Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24800 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 12555, 12557 e 12558 del ruolo

generale dell’anno 2014 rispettivamente proposti da:

M.M.R., s.n.c. M.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, e M.A., tutti

rappresentati e difesi, giusta procure speciali a margine dei

ricorsi, dall’Avv. Donato Apolito, col quale elettivamente si

domiciliano in Roma, alla via Cassiodoro, n. 19, presso lo studio

dell’Avv. Giuseppe Torre;

-ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

-intimata nei giudizi iscritti ai nn. 12555/14 e 12558/14,

controricorrente nel giudizio iscritto al n. 12557/14 –

Avverso le sentenze n. 385/46/13, n. 383/46/13 e n. 384/46/13 della

Commissione tributaria regionale della Campania depositate il

12.11.2013;

udita nella camera di consiglio del 7.7.2020 la relazione svolta dal

consigliere Galati Vincenzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 383/46/13 la Commissione tributaria regionale della Campania ha esposto, in punto di fatto, che la M. s.n.c. aveva impugnato l’avviso di accertamento con il quale era stata recuperata maggiore materia imponibile ai fini dell’iva e dell’irap per l’anno 2006.

L’accertamento (analitico-induttivo), si legge in sentenza, si era fondato su incongruenze e squilibri nel rapporto tra le poste contabili risultante dal valore sproporzionato delle rimanenze rispetto alle vendite e dal basso indice di rotazione delle stesse, oltre che sulla non congruità dei dati contabili dichiarati rispetto agli studi di settore.

A seguito dell’impugnazione della società, la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva accolto parzialmente il ricorso e ridotto del 20% l’importo dei ricavi determinati dall’ufficio.

La CTR ha quindi rigettato l’appello successivamente proposto dalla contribuente sul rilievo che, derivando l’accertamento da comportamenti antieconomici della stessa, non era necessario il preventivo contraddittorio e che le presunzioni sulla base delle quali era stato emesso l’accertamento erano dotate dei requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c., così come in ragione del fatto che non potevano ritenersi deducibili i costi sostenuti se superiori a quelli di mercato; deducibilità da correlarsi, sempre, all’attività idonea alla produzione di utili.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società M. affidandolo a quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate replica con controricorso.

Con sentenza n. 384/46/13 la CTR della Campania ha esposto in punto di fatto che M.A. aveva impugnato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, con il quale era stato rettificato il reddito di partecipazione (pari al 50%) nella società M.A. s.n.c., destinataria, anch’essa di avviso di accertamento per il medesimo anno di imposta ed oggetto di separato ricorso.

La CTP di Napoli aveva accolto parzialmente il ricorso e ridotto del 20% l’importo dei ricavi determinati dall’ufficio alla società.

L’appello proposto dalla contribuente era stato rigettato dalla CTR sul rilievo che, in pari data, era stato respinto anche l’appello proposto dalla M.A. s.n.c., alla quale l’appellante partecipava nella misura del 50%, tenuto conto della connessione tra reddito societario e quello di partecipazione.

Con sentenza n. 385/46/13 la CTR ha illustrato le medesime argomentazioni riferite ad un avviso di accertamento impugnato da M.M.R. a seguito della rettifica d’ufficio del reddito di partecipazione (pari al 50%) nella società M.A. s.n.c., destinataria del separato avviso di accertamento di cui sopra.

La contestazione era identica a quella proposta nell’interesse dell’altro socio, così come la difesa dell’Agenzia delle Entrate.

La CTP di Napoli aveva accolto parzialmente il ricorso e ridotto del 20% l’importo dei ricavi determinati dall’ufficio alla società.

L’appello proposto dalla contribuente aveva avuto esito identico a quello proposto da M.A..

Il procedimento introdotto nell’interesse della società veniva avviato alla trattazione davanti alla Sesta Sezione di questa Corte con conseguente proposta di definizione in camera di consiglio.

