elaborazione deve qui bastare un richiamo), ai fini della causalità
materiale nell’ambito della responsabilità extracontrattuale va fatta
applicazione dei principi penalistici, di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen.,

restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in
assenza del secondo (c.d. teoria della

condicio sine qua non).

Tuttavia, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto
dall’art. 41 cod. pen., in base al quale, se la produzione di un evento
dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad
ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel
principio di causalità efficiente, desumibile dal capoverso della
medesima disposizione, in base al quale l’evento dannoso deve
essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta
sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere
irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle
normali linee di sviluppo della serie causale già in atto.
5.9. – Al contempo, neppure è sufficiente tale relazione causale
per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi,
all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle
soltanto che appaiano ex ante idonee a determinare l’evento secondo
il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d.
regolarità causale.
5.10. – Quest’ultima, a sua volta, individua come conseguenza
normale imputabile quella che – secondo Vid quod plerumque accidit e
quindi in base alla regolarità statistica o ad una probabilità
apprezzabile ex ante (se non di vera e propria prognosi postuma) integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose
originatosi da un evento (sia esso una condotta umana oppure no)
originario, che ne costituisce l’antecedente necessario.
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sicché un evento è da considerare causato da un altro se, ferme

5.11. – E, sempre secondo i citati precedenti delle Sezioni Unite
della Corte di cassazione, la sequenza costante deve essere
prevedibile non da un punto di vista soggettivo, cioè da quello
dell’agente, ma in base alle regole statistiche o scientifiche e quindi
per così dire oggettivizzate in base alla loro preponderanza o comune
accettazione, da cui inferire un giudizio di non improbabilità

regolarità causale, rapportato ad una valutazione ex ante, diviene la
misura della relazione probabilistica in astratto (e svincolata da ogni
riferimento soggettivo) tra evento generatore del danno ed evento
dannoso (nesso causale) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo
della norma violata, mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri
di avvedutezza comportamentale andrà più propriamente ad iscriversi
entro l’elemento soggettivo (la colpevolezza) dell’illecito, ove questi
dall’ordinamento – benché tanto avvenga di norma – siano in
concreto richiesti.
5.12. – Tali principi portano a concludere che tutto ciò che non è
prevedibile oggettivamente ovvero tutto ciò che rappresenta
un’eccezione alla normale sequenza causale, ma appunto e per
quanto detto rapportato ad una valutazione ex ante o in astratto,
integra il caso fortuito, quale causa non prevedibile: da tanto
derivando che l’imprevedibilità, da un punto di vista oggettivizzato,
comporta pure la non evitabilità dell’evento.
5.13. – Queste conclusioni vanno poi applicate alla peculiare
fattispecie del «danno cagionato dalle cose in custodia»; e l’assenza
di specificazioni di sorta comporta che il danno rilevante – di cui cioè
il custode è responsabile – prescinde dalle caratteristiche della cosa
custodita, sia quindi essa o meno pericolosa, c.d. seagente (ovvero
dotata di intrinseco dinamismo) oppure no; e la fattispecie può allora
comprendere, sempre dando luogo alla responsabilità ai sensi dell’art.
2051 cod. civ., una gamma potenzialmente indefinita di situazioni
sotto i relativi profili:
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dell’evento in base a criteri di ragionevolezza: il principio della

- quanto al ruolo nella sequenza causale, cioè alla
partecipazione della cosa custodita alla produzione materiale
dell’evento dannoso: a partire dai casi in cui la cosa è del tutto inerte
ed in cui l’interazione del danneggiato è indispensabile per la
produzione dell’evento, via via fino a quelle in cui essa, per il suo
intrinseco dinamismo, viene a svolgere un ruolo sempre maggiore di

