Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24800 del 05/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 24800 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 30701-2007 proposto da:
GIULIANI GRAZIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA G ANTONELLI 47, presso lo studio dell’avvocato
CARBONETTI FABRIZIO, rappresentata e difesa
dall’avvocato DE BENEDETTO PIETRO giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

PALMISANO SALVATORE, elettivamente domiciliato in
ROMA, P.LE DELLE BELLE ARTI, 6, presso lo studio
dell’avvocato LOYOLA BENEDETTO,

rappresentato e

Data pubblicazione: 05/11/2013

difeso dall’avvocato CARLUCCI GIUSEPPE giusta delega
in atti;
NUOVA TIRRENA S.P.A., in persona del Procuratore
Speciale Avv. BENIAMINO TORTORA, elettivamente
domiciliata in ROMA, V.DELLA CROCE 44, presso lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 275/2007 della CORTE D’APPELLO
DI LECCE SEZ.DIST. DI TARANTO, depositata il
05/09/2007 R.G.N. 14/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato PIETRO DE BENEDETTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del l ° e 2 ° motivo, accoglimento del 3 ° e 4 °
motivo.

2

studio dell’avvocato GRANDINETTI ERNESTO, che la

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il fatto.
1.1. Nel 1998 la sig.a Grazia Giuliani convenne dinanzi al Pretore di Taranto
il sig. Salvatore Palmisano, esponendo che:
– ) il convenuto, imprenditore individuale, gestiva l’impresa che il 21 maggio
1997 aveva installato a Taranto le tradizionali luminarie in occasione della

– ) da un palo di sostegno di tali luminarie sporgeva un gancio metallico,
inciampando nel quale l’attrice era caduta al suolo e riportato lesioni
personali.
Il sig. Salvatore Palmisano si costituì negando la propria responsabilità; in
subordine chiese di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore della
responsabilità civile, la Nuova Tirrena s.p.a., che provvide contestualmente
a chiamare in causa.

2. Il giudizio di merito.
2.1. Il Tribunale di Taranto (subentrato al Pretore nelle more del giudizio di
primo grado, per effetto del d.lgs. 19.2.1998 n. 51) con sentenza n. 2154
del 2003 accolse la domanda principale, ma rigettò quella di garanzia
proposta dal convenuto.
La sentenza venne impugnata dal sig. Salvatore Palmisano, che ne chiese la
riforma sia nella parte in cui aveva accoltola domanda attorea, sia – in
subordine – nella parte in cui aveva rigettato la domanda di garanzia nei
confronti dell’assicuratore.
La Corte d’appello di Lecce, sezione staccata di Taranto, con sentenza n.
275 del 2007 riformò la decisione di primo grado, rigettando la domanda
attorea e dichiarando assorbita quella di garanzia.
La Corte d’appello inoltre condannò la sig.a Grazia Giuliani alla rifusione
delle spese del giudizio d’appello in favore sia dell’appellante che della
Nuova Tirrena s.p.a..

2.2. La Corte d’appello motivò la propria decisione osservando che la
persona danneggiata non aveva fornito la prova dell’esistenza d’un valido

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celebrazione della festa religiosa in onore di Santa Rita;

nesso causale tra la struttura preparata dal convenuto, e la propria caduta
al suolo.

2.3. La decisione della Corte d’appello di Lecce è stata impugnata per
cassazione dalla sig.a Grazia Giuliani, in base a quattro motivi.
Hanno resistito con controricorso tanto il sig. Salvatore Palmisano, quanto la

MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Il primo motivo di ricorso.
3.1. Con il primo motivo di ricorso la sig.a Grazia Giuliani allega che la
sentenza impugnata sarebbe viziata da violazione di legge (art. 360, n. 3,
c.p.c.), per non avere correttamente applicato gli artt. 2051 c.c., 115 e 116
c.p.c..
Nella illustrazione del motivo, formalmente unitario, la ricorrente spiega
tuttavia che la sentenza impugnata sarebbe in realtà affetta da due diversi
errori, per avere:
(a) ritenuto indinnostrato il nesso di causa tra l’insidia ascritta a colpa del
convenuto ed il danno, nonostante l’attrice avesse fornito ampia
dimostrazione di esso;
(b) sollevato il convenuto dall’onere della prova liberatoria, a lui addossato

el

dall’art. 2051 c.c..

3.1. Il primo profilo del primo motivo di ricorso, pur formalmente qualificato
come “violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.”, ha ad oggetto in realtà non
una

quaestio iuris, ma una quaestio facti. La ricorrente infatti non lamenta

che Corte d’appello abbia fondato la decisione su prove non fornite dalle
parti (nel che si sostanzia la violazione dell’art. 115 c.p.c.), né lamenta che
il giudice di merito abbia valutato le prove con criteri diversi dal suo
prudente apprezzamento (nel che si sostanzia la violazione dell’art. 116
c.p.c.). La ricorrente, in realtà, si duole di una – a suo avviso – erronea
valutazione delle prove raccolte nel corso dell’istruttoria: e dunque propone
una censura inammissibile in sede di legittimità.

