Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24806 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. I, 06/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 06/11/2020), n.24806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14399/2019 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico 38,

presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), Ministero Dell’interno Commissione

Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale;

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1586/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI;

udito l’Avvocato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.I., nato in (OMISSIS), ha impugnato innanzi al Tribunale di Roma il provvedimento di rigetto dell’istanza di riconoscimento della protezione internazionale adottato dalla Commissione territoriale. La decisione di rigetto del ricorso veniva impugnata dal richiedente e la Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello per assenza di specificità dei motivi proposti.

Il giudice di appello ha dedotto che l’appellante aveva riproposto quanto sostenuto in primo grado, sostenendo di essere stato costretto ad abbandonare il paese di origine – Gambia – a causa di incendio causato involontariamente dal quale erano derivati danni a cose e persone in esito alle quali era stato picchiato e minacciato di morte. Il richiedente aveva altresì lamentato la mancanza di un’adeguata indagine in ordine alla condizione dei diritti umani in Gambia, ribadendo il proprio percorso di integrazione sociale in Italia. Ora, secondo la Corte di appello, l’appellante non aveva sottoposto ad argomentate censure le ragioni poste dal tribunale a fondamento del provvedimento di diniego, tenuto conto degli indici di inattendibilità della vicenda narrata – generica e contraddittoria nella collocazione temporale – alle minori criticità del paese di origine in seguito alla fuoriuscita del dittatore J., all’assenza della necessità di un trattamento terapeutico e di condizioni di vulnerabilità.

Il C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato due motivi, al quale ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c.. Secondo il ricorrente l’atto di appello conterrebbe tutti gli elementi di specificità previsti dal codice di rito. L’atto di appello aveva esposto a puntuale critica la decisione di primo grado, indicando le norme di legge violate in tema di protezione internazionale e l’erroneità della decisione che aveva ritenuto non credibile la versione fornita dallo stesso richiedente senza agganciarla ad alcun elemento. L’appello avrebbe dovuto essere esaminato anche sotto il profilo delle condizioni socio politiche del Gambia valutando le maggiori fonti informative attualizzate al momento della decisione.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2, lett. e), artt. 4, 9, 15 e 20 dir. 2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14. La Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione alla ricorrenza quanto meno dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), tenuto conto di quanto riferito dal richiedente, dimostrativo del pericolo di persecuzione all’interno di un Paese nel quale non erano state adottate le misure idonee a garantire la protezione dei diritti umani. Lamenta ancora il mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Ministero dell’interno ha dedotto l’inammissibilità del ricorso, risultando i motivi diretti a prospettare una diversa ricostruzione dei fatti.

Il primo motivo è privo dei requisiti dell’autosufficienza. Il ricorrente deduce l’esistenza di motivi di appello specifici senza tuttavia riprodurre il contenuto dell’atto di appello e della sentenza del giudice di primo grado. Tanto incide inesorabilmente sull’autosufficienza del ricorso che non pare nemmeno potersi superare in relazione alla natura processuale del vizio, visto che questa Corte è ferma nel ritenere che In tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti – cfr. Cass. n. 23834/2019.

Infatti è noto che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte – cfr. Cass. n. 86/2012, conf. Cass. n. 12664/2012.

Nel caso di specie il ricorrente ha totalmente tralasciato di riprodurre nel ricorso per cassazione il contenuto della sentenza resa dal tribunale di Roma e i motivi di impugnazione proposti in sede di appello. Tanto determina l’inammissibilità del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore del Ministero dell’interno in Euro 2000,00 per compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese prenotate a debito.

Da atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

 

 

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