Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24809 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. II, 09/10/2018, (ud. 13/04/2018, dep. 09/10/2018), n.24809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28823-2014 proposto da:

GEOPOZI s.n.c. di M.L. E G., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA BALDUINA 289, presso lo studio dell’avvocato MARIA GLORIA DI

LORETO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SEBASTIANO ARBORETTI GIANCRISTOFARO;

– ricorrente –

contro

DEGIM s.r.l., in persona dell’Amministratore Unico segale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G. FERRARI, 11, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO VALENZA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCELLA ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 382/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera cd consiglio del

13/04/2018 dal Consigliere GUIDO FEDERICO.

Fatto

La Geopozzi snc propone ricorso per cassazione, con cinque motivi, nei confronti della Degim srl, avverso la sentenza della Corte d’Appello de l’Aquila n. 382/14 che, respinto l’appello principale e quello incidentale, ha unicamente corretto l’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado, in relazione all’importo riconosciuto alla Degim srl, e, confermando integralmente nel resto la sentenza del Tribunale di Lanciano, ha condannato la Geopozzi al pagamento di 83.476,30 Euro, oltre ad interessi, sul rilievo che i pali di fondazione realizzati dalla Geopozzi erano del tutto inidonei alla funzione di sostegno.

La Degim srl resiste con controricorso.

In prossimità dell’odierna adunanza la Geopozzi ha depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 343 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), in quanto la Corte ha omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello incidentale, proposto oltre il termine di 20 gg. prima della data di udienza previsto dagli artt. 343 e 166 c.p.c..

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.

Ed invero la sentenza impugnata, pur omettendo di rilevare l’inammissibilità, per tardività, dell’appello incidentale, lo ha peraltro rigettato nel merito, mentre, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’inammissibilità dell’appello incidentale non preclude l’esame dell’istanza di correzione dell’errore materiale (Cass. 10447/1998), la quale, non essendo rivolta ad una vera e propria riforma della decisione, non deve necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo di impugnazione e può essere proposta in qualsiasi forma ed essere anche implicita nel complesso delle deduzioni difensive svolte in appello (Cass. n. 7706/2003).

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 232 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo l’erronea valutazione della mancata risposta da parte del legale rappresentante della società resistente all’interrogatorio formale deferitole, e con esso si lamenta, in generale, l’errata valutazione delle risultanze processuali da parte del giudice di appello.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale, con adeguato apprezzamento di merito, ha infatti escluso che, alla luce della complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, la mancata risposta all’interrogatorio formale da parte del legale rappresentante della resistente, avesse rilevanza decisiva.

Tale valutazione non è sindacabile nel presente giudizio.

Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo infatti ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 11892/2016).

Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), lamentando che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato che, sulla base dell’espletata ctu e delle dichiarazioni testimoniali di D.P., sarebbe risultato che solo una minima parte dei pali di fondazione forniti dalla ricorrente presentavano problemi e che detti problemi erano imputabili alla committente.

Inoltre, sempre sulla base degli accertamenti del ctu e delle risultanze istruttorie la Corte territoriale avrebbe omesso di rilevare che la inidoneità dei pali di fondazione a svolgere la loro funzione di sostegno era unicamente imputabile alla committente.

Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., ex art. 360 codice di rito, n. 3), lamentando che il giudice di appello, ai fini della quantificazione dei danni, abbia preso in esame la valutazione del consulente di parte della odierna resistente, a fronte della difforme (e più contenuta) valutazione del Ctu.

I motivi, che in virtù della loro connessione vanno unitariamente esaminati, non hanno pregio.

La Corte territoriale, con adeguato apprezzamento di merito, che non è sindacabile nel presente giudizio, ha infatti confermato la liquidazione dei danni effettuata dal giudice di primo grado, rilevando che la liquidazione suddetta era stata fondata sull’esame dei documenti prodotti, ed ha correttamente qualificato i rilievi della consulenza tecnica di parte come mere allegazioni difensive, escludendo quelle componenti di danno indicate nella consulenza medesima che erano prive di riscontro probatorio.

Il giudice di merito ha dunque effettuato la determinazione dei danni sulla base della complessiva valutazione delle acquisizioni istruttorie e, pur prendendo in esame le allegazioni della consulenza di parte, le ha sottoposte ad adeguato vaglio critico.

Il quinto motivo denuncia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla valutazione fatta dal ctu ed alla conseguente ripartizione della responsabilità contenuta nella sentenza impugnata, in relazione all’imputabilità dei vizi dell’opera.

Il motivo è inammissibile, in quanto tende a sollecitare un riesame, nel merito, della valutazione delle acquisizioni istruttorie effettuata dal giudice di appello, estranea al presente giudizio di legittimità.

La Corte territoriale ha infatti affermato, con adeguato apprezzamento non sindacabile nel presente giudizio, che, a fronte dell’accertata inidoneità dei pali di fondazione a svolgere la funzione di sostegno, la subappaltatrice non aveva fornito la prova che tale inidoneità fosse a lei non imputabile.

Il giudice di appello ha inoltre ritenuto che, sulla base della indagine del ctu e delle complessive acquisizioni processuali, era stato accertato con certezza che le modalità di esecuzione dei pali erano state la causa dei cedimenti del calcestruzzo e che non era stata provata la fattispecie esonerativa, configurabile allorquando l’impresa subappaltrice sia stata un nudus minister della committente, ovvero, pur avendo segnalato l’erroneità delle direttive impartite dalla committente, questa le abbia specificamente confermate.

Orbene, tale valutazione, in quanto adeguatamente argomentata e fondata sul complessivo esame delle risultanze istruttorie, si sottrae al sindacato di legittimità, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee dimostrare i fatti in discussione, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. n. 6064/2008). Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in 4.000,00 Euro, di cui 200,00 per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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