Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24809 del 05/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 05/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 05/12/2016), n.24809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19467/2013 proposto da:

PROVINCIA DI ALESSANDRIA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI MONTI PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

MARINI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ERNESTINA POLLAROLO, ALBERTO VELLA, DIEGO DIRUTIGLIANO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), qual successore ex lege dell’I.N.P.D.A.P., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA MORRONE,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 402/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/05/2013 r.g.n. 1496/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

uditi gli Avvocati DI RUTIGLIANO DIEGO e VELLA ALBERTO;

udito l’Avvocato MORRONE MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza depositata il 14.5.2013, la Corte d’appello di Torino confermava la statuizione di primo grado che aveva rigettato la domanda della Provincia di Alessandria volta alla restituzione del 90% dei contributi previdenziali versati all’INPDAP nel triennio 1994-1997.

La Corte, in particolare, riteneva che l’art. 4, comma 90, I. n. 350/2003, che aveva esteso ai soggetti colpiti dall’alluvione piemontese del 1994 i benefici già previsti dall’art. 9, comma 17, I. n. 289/2002, a favore dei soggetti colpiti dal sisma della Sicilia orientale, escludesse dal novero dei propri destinatari le pubbliche amministrazioni.

Contro tale pronuncia ricorre la Provincia di Alessandria, affidandosi a tre motivi di censura, illustrati con memoria. Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, in relazione al D.L. n. 646 del 1994, art. 6, commi 2, 3 e 7 bis, (conv. con L. n. 22 del 1995), per avere la Corte di merito ritenuto che le pubbliche amministrazioni non fossero destinatarie dei benefici contemplati dal combinato disposto delle disposizioni citate per i soggetti colpiti dall’alluvione del 1994.

Con il secondo motivo, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1 bis, (conv. con L. n. 290 del 2006), per avere la Corte territoriale ritenuto che esso esprimesse un principio generale secondo cui i benefici contributivi spettanti ai soggetti colpiti da eventi calamitosi si riferiscono ai soli datori di lavoro privati e non anche alle pubbliche amministrazioni.

Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 300 del 2006, art. 3 quater, (conv. con L. n. 17 del 2007) per avere la Corte di merito ritenuto che il riferimento alle “imprese” ivi contenuto avvalorasse la ratio sistematica desunta dalle disposizioni citate nei primi due motivi circa la limitazione dei benefici ai soli soggetti privati. Tutti i motivi possono essere trattati congiuntamente, stante l’intima connessione delle censure svolte, e sono infondati.

Va premesso che la L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, ha esteso ai soggetti colpiti dagli eventi alluvionali del novembre 1994 e già destinatari dei provvedimenti agevolativi in materia di versamento delle somme dovute a titolo di tributi, contributi e premi, di cui al D.L. n. 646 del 1994, art. 6, commi 2, 3 e 7 bis, (conv. con L. n. 22 del 1995), le disposizioni sulla regolarizzazione automatica delle imposte previste dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, in favore dei soggetti colpiti dal sisma del 1990 in Sicilia orientale, prevedendo che tali soggetti potessero regolarizzare la propria posizione relativa agli anni 1995, 1996 e 1997 versando il 10% dell’importo dovuto entro il 31.7.2004 (termine successivamente differito al 31.7.2007 dal D.L. n. 300 del 2006, art. 3 quater, comma 1, conv. con L. n. 17 del 2007).

Al riguardo, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che la definizione automatica della posizione previdenziale può avvenire, per chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento del solo 10% del dovuto e, per chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato, dovendo ritenersi, nel silenzio del legislatore circa la posizione di coloro che, all’entrata in vigore della normativa recante il beneficio, avessero già ottemperato al pagamento dell’obbligazione contributiva, che un’interpretazione che escludesse costoro dalla possibilità di richiedere la restituzione di quanto versato in eccesso si porrebbe in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale circa l’irragionevolezza di disposizioni legislative che sopprimano o riducano la prestazione dovuta per obbligazioni pubbliche già perfezionatesi, prevedendo al contempo l’irripetibilità delle somme già versate in esecuzione del rapporto obbligatorio siccome conformato in precedenza (Cass. n. 11247 del 2010).

Ciò premesso, si tratta di stabilire se le agevolazioni in questione possano estendersi anche alle pubbliche amministrazioni, come sostenuto dalla ricorrente, ovvero debbano intendersi limitate ai soggetti privati, come invece ritenuto nella sentenza impugnata.

Reputa il Collegio che un’interpretazione sistematica delle disposizioni richiamate militi a sostegno di quest’ultima soluzione.