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Nuova Tirrena s.p.a..

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3.2. Il secondo profilo del primo motivo di ricorso (violazione dell’art. 2051
c.c., per avere la Corte d’appello invertito l’onere della prova) è infondato.

3.2.1. In tema di responsabilità per danni da cosa in custodia, l’art. 2051
c.c. solleva la vittima dall’onere di provare la colpa del custode, che è
presunta.

prevista dall’art. 2051 c.c. fosse una semplice “presunzione di colpa” (per
liberarsi dalla quale è sufficiente al custode dimostrare di avere tenuto una
condotta diligente), a partire da Sez. 3, Sentenza n. 5031 del 20/05/1998
ha mutato avviso, affermando che la norma in esame preveda in realtà una
“presunzione di responsabilità”, per liberarsi dalla quale all’agente non basta
provare di avere tenuto una condotta diligente, ma sarà necessario
dimostrare che la causa concreta del danno sia riconducibile al fatto del
terzo, al fatto della vittima od al caso fortuito.
Questi princìpi sono divenuti, in seguito, ius receptum (nello stesso senso,
ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 4279 del 19/02/2008; Sez. 3, Sentenza n.
2563 del 06/02/2007; Sez. 3, Sentenza n. 20317 del 20/10/2005; Sez. 3,
Sentenza n. 376 del 11/01/2005; Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004;
Sez. 3, Sentenza n. 5236 del 15/03/2004; Sez. 3, Sentenza n. 2062 del
04/02/2004; Sez. 3, Sentenza n. 584 del 17/01/2001).

3.2.2. Così inquadrata la natura della presunzione prevista dall’art. 2051
c.c., ne consegue che nei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento del danno
causato dalla cosa in custodia l’onere della prova si ripartisce come segue:
(a) chi afferma di essere stato danneggiato dalla cosa altrui ha l’onere di
provare:
(a’) il nesso di causa tra la cosa ed il danno;
(b”) l’esistenza e l’entità del danno;
(b) il convenuto, dal canto suo, se intenda andare esente dalla
responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. ha l’onere di provare,
alternativamente:
(b’) di non essere “custode”;

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Questa Corte di legittimità, dopo avere per lungo tempo ritenuto che quella

(b”) che il danno sia derivato dal fatto del terzo, dal fatto della
vittima o dal caso fortuito;
(b'”) che il danno non esista o non sia dell’entità lamentata dalla
vittima.
Anche tali princìpi sono ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità
[nello stesso senso, ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 7125 del 21/03/2013;

11/03/2011 (provvedimento, quest’ultimo, nel quale il principio di cui si
discorre è stato ritenuto “consolidato” ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.); Sez.
3, Sentenza n. 8005 del 01/04/2010; Sez. 3, Sentenza n. 11227 del
08/05/2008].

3.2.3. La Corte d’appello di Lecce si è attenuta a questi princìpi. Essa infatti
non ha addossato all’attrice l’onere di provare la colpa del convenuto, in
violazione dell’art. 2051 c.c. (lo afferma chiaramente a pag. 14 della
sentenza impugnata, là dove si legge che “l’art. 2051 c.c. impone la prova
liberatoria all’obbligato”), ma ha semplicemente ritenuto:
– da un lato, che l’attrice non avesse fornito una prova convincente
dell’esistenza d’un valido nesso di causa tra la struttura in custodia al
convenuto ed il danno;
– dall’altro, che in ogni caso anche ad ammettere per vera la versione dei
fatti sostenuta dall’attrice, essa rendeva evidente che l’evento di danno si
era verificato per colpa esclusiva della vittima.
Il giudice di merito, pertanto, non ha affatto sollevato il custode dall’onere
della prova su di lui incombente, ma ha semplicemente valutato le prove
raccolte ritenendole inidonee alla dimostrazione di quegli elementi (nesso di
causa) che l’attrice, non il convenuto, aveva l’onere di dimostrare.

4. Il secondo motivo di ricorso.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso la sig.a Grazia Giuliani lamenta che la
sentenza impugnata sarebbe priva di adeguata motivazione, nella parte in
cui ha valutato le prove, ritenendole insufficienti a dimostrare il nesso di
causa tra la struttura di proprietà del sig. Salvatore Palmisano e l’evento di
danno.

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Sez. 3, Sentenza n. 2660 del 05/02/2013; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5910 del

Il motivo è inammissibile per tre ragioni.

