Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24799 del 09/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 09/10/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 09/10/2018), n.24799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7743-2017 proposto da:

P.R.J., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA GIULIANA 66, presso lo studio dell’avvocato PIETRO PATERNO’

RADDUSA, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato ANGELA BUCCICO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO FERRARI in virtù

di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6734/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie di parte ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La ricorrente proponeva appello avverso la sentenza n. 11635/2001 del Tribunale di Roma con la quale era stato disposto lo scioglimento della comunione esistente tra la P. e N.A. sull’appartamento in (OMISSIS), meglio identificato in atti, attribuendo al N. la piena proprietà, attesa la non comoda divisibilità del cespite, con la condanna della appellante altresì al pagamento in favore della controparte della somma di Euro 9.000,00 a titolo di indennizzo per il godimento esclusivo del bene.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6734 del 9/11/2016, rigettava il gravame principale, nonchè l’appello incidentale con il quale il N. chiedeva accertarsi che l’immobile era di sua esclusiva proprietà ovvero per la quota del 90%, chiedendo in via subordinata di condannare l’appellante anche al pagamento delle quota delle somme versate a titolo di estinzione delle rate del mutuo contratto per l’acquisto del cespite.

I giudici di secondo grado disattendevano la tesi della P. secondo cui tra le parti sarebbe stato concluso un patto di indivisione, e ritenevano che l’accoglimento della richiesta di attribuzione del N. fosse giustificato in quanto era stata avanzata in via prioritaria, laddove l’appellato offriva maggiori garanzie di adempimento dell’obbligazione di pagamento del conguaglio, attese le condizioni di precarietà lavorativa e finanziaria della controparte.

Andava del pari disatteso il motivo di appello con il quale si contestava la misura dell’indennizzo riconosciuto all’appellato, in quanto il Tribunale non aveva fatto riferimento ad un criterio equitativo puro, ma si era attenuto ad un canone di locazione mensile di mercato.

In merito all’appello incidentale, escludeva che fosse stata offerta la prova, da fornirsi in forma scritta, dell’esistenza di un accordo volto a regolamentare la proprietà del bene in maniera difforme dall’intestazione formale, mancando altresì la prova che sussistesse un obbligo in capo alla ex moglie di rimborsare il N. delle somme versate per il pagamento delle rate di mutuo.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso P.J.R. sulla base di un motivo.

N.A. ha resistito con controricorso.

Nella proposta del Consigliere relatore era stata avanzata la soluzione dell’improcedibilità del ricorso per la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto, pur avendo la stessa parte ricorrente dichiarato che la sentenza impugnata le era stata notificata a mezzo PEC in data 26/1/2017, non risultava però depositata copia autentica con la relazione di notificazione (nè risulta che tale copia autentica fosse stata versata in atti dal controricorrente, atteso che secondo quanto di recente affermato da Cass. S.U. n. 10648/2017, l’improcedibilità non potrebbe essere dichiarata se la copia autentica della sentenza con relata di notifica, sia stata prodotta dalla controparte), avendo la parte solo depositato copia della sentenza di appello ma senza attestazione di conformità ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis in ordine alla notifica della sentenza stessa.

Ritiene il Collegio di dover però dissentire da tale proposta alla luce di quanto evidenziato dal ricorrente nelle proprie memorie.

Infatti, va ribadito che l’onere di deposito della copia notificata è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, di regola, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve (cfr. anche Cass. Sez. U, 02/05/2017, n. 10648).

Nel caso in decisione, la sentenza della Corte d’Appello di Firenze risulta notificata in data 26 luglio 2017 al procuratore costituito della P., avvocato Antonio Piccolo, tuttavia stato dedotto dai ricorrenti, e documentato mediante produzione del certificato di morte, che lo stesso Avv. Piccolo è deceduto in data 30 gennaio 2017, e quindi prima della scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c..

Verificatasi la morte del difensore della parte, evento contemplato dall’art. 328 c.p.c. a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 41 del 1986, i termini per impugnare sono allora disciplinati esclusivamente dall’art. 328 c.p.c., secondo cui il termine per impugnare è interrotto e il nuovo termine decorre dal giorno in cui è rinnovata la notificazione della sentenza; qualora manchi tale rinnovazione l’impugnazione deve essere proposta nel termine (di un anno, per la formulazione della norma applicabile ratione temporis) previsto dall’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza e non dall’evento interruttivo, prevedendo l’art. 328 c.p.c., comma 3, una proroga di sei mesi dal giorno dell’evento per il solo caso che questo intervenga dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (così Cass. Sez. 1, 29/09/1999, n. 10789; Cass. Sez. 1, 22/10/2008, n. 25583).

Pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima alla parte defunta durante la decorrenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., il ricorso per cassazione deve, pertanto, egualmente ritenersi procedibile, ove risulti che la sua notificazione si sia poi perfezionata, in mancanza di rinnovazione della notificazione della sentenza, ai sensi dell’art. 328 c.p.c., comma 1, entro il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza come appunto avvenuto nella fattispecie.

L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 720 e 729 c.c. nella parte in cui la sentenza d’appello, pur ribadendo la natura non divisibile del bene, ed in presenza di una comunione con identità di quote tra i condividenti, ha assegnato l’intera proprietà dell’appartamento comune al solo N., valorizzando la priorità cronologica della richiesta di attribuzione della controparte nonchè la pretesa minore solvibilità economica della ricorrente.

Il motivo è inammissibile in quanto volto a contestare il non sindacabile esercizio della discrezionalità propria del giudice di merito.

In tal senso va richiamato l’orientamento di questa Corte che ha affermato che, in tema di divisione, quando nella comunione ereditaria sia compreso un immobile non comodamente divisibile e vi siano coeredi titolari di quote identiche, la scelta tra coloro che ne richiedano l’attribuzione è rimessa, ai sensi dell’art. 720 cod. civ., al giudice sulla base di ragioni di opportunità e convenienza, mentre il rimedio residuale della vendita all’incanto trova applicazione solo ove non sia ravvisabile alcun criterio oggettivo di preferenza, senza che, peraltro, l’individuazione del condividente cui assegnare il bene possa dipendere dalla maggiore offerta, che uno di essi faccia, rispetto al prezzo di stima, non caratterizzandosi il procedimento divisionale come una gara tra i coeredi (Cass. n. 10216/2015).

I giudici di merito, con valutazione in fatto, peraltro solo parzialmente contestata in sede di appello quanto al profilo della minore capacità economica della ricorrente, hanno risolto il conflitto tra le concorrenti richieste di attribuzione, ritenendo di privilegiare quella del N., valorizzando sia l’iniziale richiesta avanzata dallo stesso, a fonte dell’atteggiamento processuale della controparte propenso invece alla vendita del bene a terzi, sia la maggiore solvibilità dell’ex marito della ricorrente, la quale avrebbe assicurato una più sicura attuazione delle disposizioni conseguenti alla disposta attribuzione, quanto al pagamento dell’obbligo di versamento dell’eccedenza.

Trattasi di motivazioni che non si connotano per irrazionalità o arbitrarietà e che assicurano il rispetto delle norme di cui invece si denuncia la violazione, risolvendosi le doglianze, come detto, in una non consentita, e come tale inammissibile, sollecitazione alla rivalutazione del merito della controversia.

Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Atteso che il ricorso è stato dichiarato inammissibile ricorrono i presupposti per il versamento del dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione del ricorso ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida per ognuna in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per l’appello e per il ricorso a norma dell’art. 1 bis, stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2018

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