Va premesso che, giusta il richiamo operato dalla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, al D.L. n. 646 del 1994, art. 6, commi 2, 3 e 7 bis, (conv. con L. n. 22 del 1995), i “soggetti” destinatari del beneficio della regolarizzazione automatica sono da individuarsi nelle “persone fisiche che hanno il domicilio o la residenza nei comuni individuati ai sensi dell’art. 1, comma 1, alla data del 4 novembre 1994 e che hanno subito rilevanti danni”, nei “soggetti, diversi dalle persone fisiche, aventi sede alla data del 4 novembre 1994 nei comuni individuati ai sensi dell’art. 1, comma 1”, nei “soggetti, comprese le persone fisiche, aventi residenza o sede altrove, che svolgano nei predetti comuni la propria attività o che possiedano immobili ivi ubicati” (“a condizione che (…) abbiano subìto rilevanti danni e limitatamente alle obbligazioni che afferiscono in via esclusiva alle attività stesse o agli immobili danneggiati” e che non si tratti di “soggetti che svolgono le attività bancarie od assicurative”) e infine nei “soggetti che (…) posseggono soltanto redditi di partecipazione in società di persone, imprese familiari ed aziende coniugali, nonchè in gruppi Europei di interesse economico destinatari delle disposizioni recate dal presente articolo, semprechè abbiano subito danno rilevante nella misura prevista dal successivo comma 16 bis, in proporzione alle quote di partecipazione”.

Ora, benchè l’espressione “soggetti” possa astrattamente prestarsi all’inclusione nel novero dei beneficiari anche delle pubbliche amministrazioni, ritiene il Collegio che l’interpretazione della disposizione in esame non possa prescindere da una lettura sistematica che la rapporti non soltanto alle altre disposizioni del D.L. n. 646 del 1994, ma altresì al complesso delle disposizioni che concernono gli interventi straordinari istituiti per fronteggiare le calamità naturali.

Si tratta di una lettura necessaria, giacchè pur potendosi in termini generali convenire sul rilievo secondo cui il ricorso al criterio ermeneutico dell’intenzione del legislatore non è necessario quando l’interpretazione letterale sia sufficiente a individuare in modo chiaro e univoco il significato di una disposizione normativa (v. in tal senso Cass. n. 1111 del 2012, ove ampi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte), non si può in specie non rilevare che, non avendo il legislatore precisato se il termine “soggetti” dovesse intendersi comprensivo anche dei soggetti di diritto pubblico, ossia delle pubbliche amministrazioni, il testo normativo risulta inevitabilmente ambiguo e richiede il ricorso ad elementi estranei alla disposizione in esame per la determinazione del suo significato.

Sul punto, invero, non può convenirsi con la Provincia ricorrente nel rilievo secondo cui l’impiego del vocabolo “soggetti” obbligherebbe l’interprete, in ragione del suo significato letterale, a ritenervi incluse le pubbliche amministrazioni: codesta attribuzione di senso si fonda in realtà sull’applicazione tacita del noto canone ermeneutico secondo cui, in presenza di una disposizione che predica una certa qualificazione normativa a vantaggio di una certa classe di soggetti, non si può ammettere che si dia un’altra norma che escluda quella stessa qualificazione per un’altra classe di soggetti che abbia con la prima una somiglianza (o analogia) assunta come rilevante in ordine all’identità di disciplina giuridica. Si tratta, in altri termini, del noto argomento a simili ad simile, secondo cui l’interprete dovrebbe astenersi dall’introdurre differenziazioni tra situazioni omologhe lì dove il legislatore non ne ha previste, e traendo in specie quest’ultimo la sua capacità di persuasione retorica dalla rilevanza della somiglianza o analogia che presuppone tra soggetti privati e soggetti pubblici, al fine di disciplinarli egualmente, l’attribuzione di senso si palesa anche in questo caso come risultato di un’interpretazione tutt’altro che “letterale” del dato normativo, non essendo certamente rinvenibili in quest’ultimo le ragioni della somiglianza o analogia che si vorrebbe presupporre.

Non potendosi dunque prescindere, ai fini dell’interpretazione del D.L. n. 646 del 1994, art. 6, dalla sistematica delle disposizioni che provvedono per fronteggiare le calamità naturali, rilevano in primo luogo il medesimo D.L. n. 646 del 1994, artt. 1, 2 e 3: in essi, infatti, gli enti locali rientranti nel territorio colpito dagli eventi alluvionali sono contemplati come destinatari della speciale autorizzazione a contrarre mutui ventennali (anche in deroga ai limiti d’indebitamento stabiliti dalla legislazione vigente) per provvedere al ripristino dei beni di propria pertinenza che siano rimasti danneggiati, prevedendosi un concorso integrale o parziale dello Stato nell’ammortamento dei mutui a seconda che gli enti locali beneficiari ricadano o meno nel territorio delle regioni individuate con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al D.L. n. 646 del 1994, art. 1, comma 1.

Si tratta di disposizioni che, prevedendo per gli enti locali specifiche misure di sostegno finanziario “per la riparazione dei danni subìti dalle infrastrutture pubbliche, dai beni culturali e ambientali pubblici, dalle opere viarie, ferroviarie, idriche, irrigue, idrauliche, fognarie e igienico-sanitarie, dalle strutture scolastiche, nonchè dai mezzi di trasporto urbano ed extraurbano adibiti a servizio pubblico” (D.L. n. 646 del 1994, art. 3, comma 1, lett. a)), costituiscono all’evidenza manifestazione di quel principio solidaristico posto in forma generale dagli artt. 2 e 3 Cost., e che si esprime, in specie, nella necessità che la collettività statale tutta assuma su di sè, totalmente o parzialmente, le conseguenze di eventi dannosi fortuiti che colpiscano collettività territorialmente minori (v. per spunti in tal senso, seppure in diversa fattispecie, le argomentazioni di Corte cost. nn. 455 del 1990 e 118 del 1996). Ma se è vero che le previsioni contenute nelle disposizioni citate si giustificano (solo) in quest’ottica solidaristica, risulta evidente che estendere ai soggetti pubblici (anche) il beneficio previsto dal successivo D.L. n. 646 del 1994, art. 6, costituirebbe un eccesso di scopo, tanto più irragionevole ove si consideri che, mentre le agevolazioni concernenti la stipulazione dei mutui sono vincolate ad una precisa finalità riparatoria, espressamente enunciata nel già citato D.L. n. 646 del 1994, art. 3, comma 1, lett. a), il beneficio della regolarizzazione dei contributi, premi e tributi, non possedendo analogo vincolo di scopo, ben potrebbe essere distratto verso finalità altre, con conseguente sviamento dalla funzione di cui pure in ipotesi dovrebbe essere servente.

Le suesposte considerazioni, che già militano univocamente verso l’attribuzione del significato di “soggetti privati” al vocabolo “soggetti” di cui al D.L. n. 646 del 1994, art. 6, visto che, essendo l’attività dei privati essenzialmente libera nel fine, le risorse monetarie che lo Stato decide di attribuire loro per ragioni solidaristiche non hanno di norma alcun vincolo di destinazione, risultano rafforzate, sempre dal punto di vista sistematico, dalle previsioni contenute nel D.L. n. 300 del 2006, art. 3 quater, comma 1, (conv. con L. n. 17 del 2007), e nel D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1 bis (conv. con L. n. 290 del 2006).

Con la prima delle due disposizioni, infatti, il legislatore ha previsto che “Per i contributi previdenziali, i premi assicurativi e i tributi riguardanti le imprese, relativi all’alluvione del Piemonte del 1994, il termine di presentazione delle domande di cui alla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90, è differito al 31 luglio 2007”: e lungi dal mettere capo al mero slittamento del termine di decadenza per le sole imprese private, come invece suggerito dalla Provincia ricorrente, la disposizione in esame (la cui valenza confermativa della mens legis consacrata dal D.L. n. 646 del 1994, art. 6, è già stata constatata da questa Corte nelle pronunce nn. 11133 e 11247 del 2010, già cit.) illustra come meglio non si potrebbe che le pubbliche amministrazioni debbono considerarsi estranee dal beneficio in questione.

Con la seconda delle anzidette disposizioni, poi, il legislatore, interpretando autenticamente la L. n. 225 del 1992, ha previsto che “le disposizioni delle ordinanze di protezione civile che prevedono il beneficio della sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi assicurativi si applicano esclusivamente ai datori di lavoro privati aventi sede legale ed operativa nei comuni individuati da ordinanze di protezione civile”: e anche se è vero che, a differenza di quanto previsto dal provvedimento originariamente istitutivo del beneficio della regolarizzazione automatica (ossia dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17), i soggetti beneficiari della regolarizzazione di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, sono stati individuati non già con ordinanza di protezione civile, bensì direttamente dal D.L. n. 646 del 1994, art. 6, la circostanza che anche tale ultima norma sia stata emanata per fronteggiare una calamità naturale e prevedesse quella medesima sospensione dei pagamenti disposta dal D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1 bis, induce a ritenerle entrambe espressione della medesima ratio legis, la cui conformità a Costituzione è già stata vagliata da Corte cost. n. 325 del 2008 sul rilievo che “corrisponde ad un principio di non irragionevole esercizio della discrezionalità del legislatore la scelta di limitare il beneficio della sospensione del versamento contributivo ai soli datori di lavoro del settore privato”, dato che questi, “a differenza delle amministrazioni pubbliche, spesso non dispongono di sufficienti risorse e di idonea capacità organizzativa per fronteggiare in modo adeguato emergenze come quelle originate dall’evento sismico” (o, come nella specie, dagli eventi alluvionali).

Mette conto, da ultimo, precisare che a contrarie conclusioni non può pervenirsi nemmeno considerando la L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, che ha previsto che “i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, (…) che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modificazioni, hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea, al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l’istanza di rimborso ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, e successive modificazioni”, aggiungendo che “il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248”: indipendentemente dalla questione del decorso del termine per la presentazione delle domande di rimborso, che non rileva nella vicenda oggetto del presente giudizio, la disposizione in esame si limita a confermare, per quanto qui interessa, che il beneficio di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, non consiste soltanto nella possibilità di pagare il 10% del dovuto, ma anche di aver rimborsato il 90% di quanto si è pagato, così come già ritenuto da questa Corte fin dalla pronuncia n. 11247 del 2010, cit. E lasciando anch’essa all’interprete il compito di attribuire al termine “soggetti” il significato che deve ritenersi suo proprio, non possono al riguardo che ripetersi le considerazioni svolte in precedenza circa la necessità di escludere dal novero di codesti “soggetti” le pubbliche amministrazioni.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Provincia ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 15.100,00, di cui Euro 15.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2016

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