4.2. La prima ragione è che col motivo in esame, pur adducendo un vizio di
motivazione, non è concluso dalla esposizione sintetica e separata del “fatto
controverso”, secondo la previsione dell’art. 366

bis c.p.c., nel testo

applicabile ratione temporis.

valutazione delle prove testimoniali, non ne ha trascritto integralmente il
contenuto, insieme ai capitoli di prova, in violazione del principio di
autosufficienza del ricorso, di cui all’art. 366 c.p.c..
La terza e prevalente ragione è che la Corte d’appello ha diffusamente
esposto le ragioni per le quali le deposizioni testimoniali, offerte dall’attrice
a riprova dell’esistenza del nesso di causa tra cosa e danno, dovevano
ritenersi per un verso insufficienti (in quanto prive di una analitica
descrizione della dinamica), e per altro verso contraddittorie, in quanto la
versione dei fatti riferita dalle testimoni collideva con elementari nozioni di
buon senso (pp. 14-17).
La valutazione delle prove adottata dalla Corte d’appello è dunque sorretta
da una motivazione non illogica né mancante: e la pretesa della ricorrente
di invocare una diversa lettura delle prove raccolte è inammissibile in sede
di legittimità (principio pacifico: ex aliis, da ultimo, Sez. L, Sentenza n.
7394 del 26/03/2010; Sez. 1, Sentenza n. 15952 del 17/07/2007; Sez. 3,
Sentenza n. 13359 del 01/12/1999).

5. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso.
5.1. Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso la sig.a Grazia Giuliani si
duole della sentenza impugnata nella parte in cui l’ha condannata a
rifondere alla Nuova Tirrena s.p.a. (società chiamata in causa dal convenuto)
le spese del grado di appello.
Tale decisione sarebbe secondo la ricorrente errata sotto due profili:
(a) sia per violazione di legge, perché avendo il giudice d primo grado
compensato le spese tra l’attrice e la Nuova Tirrena (terzo chiamato in
causa), e nona vendo alcuna delle parti impugnato tale decisione, sulla
relativa statuizione si sarebbe “formato il giudicato”;
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La seconda ragione è che la ricorrente, pur adducendo una erronea

(b) sia per vizio di motivazione, non avendo la Corte d’appello giustificato
adeguatamente la propria decisione.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno giudicati
infondati.

5.2. E’ principio pacifico e risalente, nella giurisprudenza di legittimità,

garanzia (non rileva se propria od impropria), in caso di soccombenza
dell’attore principale, debbono essere rifuse da quest’ultimo, a nulla
rilevando che egli non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna
domanda, salvo che la scelta di chiamare in causa il terzo da parte del
convenuto non sia stata palesemente arbitraria.
Questa conclusione viene giustificata in talune decisioni col fatto che il
lemma “soccombenza” che compare nell’art. 91 c.p.c. dev’essere inteso in
senso ampio, e quindi comprensivo della posizione di chi, con la propria
infondata iniziativa giudiziaria, ha provocato la chiamata in causa del terzo
da parte del convenuto (in tal senso ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 7431
del 14/05/2012; Sez. 3, Sentenza n. 12301 del 10/06/2005; Sez.

L,

Sentenza n. 2838 del 09/05/1984); in altre decisioni invece col rilievo che la
condanna alle spese in favore del terzo chiamato non discende dalla
soccombenza

mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra

l’attore ed il terzo – bensì dalla responsabilità dell’attore per avere dato
luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è
rimasto coinvolto il terzo (Sez. 3, Sentenza n. 5027 del 26/02/2008; Sez. 3,
Sentenza n. 6514 del 02/04/2004; Sez. 2, Sentenza n. 4634 del
27/04/1991).
Non occorrerà in questa sede prendere posizione a favore dell’una piuttosto
che dell’altra ricostruzione: in ambedue i casi, infatti, ricorrono tutti i
presupposti stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità per addossare
all’attore soccombente i costi sostenuti dal terzo chiamata in causa. Infatti:
(a) la pretesa attorea si è rivelata infondata;
(b) il terzo chiamato aveva interesse a partecipare al giudizio d’appello,
perché in esso era stata rimessa in discussione l’esistenza e l’efficacia della
copertura assicurativa;

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quello secondo cui le spese sostenute dal terzo chiamato in causa in

(c) la chiamata in causa del proprio assicuratore della responsabilità civile,
da parte del convenuto nel giudizio di danno, non può certo dirsi avventata
od arbitraria.

6. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, ai

P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 383, comma primo, c.p.c.:
– ) rigetta il ricorso;
– ) condanna la sig.a Grazia Giuliani alla rifusione in favore del sig. Salvatore
Palmisano delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro
1.500 (di cui 200 per spese);
– ) condanna la sig.a Grazia Giuliani alla rifusione in favore della Nuova
Tirrena s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in
euro 1.500 (di cui 200 per spese).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 24 settembre 2013.

sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..

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