Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24808 del 05/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 05/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 05/12/2016), n.24808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19172-2011 proposto da:

PICENA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, (già DIANA 92 S.R.L.) C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso lo studio SABATINI –

SINAGRA – SANCI, rappresentata e difesa dall’Avvocato FRANCO

SABATINI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 160/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 18/04/2011 r.g.n. 1194/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. CAVALLARO LUIGI;

udito l’Avvocato MINISCI LORENZO per delega Avvocato SABATINI FRANCO;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza non definitiva depositata il 27.5.2010, seguita da altra definitiva depositata il 18.4.2011, la Corte d’appello dell’Aquila, in riforma della statuizione di primo grado, rigettava l’opposizione proposta da Picena s.r.l. avverso la cartella esattoriale con cui le era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per sgravi indebitamente fruiti sui contributi dovuti in relazione ai contratti di formazione e lavoro con taluni suoi dipendenti.

La Corte, in particolare, dopo aver rigettato l’eccezione preliminare di improcedibilità dell’appello, accoglieva il gravame proposto dall’INPS, ritenendo che gli sgravi di cui l’appellata aveva goduto costituissero aiuti di Stato vietati giusta la decisione della Commissione europea dell’11.5.1999.

Contro tali statuizioni ricorre Picena s.r.l., formulando un motivo di censura nei confronti della sentenza non definitiva e cinque contro la sentenza definitiva, tre dei quali illustrati con memoria. Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

Con l’unico motivo di censura formulato nei confronti della sentenza non definitiva, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, per avere la Corte di merito ritenuto la procedibilità dell’appello dell’INPS nonostante che il decreto di fissazione dell’udienza fosse stato notificato oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 435 cit., ancorchè entro quello di venticinque giorni prima dell’udienza.

Il motivo è infondato, essendo ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la violazione del termine di dieci giorni entro il quale l’appellante deve notificare all’appellato il ricorso (tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione) unitamente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione non produce alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perchè non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che, in forza del medesimo art. 435 c.p.c., commi 3 e 4, deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione (cfr. Cass. n. 23426 del 2013; più recentemente, nello stesso senso, Cass. n. 3959 del 2016).

Vengono quindi in esame le censure rivolte da parte ricorrente avverso la sentenza definitiva.

Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di recupero dovesse individuarsi nella data di decisione della Commissione europea, nonostante che ad essa non potesse attribuirsi il carattere di ius superveniens.

Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., in relazione alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, per avere la Corte territoriale ritenuto che il termine di prescrizione avesse durata decennale e non quinquennale.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25, comma 1, L. n. 388 del 2000, art. 78, L. n. 289 del 2002, art. 38, comma 8, L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 25, in relazione all’art. 249, comma 4, Trattato CE (oggi art. 288 TFUE), per avere la Corte di merito ritenuto che non fosse maturata alcuna decadenza dall’iscrizione a ruolo, nonostante che, non avendo la decisione della Commissione europea efficacia orizzontale, ma solo verticale, il primo atto con il quale l’INPS aveva proceduto all’individuazione del debito doveva ravvisarsi nella diffida del 21.12.2005, data successiva all’ultima proroga dell’entrata in vigore delle disposizioni che prevedono l’iscrizione a ruolo entro un anno dall’accertamento.

Con il quarto motivo, ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 1 e 2 della decisione della Commissione europea dell’11.5.1999, per avere la Corte territoriale ritenuto che l’onere della prova circa la spettanza degli sgravi, ovvero della sussistenza delle condizioni di cui ai citati artt. 1 e 2, gravasse sull’azienda e non sull’INPS.

Da ultimo, con il quinto motivo, si censura la sentenza impugnata di violazione e falsa applicazione degli artt. 414 e 416 c.p.c., nonchè di omessa motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto pacifico che i contratti di formazione e lavoro menzionati a pag. 27 del ricorso per cassazione fossero stati stipulati in assenza delle condizioni legittimanti il diritto agli sgravi, di cui invece la documentazione versata in atti evidenziava la puntuale ricorrenza.

I primi quattro motivi sono infondati, dovendosi dare continuità all’orientamento già espresso da questa Corte in subiecta materia con le pronunce nn. 6671, 6672 e 6673 del 2012, quest’ultima resa in una vicenda pressochè sovrapponibile alla presente.

