Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24803 del 06/11/2020

Cassazione civile sez. I, 06/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 06/11/2020), n.24803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8143/2019 proposto da:

B.H., elettivamente domiciliato in Roma Corso Duca Di Genova

15, presso lo studio dell’avvocato Tiberio Pierluigi, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 5309/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

udito l’Avvocato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.H., nato in (OMISSIS), impugnò il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale di Roma aveva respinto a sua istanza volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

Il Tribunale di Roma respinse il ricorso con sentenza confermata dalla Corte di appello di Roma, meglio indicata in epigrafe.

La Corte di appello, per quel che qui interessa, ritenne che: a) poichè il ricorrente era stato già sentito davanti alla Commissione e poi dal tribunale, non vi era necessità di procedere a nuova audizione, solo genericamente sollecitata; b) era inammissibile la richiesta di ascoltare un rappresentante di Amnesty International sulla situazione politica del Senegal, non avendo la parte articolato prova testimoniale in proposito; c) dall’audizione del richiedente era emerso che questi non si era occupato di politica avendo lasciato il Senegal per un problema familiare e per motivi economici, nonchè per una denunzia sporta – della quale era privo di copia avendola lasciata in Senegal – da un proprietario di bestiame che lo avrebbe accusato falsamente di avere messo incinta la figlia e di non volere restituire la casa ove viveva originariamente, messa a disposizione del di lui padre; d) la fattispecie, anche a volere ritenere credibili le dichiarazioni del richiedente – che nel corso dell’audizione innanzi alla Commissione aveva fornito una versione parzialmente diversa circa la persona che aveva preteso che continuasse l’attività di allevatore, prima indicata come il capo villaggio e innanzi al tribunale nel proprietario delle mucche, aveva carattere prettamente personale o privato e al più rilevanza penale, non potendosi in ogni caso ricondurre ad una situazione di persecuzione idonea a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato, non ricorrendo i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8; e) nemmeno potevano dirsi sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, risultando i fatti connessi a vicende personali ed economiche, non potendosi dalla vicenda personale narrata dal richiedente desumere l’esistenza di una situazione di rischio specifico fra quelli individuati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), riguardando la vicenda narrata la giustizia ordinaria dello Stato di provenienza – trattandosi peraltro di falsa accusa – nè risultando elementi per ritenere che in patria non sarebbe stato garantito al ricorrente un giusto processo; f) quanto al requisito di cui dell’art. 14, lett. c), nemmeno risultava alcun collegamento fra la vicenda narrata e la situazione del Paese di origine (quest’ultima nemmeno approfondita nell’atto di gravame)”; g) la domanda era infondata, non risultando nemmeno prospettato alcun problema del richiedente con i ribelli o con le autorità governative. Parimenti infondata risultava la richiesta di permesso per motivi umanitari, non desumendosi elementi specifici tali da far ravvisare una situazione di particolare vulnerabilità, peraltro solo genericamente dedotta.

Il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

Il Ministero dell’interno, non avendo depositato

tempestivamente controricorso, si è costituito solo al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente ha dedotto con l’unico motivo proposto la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, artt. 3, 4,6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,3.

Secondo il ricorrente era stata fornita la dimostrazione dello status di rifugiato e comunque dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, risultando dimostrato il rischio effettivo di subire un danno grave in caso di rientro nel paese di origine proveniente dal padrone i, che era identificabile nel soggetto persecutore, nonchè gli atti e i motivi di persecuzione posti in essere dal predetto. La Corte di appello non avrebbe considerato l’obbligo di soccorso istruttorio, traendosi tale necessità dall’obbligo di interpretazione della disciplina sulla protezione internazionale in maniera conforme al quadro UE recepito con i decreti legislativi nn. 251/2007 e 25/08, al fine di verificare i fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

In ogni caso, il giudice di appello non avrebbe fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), omettendo di considerare che il danno grave era derivato da soggetto non statale e che lo Stato non era in condizioni di fornire la protezione contro le persecuzioni o danni gravi di cui all’art. 7. Inoltre la Corte di appello aveva fatto riferimento alla situazione nella zona di Casamance anche se nulla il ricorrente aveva dichiarato in tal senso.

Il motivo è inammissibile.

Le censure esposte dal ricorrente tenderebbero a porre in luce l’erroneità della decisione impugnata, laddove non avrebbe considerato l’ipotesi di persecuzione o di danno grave proveniente da soggetto che lo avrebbe minacciato, denunciato e ingiustamente accusato di avere messo incinta la figlia della persona presso la quale svolgeva l’attività di allevatore ed il fatto di essere stato minacciato dal suo “padrone” che, come soggetto non statuale, avrebbe imposto al giudice di merito di venire incontro alla posizione vulnerabile del richiedente, compiendo le opportune verifiche, rilevanti tanto sotto il profilo del riconoscimento dello status che sotto quello di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), pure tralasciando di verificare che il paese di origine fosse in condizioni di fornire protezione.

Tuttavia la censura non ha in alcun modo contestato la ritenuta inattendibilità del racconto fornito dal richiedente, che tanto il tribunale quanto la Corte di appello hanno posto in evidenza sulla base dei plurimi elementi contraddittori e non chiari dal racconto del richiedente, poi diffondendosi sulla natura del racconto “anche a volerlo ritenere credibile”.

La mancata impugnazione della motivazione sulla ritenuta non credibilità del racconto rende dunque inammissibili le censure in relazione alla ratio non impugnata dal ricorrente, da sola sufficiente a giustificare il rigetto delle domande proposte dal richiedente e da rendere dunque inammissibili le censure esposte dal ricorrente.

Nulla sulle spese, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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