preponderante od esclusiva, in cui cioè l’apporto concausale della
condotta dell’uomo è persino assente;
– quanto alle caratteristiche intrinseche della cosa custodita,
cioè alla sua idoneità a cagionare situazioni di probabile danno
(pericolosità): a partire dalle fattispecie in cui essa non presenta
rischi derivanti dall’interazione con l’uomo, via via fino a quelle in cui
il funzionamento o il suo stesso modo di essere comporti di per se
stesso, per le modalità sue normali, il rischio (cioè, la probabilità
ragionevole) di una conseguenza dannosa con chi viene in contatto
con la cosa custodita.
5.14. – In questo complessivo contesto va calata la conclusione,
tradizionale nella giurisprudenza di legittimità, dell’accollo al
danneggiato della sola prova del nesso causale tra la cosa e il danno:
ove la cosa oggetto di custodia abbia avuto un ruolo nella produzione,
a tanto deve limitarsi l’allegazione e la prova da parte del
danneggiato; incombe poi al custode o negare la riferibilità causale
dell’evento dannoso alla cosa, ciò che esclude in radice l’operatività
della norma, cioè dare la prova dell’inesistenza del nesso causale,
oppure dare la prova della circostanza, che solo a prima vista
potrebbe coincidere con la prima, che il nesso causale sussiste tra
l’evento ed un fatto che non era né prevedibile, né evitabile.
5.15. – Su quest’ultimo punto, la recente Cass. ord.
31/10/2017, n. 25837, ha puntualizzato che il caso fortuito è ciò che
non può prevedersi (mentre la forza maggiore è ciò che non può
evitarsi), per poi giungere, dopo un’accurata disamina del ruolo della
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attiva interazione con la condotta umana, fino a diventare

condotta del danneggiato, alla conclusione che anche questa può
integrare il caso fortuito ed escludere integralmente la responsabilità
del custode ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., ma solo purché abbia due
caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del
custode.
5.16. – Tale conclusione richiede alcune puntualizzazioni.

idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno, ai fini della
peculiare responsabilità disegnata dall’art. 2051 cod. civ., va
generalmente inteso quel fattore causale, estraneo alla sfera
soggettiva, che presenta i caratteri dell’imprevedibilità e
dell’eccezionalità (fattore causale comprensivo anche del fatto del
terzo o, in via descrittiva ed a seconda dei casi, della colpa del
danneggiato): purché esso abbia, in applicazione dei principi generali
in tema di causalità nel diritto civile, efficacia determinante
dell’evento dannoso.
5.17. – Pertanto, anche il caso fortuito (oggettivo e valutato ex
ante) va allora inquadrato in questo contesto: e l’imprevedibilità va
intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento, benché non
anche come sua impossibilità, mentre l’eccezionalità è qualcosa di più
pregnante dell’improbabilità (quest’ultima in genere intesa come
probabilità inferiore alle cinquanta probabilità su cento), dovendo
identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione)
dalla frequenza statistica accettata come «normale», vale a dire entro
margini di oscillazione – anche ampi – intorno alla media statistica,
che escludano i picchi estremi, se isolati, per identificare valori
comunemente accettati come di ricorrenza ordinaria o tollerabile e, in
quanto tali, definibili come ragionevoli.
5.18. – Su queste premesse, prospettato e provato dal
danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la
colpa o l’assenza di colpa del custode resta del tutto irrilevante ai fini
della sua responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.
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In effetti, può senz’altro convenirsi che, per «caso fortuito»

5.19. – È chiaro che non si esclude certo che un’eventuale colpa
sia fatta specificamente valere dal danneggiato, ma tanto deve aver
luogo allora ai fini – ed accollandosi quegli i ben più gravosi oneri
assertivi e probatori – della generale fattispecie dell’art. 2043 cod.
civ., in cui egli deve dare la prova, prima di ogni altra cosa, di una
colpa del danneggiante e non solamente del nesso causale tra

l’azione è proposta ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., la deduzione di
omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri
di comune prudenza da parte del custode può essere diretta soltanto
a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a
recare danno, sempre ai fini dell’allegazione e della prova del
rapporto causale tra l’una e l’altro.
5.20. – Può concludersi quindi che l’imprevedibilità – idonea ad
esonerare il custode dalla responsabilità – deve essere oggettiva, dal
punto di vista probabilistico o della causalità adeguata, senza alcun
rilievo dell’assenza o meno di colpa del custode; tuttavia,
l’imprevedibilità è comunque di per sé un concetto relativo,
necessariamente influenzato dalle condizioni della cosa, di più o meno
intrinseca pericolosità in rapporto alle caratteristiche degli eventi in
grado di modificare tali condizioni ed alla stessa interazione coi
potenziali danneggiati.
5.21. – Sotto il primo profilo, può rilevarsi come l’oggettiva
imprevedibilità si esaurisca nel tempo: una modifica improvvisa delle
condizioni della cosa, a mano a mano che il tempo trascorre dal suo
accadimento in rapporto alle concrete possibilità di estrinsecazione
della signoria di fatto su quella, comporta che la modifica finisca con il
fare corpo con la cosa stessa, sicché è a questa, come in effetti
modificata anche dall’evento originariamente improvviso, che
correttamente si ascrive il fatto dannoso che ne deriva.
5.22. – Sotto •il secondo profilo, può rilevarsi come la
prevedibilità deve riferirsi alla normalità – ovvero alla non radicale
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presupposto della responsabilità ed evento dannoso; quando, però,