Circa il primo e il secondo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente in considerazione dell’intima connessione dei profili di censura, va ribadito che, agli effetti del recupero degli sgravi contributivi integranti aiuti di Stato incompatibili col mercato comune, vale il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., decorrente dalla notifica alla Repubblica Italiana della decisione comunitaria di recupero, atteso che, ai sensi degli artt. 14 e 15 del Regolamento (CE) n. 659/1999, siccome interpretati dalla giurisprudenza comunitaria, le procedure di recupero sono disciplinate dal diritto nazionale, ex art. 14 cit., nel rispetto del principio di equivalenza fra le discipline, comunitaria e interna, nonchè del principio di effettività del rimedio, mentre il periodo limite decennale ex art. 15 cit. riguarda l’esercizio dei poteri della Commissione circa la verifica di compatibilità dell’aiuto e l’eventuale decisione di recupero; per contro, non possono ritenersi applicabili nè il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c., atteso che lo sgravio contributivo opera come riduzione dell’entità dell’obbligazione contributiva e l’ente previdenziale, che agisce per il pagamento degli importi corrispondenti agli sgravi illegittimamente goduti, non può conseguentemente definirsi attore in ripetizione di indebito oggettivo, nè il termine di prescrizione quinquennale L. n. 335 del 1995, ex art. 3, commi 9 e 10, dal momento che, riguardando tale disposizione le sole contribuzioni di previdenza e assistenza sociale e potendo invece l’incompatibilità comunitaria riguardare qualsiasi tipo di aiuto, non è possibile assimilare l’azione di recupero dello sgravio da aiuto di Stato illegittimo e l’azione di pagamento di contributi non versati e applicare analogicamente alla prima il termine di prescrizione proprio della seconda (cfr. in termini Cass. nn. 6671 e 6756 del 2012).

Circa il terzo motivo, va riaffermato che l’obbligo di versare i contributi corrispondenti agli sgravi indebitamente fruiti non deriva affatto da un atto di accertamento dell’INPS, bensì direttamente dall’obbligo di pagamento dei contributi medesimi in misura intera, in conseguenza della statuita incompatibilità con il mercato comune degli sgravi concessi (così Cass. n. 6673 del 2012); e se ciò è di per sè decisivo a far ricadere la vicenda per cui è causa nel regime dettato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 36, comma 6, che differisce ai contributi dovuti successivamente all’entrata in vigore del precedente art. 25 l’obbligo d’iscrizione a ruolo entro un anno dall’accertamento, vale la pena di precisare che una conclusione del genere non equivale affatto a conferire efficacia c.d. orizzontale alla citata decisione della Commissione europea, dovendo pur sempre distinguersi, nell’ambito dei rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno, tra il modo in cui il primo può vincolare il secondo e il modo con cui, nel secondo, si manifestano gli effetti del vincolo imposto dal primo e costituendo, in quest’ottica, l’obbligo dell’azienda ricorrente di pagare i contributi un semplice effetto dell’impossibilità degli organi dello Stato, destinatari della decisione della Commissione, di dare applicazione a leggi che prevedevano sgravi contributivi ritenuti in contrasto con l’ordinamento comunitario.

Circa il quarto motivo, richiamato il principio secondo cui, nelle controversie relative al recupero dei contributi non corrisposti per indebita fruizione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro opponente l’onere di provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della detrazione (cfr., tra le tante, Cass. n. 21898 del 2010), va ribadito che la circostanza che, nella specie, le condizioni legittimanti il beneficio e la sua conseguente non recuperabilità siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie non può alterare i termini della ripartizione dell’onere probatorio, spettando pur sempre al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle condizioni, stabilite dalla Commissione o da quest’ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale, per poter legittimamente usufruire degli sgravi (Cass. n. 6671 del 2012).

Del quinto e ultimo motivo, invece, va dichiarata l’inammissibilità: è sufficiente sul punto rilevare che parte ricorrente si duole di omesso esame di una generica “documentazione”, di cui, in flagrante violazione del principio di specificità del ricorso per cassazione, non ha specificato nè gli estremi identificativi, nè il contenuto, limitandosi a fare rinvio agli atti di causa.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Tenuto conto che i principi di diritto dianzi enunciati si sono consolidati successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2016

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