Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24808 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 19/10/2017, (ud. 11/07/2017, dep.19/10/2017),  n. 24808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17855/2013 proposto da:

G.N., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dagli avvocati Bona Carlo, Baroni Massimo, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit S.p.a., derivante dalla fusione di UniCredit Banca S.p.a.,

Unicredit Banca di Roma S.p.a., Banco di Sicilia S.p.a., Unicredit

Private Banking S.p.a., Unicredit Corporate Banking S.p.a.,

Unicredit Family Financing Bank S.p.a. e Unicredit Banca Assurance

Management & Administration S.c.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Bertoloni n. 44, presso lo studio dell’avvocato Formaro Antonio, che

la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 139/2012 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 26/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Sig. G.N., con atto di citazione del 30 ottobre – 6 novembre 2006, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Rovereto, la Unicredit Banca S.p.A., con cui intratteneva un rapporto di conto corrente di corrispondenza in relazione al quale erano state concesse varie linee di credito (fidi per anticipo, portafoglio salvo buon fine, ecc.), chiedendo, per quanto ancora rileva in questa fase del giudizio: a) l’accertamento dell’avvenuto pagamento, da parte sua, di una somma (Euro 46.791,00) mediante pagherò cambiari; b) la rideterminazione dei rapporti debito-credito tra le parti.

1.1. L’attore esponeva, a tal riguardo, che essendovi controversia relativa al debito di esso correntista, era stato adito – in precedenza lo stesso Tribunale che, con la sentenza del 1 giugno 2006, ricostruendo i rapporti di dare-avere, aveva accertato che l’attore era debitore della somma di Euro 174.773,00, alla data del 1 luglio 2001.

1.2. In particolare, era emerso che l’attore aveva stipulato con la Banca un piano di rientro che prevedeva alcuni pagamenti, dei quali: 1) una parte, eseguita con cambiali da lui cedute che, benchè insolute, non le erano state restituite, così precludendogli le azioni, esecutiva (nei confronti dell’emittente) e di regresso (nei confronti del giratario); 2) un’altra parte, effettuata con titoli cambiari (pari a complessive Lire 90.600.000), regolarmente incassati dall’istituto bancario senza che il corrispondente importo fosse stato accreditato sul suo conto corrente.

1.3. Il Tribunale respingeva tutte le domande proposte, tra le quali anche (ma non solo) quelle sopra menzionate, affermando – in ordine al secondo gruppo di pagherò, tutti rilasciati tra il marzo ed aprile 2001 – che i detti titoli, non menzionati nell’accordo di “rientro” dell’11 luglio 2001, erano stati consegnati alla Banca in una data non posteriore al 1 luglio 2001. Essi avrebbero formato oggetto di un'”eccezione tardivamente sollevata dal G.” nel primo giudizio, sicchè la decadenza in cui egli era incorso non era ora emendabile, ostandovi il giudicato. Inoltre, tenuto conto che si trattava di pagherò emessi tra il marzo e l’aprile del 2001 (e tutti pagabili a vista) si doveva presumere che fossero stati tutti girati ed incassati prima del 1 luglio 2001.

2. Avverso tale sentenza, il soccombente proponeva gravame chiedendo alla Corte d’Appello di Trento di riformare la sentenza di primo grado, tra l’altro, con riferimento all’incasso non contabilizzato dei pagherò, perchè: a) la domanda dichiarata inammissibile non poteva formare oggetto di giudicato; b) il primo giudizio verteva su titoli diversi da quelli oggetto di quest’ultimo.

3. La Corte territoriale ha respinto tutte le censure di appello e, tra queste, residuando tale unica questione rispetto al complessivo contenzioso promosso dall’odierno ricorrente, anche quella relativa al predetto gruppo di pagherò cambiari che asseriva non essere mai stati contabilizzati dalla Banca.

