Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24800 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. I, 03/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 03/10/2019), n.24800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8259/2015 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour

presso la cancelleria civile della Corte di cassazione e

rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanna Saija per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ASSESSORATO BENI CULTURALI ED AMBIENTALI DELLA REGIONE SICILIA, in

persona dell’Assessore p.t. rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato ex lege presso i cui Uffici in Roma, Via dei

Portoghesi, 12, domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 544/2014 della Corte di appello di Messina,

pubblicata il 04/07/2014;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 13/09/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata l’11.07.1998, la Corte di appello di Messina determinava le somme dovute dall’Assessorato Beni Culturali ed Ambientali della Regione Sicilia a titolo di indennità di occupazione legittima e di esproprio in seguito all’intervenuta ablazione di un terreno di proprietà di S.F..

In un distinto e successivo giudizio, con citazione notificata nel luglio 1999, S.F. conveniva dinanzi al Tribunale di Messina l’Assessorato Beni Culturali ed Ambientali della Regione Sicilia di cui chiedeva la condanna al risarcimento del maggior danno subito ex art. 1224 c.c., per il ritardo con il quale l’ente aveva provveduto allo svincolo delle somme depositate nonostante i solleciti.

Il Tribunale rigettava la domanda rilevando che la dedotta questione era coperta dal giudicato formatosi sul punto in seguito alla mancata impugnazione della sentenza della Corte di appello che aveva riconosciuto i soli interessi sulle somme determinate a titolo di indennità.

2. Con sentenza depositata il 4.07.2014, la Corte di appello di Messina, decidendo sull’impugnativa di S.F., confermava la pronuncia di primo grado.

3. Avverso l’indicata sentenza di appello propone ricorso per cassazione S.F. affidato a due motivi, a cui resiste con controricorso l’Assessorato Beni Culturali ed Ambientali della Regione Sicilia.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello non avrebbe correttamente individuato la causa petendi della domanda che, introdotta con atto di citazione del 28.07.1998, riguardava esclusivamente lo svincolo, disposto con ritardo solo il 23.12.1998, delle indennità provvisorie depositate dall’ente espropriante, Assessorato ai BB.CC. e AA. il 25.10.1995, il tutto per l’importo di Euro 63.117,62, pari alla porzione spettante all’istante nel concorso con il germano N..

L’indicata domanda nulla avrebbe avuto a che vedere con il giudicato formatosi sulle differenze da versarsi dall’Assessorato quale ente espropriante a titolo di “giusta indennità” in seguito al distinto giudizio coltivato a tal fine dal deducente dinanzi alla Corte di appello di Messina.

La domanda era invece relativa a fatti e comportamenti successivi ai depositi eseguiti presso la Cassa DD. e PP. con effetti liberatori relativi al procedimento amministrativo di svincolo delle somme depositate, con competenza allo svincolo (D.P.R. n. 327 del 2001, art. 28) dell’autorità espropriante, come anche previsto dalla normativa regionale (L. n. 21 del 1985, art. 29, commi 4 e 5).

L’inosservanza dell’obbligo di concludere il procedimento – che era stato definito dopo oltre un anno dagli atti di diffida e messa in mora del privato ablato – entro trenta giorni L.R. n. 10 del 1991, ex art. 2, comma 2, avrebbe integrato una causa petendi diversa dall’azione di danno azionata ex art. 1224 c.c., comma 2, con il successivo giudizio.

La Corte di merito pertanto giusta l’impugnata sentenza aveva applicato la preclusione da giudicato ad una fattispecie da essa non regolata e quindi ad un rapporto giuridico diverso da quello su cui era stata chiamata a pronunciare.

2. Con il secondo articolato motivo di ricorso il deducente fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 6 Cedu (per omessa pronuncia sulla domanda proposta con l’atto introduttivo ed i motivi di appello ed inosservanza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Viene altresì dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e art. 1224 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’opzione decisoria adottata dalla Corte di appello, e ricostruita nei termini di cui al primo motivo di ricorso, si sarebbe tradotta nelle violazioni denunciate con diniego della tutela risarcitoria da ricondursi all’art. 2043 c.c., come rafforzata dalla previsione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2-bis, che stabilisce che le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto dovuto all’inosservanza, dolosa o colposa, del termine di conclusione del procedimento.

La Corte di merito oltre ad errare nel ritenere che la domanda fosse stata già proposta in sede di opposizione alla stima, ove veniva rigettata dalla ivi competente Corte di appello, non si sarebbe confrontata in alcun modo con le argomentazioni spese con l’atto di appello ed avrebbe altresì errato nel condannare l’attore al pagamento delle spese processuali.

Dalla documentazione versata in atti sarebbe risultato comprovato il danno dedotto per i mancati investimenti ed i conseguenti guadagni sulle somme non disponibili.

3. L’Assessorato Beni Culturali ed Ambientali della Regione Sicilia nel controricorso deduce l’infondatezza degli avversi motivi, in via preliminare eccependo l’inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1, per mancata coincidenza del codice fiscale del ricorrente indicato in ricorso (rispondente per la data di nascita a quello del germano N. che non è parte del giudizio) con quello riportato nell’impugnata sentenza.