In data 9.6.2016 il difensore di parte ricorrente depositava istanza di riunione del ricorso proposto per la M. s.n.c., n. 12557/2014 a quelli aventi nn. 12555/2014 e 12558/2014 proposti dai soci M.M.R. e M.A. avverso sentenze della Commissione Tributaria Regionale di Napoli deliberate alla stessa udienza in data 8.10.2013.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I tre ricorsi vanno riuniti, in ragione del litisconsorzio necessario tra società e soci, dovuto “all’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi” (Cass. sez. un. 4 giugno 2008, n. 14815, nonchè, quanto all’irap, Cass., sez. un., 20 giugno 2012, n. 10145).

L’illustrazione dei motivi e la trattazione degli stessi può essere unitaria avendo tutti i ricorrenti proposto ragioni di impugnazione identiche.

Con il primo motivo di ricorso si contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 102 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 2, per lesione del principio dell’integrità del contraddittorio in quanto, sia in primo grado che in appello, sono stati celebrati autonomi processi a seguito delle opposizioni dei soci e della società, pur in presenza di un accertamento tributario sostanzialmente unitario, con conseguente litisconsorzio necessario tra i soggetti passivi che imporrebbe, al più, la riunione dei processi,; attività che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere compiuta dal giudice di appello.

Il secondo motivo riguarda la contestazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, della L. n. 146 del 1998, art. 10 e della L. n. 212 del 2000, art. 12, per lesione del principio del contraddittorio preventivo all’accertamento, essendo derivata dalla mancanza della possibilità,di interlocuzione da parte del contribuente, nel caso specifico, la nullità dell’accertamento fondato su parametri di redditività e dati settoriali avulsi dalla situazione concreta della società.

In tale prospettiva non potrebbe condividersi la tesi della CTR secondo cui, vertendosi in tema di accertamento analitico-induttivo, non sarebbe necessaria alcuna forma di contraddittorio.

Il terzo motivo attiene al profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e degli artt. 2727 e 2729 c.c. in quanto il calcolo del maggior reddito in capo alla società (il cui accertamento era stato assunto a parametro per la determinazione dei maggiori redditi da partecipazione) era stato determinato con metodologia non corretta che aveva fatto riferimento, in primo luogo, alla non deducibilità dei costi sostenuti (in realtà mai oggetto di contestazione) ed alla diversa percentuale di ricarico applicata.

L’elemento da ultimo menzionato, peraltro, si presentava privo del valore indiziario di cui all’art. 2729 c.c. al fine di determinare il reddito di impresa nella quantificazione del quale erano state trascurate le censure già svolte in primo grado e reiterate con l’atto di appello.

In nessun caso i valori percentuali potevano giustificare presupposti per procedere all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1.

In particolare, le risultanze contabili supportate dai richiami ad “aziende similari” non precludevano la possibilità di tenere conto anche di una serie di elementi quali la regolare contabilità, la tipologia di merce, le giacenze di magazzino, l’assenza di costi di fitto, la coerenza con gli studi di settore e la localizzazione dell’azienda in zona a scarsa vocazione commerciale; tutti elementi fattuali segnalati sin dal giudizio di primo grado ed immotivatamente trascurati nelle fasi di merito.

Il quarto motivo riguarda il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c. essendo la motivazione adottata dalla CTR disancorata dalla fattispecie concreta oggetto di esame e, per quanto riguarda le decisioni relative ai soci, frutto di un mero richiamo a quella pronunciata su ricorso della società.

E’ infondato il primo motivo dei tre ricorsi.

Come correttamente obiettato dall’Agenzia delle entrate, la declaratoria della nullità del giudizio per mancata integrazione del contraddittorio non può essere pronunciata nel caso in cui tutti i soci e la società abbiano proposto ricorso avverso gli avvisi di accertamento e le diverse cause abbiano avuto una trattazione sostanzialmente unitaria.

Il principio dell’unitarietà dell’accertamento sopra riportato, difatti, ha trovato una sorta di “temperamento”, là dove la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che “Nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: (1) identità oggettiva quanto a “causa petendi” dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell’unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2, e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità superflue, perchè non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio” (Cass. sez. 5, 18 febbraio 2010, n. 3830; fra le molte conformi successive Cass. sez. 5, 13 dicembre 2017, n. 29843).