eccezionalità, per estraneità al novero delle possibilità ragionevoli
secondo quel criterio di ordinaria rapportabilità causale da valutarsi

ex ante ed idoneo ad oggettivizzarsi – del fattore causale.
5.23. – L’operazione logica da compiersi è allora quella di
identificazione del nesso causale, sulla base dei fatti prospettati dalle
parti ed acquisiti in causa: ma occorre distinguere a seconda che con

relazione causale tra la condotta umana del danneggiato ed il danno
stesso oppur no.
5.24. – Nella seconda ipotesi, effettivamente deve trattarsi di un
evento obiettivamente imprevedibile (ovvero, a seconda
dell’elaborazione di volta in volta accettata, che talvolta comprende
nella nozione di caso fortuito anche la causa di forza maggiore,
inevitabile), secondo la rigorosa ricostruzione di cui alla già
richiamata Cass. ord. 25837/17; nel primo caso, cioè di compresenza
di una condotta del danneggiato, occorre osservare che, una volta
delibato come sussistente il nesso causale tra cosa e danno,
subentra, siccome applicabile anche alla responsabilità
extracontrattuale in virtù del richiamo di cui all’art. 2056 cod. civ., la
regola generale del primo comma dell’art. 1227 cod. civ., in ordine al
concorso del fatto colposo del danneggiato.
5.25. – Va sottolineato, al riguardo, che la ricostruzione del
nesso causale tra il criterio di imputazione della responsabilità e
l’evento dannoso va operata dal giudice anche di ufficio (Cass.
22/03/2011, n. 6529: anche quando il danneggiante o il responsabile
si limiti a contestare in toto la propria responsabilità): pertanto, in
tema di responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ai
sensi dell’art. 2051 cod. civ., l’allegazione del fatto del terzo o dello
stesso danneggiato, idonea ad integrare l’esimente del caso fortuito,
deve essere esaminata e verificata anche d’ufficio dal giudice,
attraverso le opportune indagini sull’eventuale incidenza causale del
fatto del terzo o del comportamento colposo del danneggiato nella
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la relazione causale tra cosa e danno interferisca una diversa

produzione

dell’evento

indipendentemente

dannoso,

dalle

argomentazioni e richieste formulate dalla parte, purché risultino
prospettati gli elementi di fatto sui quali si fonda l’allegazione del
fortuito (integrando così una mera difesa la fattispecie di cui al primo
comma dell’art. 1227 cod. civ.: per tutte, Cass. 30/09/2014, n.
20619; Cass. Sez. U. 03/06/2013, n. 13902).

danneggiato, oggetto anche di una mera allegazione – e, in caso di
contestazione, di prova – da parte del danneggiante, perfino implicita
nel suo impianto difensivo.
5.27. – Tanto in ipotesi di responsabilità per cose in custodia ex
art. 2051 cod. civ., quanto in ipotesi di responsabilità ex art. 2043
cod. civ., il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste
quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con
affidamento soggettivo anomalo) può – in base ad un ordine
crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo
(valutabile ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., comma 1), ovvero
escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la
responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito
rilevante a norma dell’art. 2051 cod. civ.).
5.28. – In particolare, quanto più la situazione di possibile
pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso
l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato,
tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del
comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del
danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa
il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (espressamente in tali
termini: Cass. 06/05/2015, n. 9009; in precedenza, peraltro, già
Cass. 10300/07).
5.29. – In altri termini, se è vero che il riconoscimento della
natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità

si

fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria Sulla
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5.26. – A queste condizioni può allora rilevare il fatto del

cosa custodita in funzione di prevenzione dai danni prevedibili a chi
con quella entri in contatto (Cass. 17/10/2013, n. 23584), è
altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi
entri in contatto con la cosa risponde anch’essa a criteri di
ragionevole probabilità e quindi di causalità adeguata.
5.30. – Tale dovere di cautela corrisponde già alla previsione

del proprio fatto colposo e può ricondursi – se non all’ormai non più in
auge principio di auto responsabilità – almeno ad un dovere di
solidarietà, imposto dall’art. 2 Cost., di adozione di condotte idonee a
limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per gli altri in nome
della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in
adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse
contingenze nelle quali si venga a contatto con la cosa.
5.31. – In tal senso, del resto, già si è statuito che la
responsabilità civile per omissione può scaturire non solo dalla
violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento
dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le
quali impongano il compimento di una determinata attività a tutela di
un diritto altrui: principio affermato sia quando si tratti di valutare se
sussista la colpa dell’autore dell’illecito, sia quando si tratti di stabilire
se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del
danno,

ex art. 1227, comma primo, cod. civ. (Cass. Sez. U.

21/11/2011, n. 24406).
5.32. – Un tale contemperamento risponde anche al canone di
proporzionalità imposto dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (firmata
a Roma il 4 novembre 1950, ratificata – in uno al protocollo
aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – con legge 4 agosto
1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24
settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955) allorquando
si coinvolga uno di tali diritti, quale quello alla vita (di cui all’art. 2) o
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codicistica della limitazione del risarcimento in ragione di un concorso

alla salute (di cui, sia pure in maniera indiretta, all’art. 8, co. 1 e 2,):
come già affermato da questa Corte in tema di tutela del diritto alla
vita (Cass. ord. 22/09/2016, n. 18619), supera il controllo di
conformità alla detta Convenzione il principio di diritto (affermato da
Cass. 23/05/2014, n. 11532) secondo cui «la persona che, pur
capace di intendere e di volere, si esponga volontariamente ad un

condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente
derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a
segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto».
5.33. – In particolare, un detto principio, nella sua astrattezza,
deve dirsi contemperare adeguatamente l’esigenza di tutela del diritto
alla vita da parte dello Stato e dei pubblici poteri (con conclusione che
si estende agevolmente alla tutela del diritto alla salute od
all’incolumità in genere e, per di più, ai rapporti tra privati, anche a
questi applicandosi la Convenzione: da ultimo, Corte EDU
20/12/2016, Ljaskaj c/ Croazia), con quella – altrettanto imperiosa e
dettata da elementari esigenze di ragionevolezza – di non accollare
alla collettività – o comunque immotivatamente al prossimo – le
conseguenze dannose, soprattutto di natura economica (e quindi
tutelate dall’art. 1 del primo protocollo aggiunto alla richiamata
Convenzione europea), che derivino da condotte che siano qualificate
come assurte in via esclusiva a volontaria e consapevole esposizione
al rischio serio o grave per la vita da parte della potenziale vittima e
quindi unica causa del danno da questa patito, quand’anche al bene
primario della vita stessa.
5.34. – E si è concluso che, per il margine di apprezzamento
normalmente riconosciuto al singolo Stato nell’assicurare la
salvaguardia dei diritti fondamentali, la tutela del diritto alla vita – e
quindi anche di quello all’incolumità e alla salute – da parte dei
pubblici poteri – e nei rapporti ìnterprivati – non può spingersi al

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rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una

risarcimento dei danni derivanti dalla condotta volontaria, qualificata
unica causa della lesione a quel diritto, del titolare di quel diritto.
5.35. – Ne consegue che, quando il comportamento del
danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo
stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal
comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i

compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende
sempre un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela: e
quando manchi l’intrinseca pericolosità della cosa e le esatte
condizioni di queste siano percepibili in quanto tale, ove la situazione
comunque ingeneratasi sia superabile mediante l’adozione di un
comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso
danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla
cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenuto
integrato il caso fortuito (in termini sostanzialmente analoghi: Cass.
05/12/2013, n. 28616).
5.36. – Pertanto, ove la condotta del danneggiato assurga, per
l’intensità del rapporto con la produzione dell’evento, al rango di
causa esclusiva dell’evento e del quale la cosa abbia costituito la
mera occasione, viene meno appunto il nesso causale tra la cosa
custodita e quest’ultimo e la fattispecie non può più essere sussunta
entro il paradigma dell’art. 2051 cod. civ., anche quando la condotta
possa essere stata prevista o sia stata comunque prevedibile, ma
esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio
probabilistico di regolarità causale.
5.37. – In caso di rapporto via via meno intenso, ferma allora la
responsabilità del custode in ragione della sussistenza (nel senso di
non riuscita elisione) del nesso causale tra cosa custodita ed evento
dannoso, la colpa del danneggiato rileverà ai fini del primo comma
dell’art. 1227 cod. civ., sulla base di una valutazione anche ufficiosa.

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due fattori costituisce valutazione (squisitamente di merito), che va

5.38. – Già in tale senso, del resto, la richiamata Cass.
29/07/2016, n. 15761, ha ribadito il principio (di cui a Cass.
22/03/2011, n. 6550) che il custode si presume responsabile, ai sensi
dell’art. 2051 cod. civ., dei danni riconducibili alle situazioni di
pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla
conformazione stessa della cosa custodita e delle sue pertinenze,

quale, però, assume efficacia causale esclusiva, soltanto ove possa
qualificarsi come estranea al novero delle possibilità fattuali
congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo in caso
contrario rilevare ai fini del concorso nella causazione dell’evento, ai
sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ.; e, se la disattenzione è
sempre prevedibile come evenienza, la stessa cessa di esserlo – ed
elide il nesso causale con la cosa custodita – quando risponde alla
inottemperanza ad un invece prevedibile dovere di cautela da parte
del danneggiato in rapporto alle circostanze del caso concreto.
5.39. – In definitiva, i principi di diritto da applicare alla
fattispecie possono così ricostruirsi:
a) «l’art. 2051 cod. civ., nel qualificare responsabile chi ha in
custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio
di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque
connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone
la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso,
indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche
intrinseche della prima»;
b) «la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di
regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode
rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 cod. civ., salvo che la
deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e
la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del
rapporto causale tra quella e l’evento dannoso»;

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potendo su tale responsabilità influire la condotta della vittima, la

c) «il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo,
è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da
un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità
adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode;
peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in
rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del

condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere»;
d)

«il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del

danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella
produzione dell’evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che
entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda
del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa – dell’art. 1227 cod. civ., primo comma; e deve
essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di
ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso
dall’art. 2 Cost. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è
suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da
parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e
prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve
considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del
medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile
che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed
evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché
astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza
ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di
regolarità causale».
6. – Alla luce di quanto sopra e, segnatamente, del principio di
diritto sub 5.39, lett. d), non è dato ravvisare alcuna delle violazioni
dedotte con il ricorso, giacché il Tribunale (cfr. sintesi della
motivazione già riportata al § 1.2. del “Ritenuto che”, cui si rinvia) ha
valutato la condotta della danneggiata in base alle risultanze
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tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche

probatorie acquisite e l’ha ritenuta connotata da peculiare
imprudenza, tale da integrare ipotesi di caso fortuito idoneo a
recidere il nesso causale tra la cosa e il danno. A fronte di una
situazione della cosa accertata come obiettivamente pericolosa
(selciato che costituiva un canale di scolo delle acque dal fondo
irregolare e con doppia inclinazione) l’utente della strada era, infatti,

e prevedibili in rapporto alle circostanze (che consentivano anche
agevoli percorsi alternativi); comportamento, questo, che, invece,
non è stato adottato dall’attrice.
Sicché, non avendo rilievo ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. la
condotta colposa del custode nel difetto di manutenzione della strada,
che rileva, ove semmai sussistente,

ex art. 2043 cod. civ. [cfr.

principio di diritto sub 5.39, lett. b)], la delibazione del Tribunale vertente su quaestio facti, che avrebbe potuto essere censurata
soltanto in base al vigente art. 360, primo comma, n. 5, cod. civ. o
per violazione del c.d. “minimo costituzionale della motivazione”
(doglianze che parte ricorrente non ha mosso alla sentenza
impugnata) – si è risolta nell’individuare un’ipotesi di “caso fortuito”
integrato dalla condotta del danneggiato, correttamente valutata in
termini di elisione del nesso causale ex artt. 40 e 41 cod. civ. e in
forza della norma di cui all’art. 1227 cod. civ., che regola
positivamente l’incidenza del concorso, causale, del fatto del
danneggiato.
7. – Il ricorso va, dunque, rigettato e la ricorrente condannata
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014.
PER QUESTI MOTIVI

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in
favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 2.800,00, per compensi, oltre alle

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tenuto ad un uso prudente e secondo le cautele normalmente attese

spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma

1-quater, del d.P.R. n. 115 del

2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione
Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in data 16 novembre
2017.

del citato art. 13.

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