3.1. Secondo la Corte territoriale, tali titoli (per complessivi Euro 46.791,00) erano stati conteggiati nella ricostruzione dei rapporti di debito-credito tra le parti, fatta dal Tribunale con la sentenza n. 225/06, passata in giudicato, senza che il correntista nei propri scritti (l’atto di citazione e quelli successivi) avesse mai affermato di averli consegnati alla Banca dopo il 1 luglio 2001 od in connessione con l’accordo dell’11 luglio 2001, onde – per essere essi tutti pagabili a vista ed emessi tra il marzo e l’aprile 2001 – si doveva presumere che gli stessi erano stati incassati prima del 1 luglio 2001, data in relazione alla quale la prima sentenza del Tribunale aveva ricostruito i rapporti di dare-avere ed aveva quantificato il debito residuo del correntista, sicchè il giudicato copriva ogni possibile questione (dedotta o deducibile).

3.2. Inoltre, la presunzione (di pagamento delle cambiali entro quella data e della loro contabilizzazione) era ulteriormente avvalorata anche dal fatto che l’accordo dell’11 luglio 2001, successivo alla data di ricostruzione del saldoconto operata dal Tribunale, non aveva affatto menzionato quei titoli.

3.3. Infine, per molti di quei pagherò sarebbe stata nota anche la data di incasso, anteriore al 1 luglio 2001; e, per i titoli di cui la stessa non sarebbe stata nota, si poteva affermare che l’incasso era comunque avvenuto prima della detta data, come risultava da due annotazioni di incasso (una del 15 maggio ed una del 12 giugno 2001), nelle quali erano state conteggiate le somme corrispondenti ad un insieme di accrediti, sicchè tra essi era ragionevole includere anche i titoli residui (anche se non specificamente individuati).

3.4. L’appello del correntista, secondo cui il primo giudizio si sarebbe svolto con riferimento a titoli diversi da quelli qui considerati, sarebbe infondato in quanto, discutendosi in quella causa dei rapporti di dare-avere ricostruiti fino alla data del 1 luglio 2001, sarebbe stata quella la sede per “eccepire (ritualmente) l’intervenuto pagamento” (a mezzo dei titoli in esame), risultando altrimenti la detta eccezione tardivamente proposta e perciò non più proponibile nel corso di questa causa, essendo sceso il giudicato sul dare ed avere delle parti al 1 luglio del 2001 (in quanto oggetto di definizione giudiziale).

3.5. Del resto l’osservazione dell’appellante, secondo cui tale giudicato non potrebbe investire un’eccezione definita inammissibile, non coglierebbe nel segno in quanto tale espressione avrebbe solo il significato della preclusione sostanziale relativa alla chiusura dell’accertamento relativo al periodo fino al 1 luglio 2001.

4. Avverso tale decisione, il Sig. G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi di censura.

4.1. La Banca ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.: art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente censura la decisione resa dalla Corte territoriale nella parte in cui afferma che il pagamento delle cambiali, e la mancata contabilizzazione di tali somme, aveva formato oggetto di una eccezione, non di una domanda, nell’ambito del primo giudizio tra le parti (essendo il ricorrente parte attrice e come tale autore solo di domande giudiziali e non di eccezioni).

1.1. Di conseguenza, trattandosi di domanda (e non di eccezione), nella specie inammissibile perchè tardiva, la sua definizione non poteva costituire oggetto di giudicato; e ciò sia nell’ipotesi che essa non fosse stata proposta e sia nel caso in cui essa fosse stata dichiarata inammissibile: il giudicato non coprirebbe le domande inammissibili e quelle non strettamente connesse alla materia controversa (come nella specie).

2. Con il secondo motivo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 e 2929 c.c.: art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente censura la decisione resa dalla Corte territoriale nella parte in cui afferma che “sarebbe provata la contabilizzazione dei titoli”, contro l’affermazione del primo giudice che avrebbe affermato il contrario (“la Banca non ha mai accreditato la somma sul conto corrente”) senza che fosse stato proposto appello incidentale dell’Istituto creditizio, con conseguente copertura del giudicato.

2.1. Inoltre la Corte avrebbe fatto un anomalo ricorso alle presunzioni per giungere alla affermazione della contabilizzazione di quelle somme.

3. Nell’argomentazione dei due motivi di ricorso vi è una parte comune che, per la correlata risposta, ne esige – in parte qua – una trattazione congiunta.