La Corte ha reputato inapplicabile la soluzione della nullità per violazione del diritto al contraddittorio in quanto in contrasto con la necessaria correlazione tra tale diritto e quello ad un processo equo (art. 6 CEDU) e caratterizzato dalla ragionevole durata (art. 111 Cost.).

Nel caso di specie ricorrono i descritti presupposti per disporre in questa sede di legittimità la riunione dei ricorsi atteso che l’accertamento oggetto delle diverse opposizioni è unitario afferendo al medesimo anno di imposta e discendendo quello notificato ai soci direttamente da quello impugnato dalla società.

L’oggetto dell’impugnazione è sostanzialmente identico derivando dall’accertamento a carico della società il ricalcolo del reddito di partecipazione al 50% nella stessa di ciascun socio.

I ricorsi hanno ricevuto identica trattazione nel merito davanti alla stessa CTP di Napoli, sono stati decisi all’esito della stessa udienza e dal medesimo collegio, così come nella fase di appello davanti alla CTR.

Ricorrono, dunque, tutti i presupposti indicati dalla giurisprudenza di legittimità sopra riportata per disporre la riunione e la trattazione formalmente unitaria dei ricorsi.

Plurime ragioni depongono per l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.

Più volte la Corte di cassazione è stata chiamata a delineare i limiti entro i quali l’Amministrazione è obbligata ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, pervenendo alla soluzione che esso trova applicazione limitatamente ai tributi c.d. “armonizzati” (nella fattispecie all’iva) ma con l’applicazione della prova di resistenza.

L’orientamento risale a Cass. sez. un., 6 ottobre 2015, n. 24823 con la quale è stato affermato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap,’ assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”.

Applicazione espressa del suddetto principio si rinviene nella più recente Cass. sez. 6 – 5, 29 ottobre 2018, n. 27421 ove è stato precisato che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.

Nello stesso senso Cass. sez. 6 – 5, ord. 27 luglio 2018, n. 20036 nella quale si legge che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare, anche nell’ambito delle indagini cd. “a tavolino”, il contraddittorio endoprocedimentale ove l’accertamento attenga a tributi “armonizzati”: la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa”.

Pertanto, nella fattispecie, la questione relativa al contraddittorio non si pone per l’rap ed i redditi di partecipazione imputati ai soci ma solo per l’iva (tributo “armonizzato”).

Sul punto, tuttavia, si rileva la mancanza di qualsiasi riferimento alla c.d. prova di resistenza non essendo state neppure prospettate le ragioni che la società contribuente avrebbe potuto far valere e che sarebbero state precluse a causa della mancata attivazione del contraddittorio.

Con riferimento specifico, peraltro, all’accertamento mediante studi di settore ed alla prospettata violazione della L. n. 146 del 1998, art. 10, rileva quanto deciso da Cass. sez. 5, ord. 5 dicembre 2019, n. 31814 che ha affermato il principio secondo cui “Nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi della L. n. 146 del 1998, art. 10, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali”.

Nel caso di specie l’accertamento non risulta fondato “esclusivamente” sugli studi di settore essendo stato condotto sulla scorta di verifiche relative all’antieconomicità della gestione operàta dalla contribuente società.

Tanto emerge dalla stessa ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata n. 383/46/13, riportata e non contestata nel ricorso per cassazione, ove si legge che l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate si è basato su “incongruenze sostanziali e squilibri nel rapporto tra le poste contabili, emergenti sia dal valore palesemente sproporzionato delle rimanenze, rispetto al volume delle vendite, sia dal basso indice di rotazione delle stesse, pari a 0,87, nonchè sulla circostanza che la società non aveva dichiarato ricavi pari o superiori ai livelli di congruità ai fini dell’applicazione degli studi di settore”.

L’utilizzazione dell’avverbio “nonchè” rende evidente che la verifica fiscale non è stata condotta solo sulla base degli studi di settore e che, pertanto, la tesi secondo cui l’accertamento è stato condotto sulla base di “comportamenti antieconomici della contribuente” è coerente con lo svolgimento dei fatti.

D’altronde, anche oltre la CTR ribadisce, con la sentenza in questione, che “l’accertamento scaturisce dai comportamenti antieconomici della contribuente…”.