4. Il ricorrente ha depositato memoria di replica.

5. Si impone in via preliminare lo scrutinio della deduzione difensiva dell’Assessorato Beni Culturali ed Ambientali della Regione Sicilia che contesta, nella diversità del codice fiscale del ricorrente rispettivamente indicato nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità e nell’intestazione della sentenza impugnata, una riconducibilità dell’odierna iniziativa a diverso soggetto o, comunque, il difetto di legittimazione del ricorrente.

L’eccezione è infondata.

Come infatti questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di affermare, “ai fini della corretta indicazione delle parti, richiesta a pena d’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 1, non è necessaria la specificazione del codice fiscale o della partita IVA della parte in causa, trattandosi di indicazioni richieste in sede di processo tributario, la cui speciale disciplina non è peraltro applicabile nel giudizio di legittimità” (Cass. 17/12/2015 n. 25399; Cass. 29/03/2007 n. 7700).

Nella irrilevanza della deduzione difensiva, si passa ad esaminare i motivi di ricorso.

6. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Viene per lo stesso in valutazione il tema del giudicato sostanziale e dei termini di denuncia, nella deducibilità sua propria all’interno del giudizio di cassazione.

Quanto a quest’ultimo profilo il ricorso obbedisce ai criteri di forma richiesti che, in quanto rispettosi del principio dell’allegazione, restano soddisfatti ove, come nella specie, il ricorrente si faccia carico di contrastare nel proposto mezzo la portata del giudicato che sia stato ritenuta dal giudice di merito nell’impugnata sentenza attraverso il richiamo ai puntuali contenuti della domanda su cui abbia statuito il titolo e alla distinta domanda da cui sia originato il diverso giudizio, ritenuto precluso da intervenuta formazione del giudicato (nella valenza pubblicistica del giudicato e sul suo atteggiarsi quale violazione di legge e non più quale vizio della motivazione vd: Cass. 29/11/2018 n. 30838; in termini: Cass. 05/10/2009 n. 21200; Cass. SU 09/05/2008 n. 11501).

Nel merito della vicenda dedotta – la cui valutazione resta demandata a questa Corte di legittimità in ragione del motivo proposto – come esattamente ricostruita nei suoi contenuti da parte ricorrente, la sentenza n. 282 dell’11.07.1998 preclusiva, secondo la Corte di appello di Messina per il titolo qui impugnato, di ogni successiva pronuncia in punto di risarcimento del danno ex art. 1224 c.c., comma 2, per violazione del giudicato ex art. 2909 c.c., ha deciso su di una causa petendi diversa da quella oggetto del presente giudizio.

Rispettosa dei criteri di individuazione del giudicato esterno formatosi nel distinto giudizio, la critica difensiva articolata nel proposto mezzo muove correttamente da identificazione e raffronto tra il precedente giudizio e quello di specie e nel negare identità del “petitum” e della “causa petendi” argomenta non dalle ragioni giuridiche enunciate dalla parte a fondamento delle pretese avanzate nei due giudizi a confronto (arg. ex Cass. n. 16688 del 25/06/2018; n. 1760 del 27/01/2006; n. 14593 del 30/07/2004), ma dall’insieme delle circostanze di fatto che la parte stessa ha posto a base della propria richiesta, restando compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa.

Nella chiara censura contenuta in ricorso si ha infatti che il precedente giudizio, tra le parti definito dalla sentenza della Corte di appello di Messina pubblicata il 4.07.1998 non impugnata, fatto costitutivo della domanda era lo svincolo delle indennità provvisorie di esproprio depositate dall’ente espropriante e la causa petendi riguardava il dedotto colpevole inadempimento dell’Assessorato nel procedimento amministrativo, per tardiva autorizzazione della Cassa DD. e PP. allo svincolo in favore dei soggetti legittimati.

La diversa domanda, su cui ha pronunciato in appello la Corte territoriale di Messina con l’impugnata sentenza, è relativa invece a condotte successive al deposito amministrativo per le quali il richiedente si duole di una ritardata esecuzione del giudicato e quindi di un diverso diritto nascente dal giudicato formatosi sulla sentenza della Corte di appello pubblicata il 4.7.1998 e sul ritardo dell’Assessorato nel pagamento delle maggiori somme liquidate in sede giurisdizionale a titolo di “giusta indennità”.

7. Il secondo motivo, resta assorbito.

La denunciata omessa pronuncia in violazione del canone processuale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., resta superata all’esito del positivo riscontro del primo motivo di ricorso: escluso il giudicato tra le due domande e riconosciuta autonomia alle stesse, ecco che anche quella oggetto del presente giudizio nei suoi originali ed effettivi contenuti richiede una piena e specifica risposta.

Si tratta invero di un effetto conseguente alla fondatezza del motivo con cui si censura la sussistenza del giudicato preclusivo dell’accertamento in questa sede richiesto.

L’erronea valutazione condotta dal giudice del merito sull’esistenza di un giudicato esterno preclusivo dell’accertamento in applicazione del canone del ne bis in idem, comporta per ciò stesso una omessa pronuncia sulla domanda non individuata nei suoi termini.

8. Accolto il primo motivo di ricorso ed assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio del giudizio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso ed assorbito il secondo cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio dinanzi alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese di lite del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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