3.1. Infatti, il ricorrente – con i detti mezzi – ignora il supporto logico della motivazione della sentenza che è costituito, principalmente, dall’affermazione secondo cui il primo dei due giudizi, svoltosi tra le parti e definito dal primo giudice (il Tribunale di Rovereto, con la sentenza n. 225/06, passata in giudicato), ha avuto ad oggetto la definizione globale dei rapporti di dare ed avere tra la Banca ed il correntista fino al 1 luglio 2001, con la conseguente affermazione del credito dell’Istituto bancario, calcolato attraverso la ricostruzione dei rapporti tra le parti.

3.2. Tale credito è propriamente l’oggetto del giudicato, in ciò formatosi a seguito del primo giudizio, ed esso – secondo il dictum qui considerato – si estende fino a coprire ogni pretesa tra le parti così come definita a quella ben individuata data.

3.3. Una tale conclusione è perfettamente legittima secondo i principi che regolano la cosa giudicata ed il suo oggetto, e va qui ribadita alla luce del risalente, ma autorevole, principio di diritto (Sez. 1, Sentenza n. 2550 del 1983), a cui va data piena continuità in questa sede, secondo cui “la forza del giudicato sostanziale assiste soltanto le pronunzie giurisdizionali a contenuto decisorio di merito, vale a dire quelle che statuiscono in ordine all’esistenza delle posizioni soggettive tutelate e dedotte in giudizio, e non anche le statuizioni di carattere processuale, attinenti cioè alla costituzione del giudice o alla determinazione dei suoi poteri ovvero allo svolgimento del processo, che producono effetti limitati al rapporto processuale nel quale sono emanate.”.

3.4. Ne deriva che, a prescindere dalla corretta indicazione come “eccezione” del correntista, la Corte ha affermato che quella sua domanda di contabilizzazione delle somme oggetto di pagamento a mezzo dei pagherò per cui è causa, doveva comunque formare oggetto di accertamento solo e soltanto nella sede deputata (il primo giudizio svoltosi avanti al Tribunale di Rovereto), laddove cioè ogni questione era stata proposta ed ormai anche definita, sicchè sul credito conseguente alla ricostruzione dei rapporti tra le parti, fino al 1 luglio 2001, era ormai sceso il giudicato.

4. Tanto premesso, il primo mezzo di ricorso, con il quale si censurano i profili formali dell’affermazione compiuti dalla Corte territoriale sono infondati, in quanto non idonei a contrastare la ratio decidendi (contenuta nella sentenza di appello), così come sopra ricostruita.

5. Ma risulta infondata anche la seconda censura – quella avente ad oggetto la ricostruzione, per presunzioni, della cd. contabilizzazione dei pagamenti ottenuti dalla Banca a seguito del rilascio dei pagherò in contestazione – in quanto (sebbene si tratti di motivazione svolta ad abundantiam) il giudice distrettuale ha autonomamente ricostruito l’effettività delle annotazioni, esclusivamente al fine di accertare la loro computabilità (non l’effettiva computazione) nel segmento del rapporto di conto corrente concluso il 1 luglio 2001, sicchè riconducendosi a quel periodo temporale – la loro annotazione avrebbe dovuto formare oggetto di accertamento nell’ambito del giudizio che era stato definito dalla sentenza del Tribunale di Rovereto n. 225/06, ormai passata in giudicato.

5.1. Del resto, “nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e il fatto ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità”, sicchè il ricorso alle presunzioni “è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato” (Sez. L, Sentenza n. 154 del 2006, Sez. 3, Sentenza n. 12802 del 2006).

5.2. E, per quanto il ricorso lo contesti, va detto che, di contro (Sez. 1, Sentenza n. 16993 del 2007) “il convincimento del giudice può ben fondarsi anche su una sola presunzione, purchè grave e precisa, nonchè su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari”, atteso che – come si è già detto – è sufficiente che “il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza”.

6. Il ricorso, complessivamente infondato, deve essere respinto, con le conseguenze di legge: le spese, poste a carico della parte soccombente e liquidate come da dispositivo, e l’accertamento dell’esistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida, in favore di ciascuna della parti costituite, in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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