Il terzo motivo è inammissibile.

Lo è con riguardo alla deduzione di violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., la quale, come già ripetutamente affermato da questa Corte, potrebbe essere censurata in sede di legittimità soltanto in un caso: allorchè ricorra il cosiddetto “vizio di sussunzione”, vale a dire allorquando il giudice di merito, dopo aver qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi raccolti, li ritenga però inidonei fornire la prova presuntiva; oppure, all’opposto, quando dopo aver qualificato come “non gravi, imprecisi e discordanti” gli indizi raccolti, li ritenga nondimeno sufficienti a fornire la prova del fatto controverso (ex multis, in tal senso, Sez. U -, Sentenza n. 1785 del 24 gennaio 2018, p. 4.1, e, da ultimo, 13 febbraio 2020, n. 3541).

Laddove, nel caso in esame, i contribuenti lamentano che il giudice d’appello abbia ritenuto dotato, lo scostamento dalla percentuale di ricarico, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Nè la violazione delle norme sulle presunzioni può dirsi sussistente sol perchè il giudice di merito abbia, o non abbia, ritenuto che da un certo fatto noto possa risalirsi per via di deduzioni logiche a un fatto ignorato.

Questa valutazione, infatti, costituisce un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità.

In realtà, col motivo in questione, a fronte della statuizione delle sentenze impugnate, rette, quanto alla società sulle condotte antieconomiche, e, quanto ai soci, sul “rapporto di connessione tra reddito della società e reddito partecipazione”, dietro la deduzione della violazione di parametri di legge (ossia degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1), si scherma una deduzione d’insufficiente motivazione in ordine agli elementi riportati in ricorso; deduzione, che è inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al regime del quale sono sottoposte, ratione temporis, le impugnazioni delle sentenze in questione, depositate il 12 novembre 2013.

D’altronde, diversamente da quanto sostenuto dalla società, in tema di accertamento analitico-induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi può fondarsi anche su un solo indizio, purchè grave e preciso, in base all’apprezzamento svolto dal giudice (Cass. 22 dicembre 2017 n. 30803).

E’ infondato il motivo esposto nei ricorsi proposti nell’interesse dei soci M.A. e M.M.R. alle pagg. 5 dei rispettivi atti introduttivi laddove si lamenta la mancanza di autonoma motivazione delle sentenze ad essi riferite.

La circostanza che il contenzioso (unitario) relativo alla società ed ai soci abbia avuto origine da un identico accertamento giustifica il richiamo della motivazione riferita ai soci a quella relativa alla società ricorrendo, come già esplicitato, peraltro, una ipotesi di litisconsorzio necessario.

Parimenti inammissibile è, infine, il quarto motivo di ricorso.

Esso si fonda sulla ritenuta violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sotto il profilo della “omessa disamina delle domande ed eccezioni formulate sia nel ricorso che nell’atto di appello per contrastare la pretesa tributaria” che avrebbe comportato, altresì, una “carenza motivazionale” avendo omesso il giudicante di illustrare tutti i motivi posti a fondamento della decisione.

Anche questo motivo scherma un’insufficienza della motivazione, che non avrebbe tenuto conto degli elementi di fatto indicati in ricorso.

E, per conseguenza, anche questo motivo si rivela inammissibile alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sul punto si ricorda il fondamentale arresto con cui è stato precisato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e numerose altre conformi successive).

In conclusione i ricorsi vanno rigettati.

Nella regolamentazione delle spese di lite (secondo l’ordinario criterio della soccombenza) va tenuto conto che, pur essendo intervenuta la riunione delle cause, la liquidazione va operata con riferimento a ciascun giudizio e che, essendo rimasta intimata l’Agenzia delle Entrate nei ricorsi proposti da M.A. e M.M.R., la sola società andrà condannata al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate che ha resistito depositando controricorso (Cass. sez. 1, 10 luglio 2014, n. 15860).

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dispone la riunione dei ricorsi, li rigetta e condanna là società al pagamento in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.295,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Da atto dei presupposti processuali per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA