Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24799 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2020, (ud. 15/05/2019, dep. 05/11/2020), n.24799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27758/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– ricorrente –

– controricorrente incidentale –

contro

Tirreno Power s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio n. 43,

presso lo studio legale tributario Miccinesi e Associati,

rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Puri, giusta procura speciale

a margine del controricorso;

– controricorrente –

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 162/35/13, depositata il 7 giugno 2013;

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto

procuratore generale Dott. Visonà Stefano, che ha concluso per il

rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso

incidentale;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Consigliere Nonno Giacomo Maria.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 162/35/13 del 07/06/2013, la Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc CTR) accoglieva parzialmente l’appello principale proposto dall’Agenzia delle dogane nonchè l’appello incidentale di Tirreno Power s.r.l. (hinc TP) avverso la sentenza n. 395/26/11 della Commissione tributaria provinciale di Roma (hinc CTP), che aveva accolto i ricorsi proposti dalla società contribuente nei confronti del silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli avverso due istanze di rimborso per accise indebitamente corrisposte relativamente al periodo 05/09/2006 – 31/05/2007.

1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) le istanze di rimborso erano state presentate da TP, acquirente di gas metano per la produzione di energia elettrica da ENI s.p.a. e da Total Italia s.p.a., in ragione della esenzione da accisa evincibile dalla direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, poi recepita in Italia a seguito del D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, con efficacia dal 01/06/2007; b) la CTP accoglieva i ricorsi riuniti della società contribuente; c) la sentenza della CTP era appellata dall’Agenzia delle dogane.

1.2. Su queste premesse, la CTR motivava l’accoglimento parziale dell’appello dell’Agenzia delle dogane e l’accoglimento dell’appello incidentale di TP osservando, per quanto ancora interessa in questa sede, che: a) l’eccezione di giudicato formulata da TP era infondata, non sussistendo l’onere di specifica riproposizione delle questioni e delle eccezioni non accolte in primo grado; b) TP era legittimata a chiedere il rimborso delle accise a fronte della illegittima corresponsione delle stesse per violazione del diritto unionale; c) il ragionamento per il quale le accise erano state traslate sul consumatore finale era fondato su presunzioni inammissibili, mentre TP aveva prodotto una perizia esaustiva in ordine alla mancata traslazione dell’imposta; d) non poteva essere riconosciuto il maggior danno ex art. 1224 c.c.

2. L’Agenzia delle dogane impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

3. TP resisteva con controricorso, proponeva ricorso incidentale affidato a due motivi e depositava memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico accise – TUA), artt. 2 e 26, e della direttiva n. 92/12/CEE del 12 luglio 1977, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando la circostanza che TP non sarebbe legittimata a chiedere il rimborso delle accise ai sensi del TUA, art. 14.

2. Il motivo è fondato.

2.1. Secondo il Testo unico sulle accise per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione ovvero della loro importazione (art. 2, comma 1); è obbligato al pagamento dell’accisa il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e gli altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta (comma 4).

2.1.2. Gli obbligati al pagamento dell’accisa sul gas naturale sono, tra gli altri, i “(…) soggetti che vendono direttamente il prodotto ai consumatori (…). Sono considerati consumatori anche gli esercenti i distributori stradali di gas metano per autotrazione che non abbiano, presso l’impianto di distribuzione, impianti di compressione per il riempimento di carri bombolai. Possono essere riconosciuti soggetti obbligati al pagamento dell’accisa i titolari di raffinerie, di impianti petrolchimici e di impianti di produzione combinata di energia elettrica e di calore” (TUA, art. 26, comma 4), mentre “i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa” (TUA, art. 16, comma 3).

2.1.3. Ai sensi dell’art. 14, “l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata”. Il diritto al rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario è regolato dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, comma 2, il quale stabilisce che: “I diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni” (inciso, quest’ultimo, aggiunto a far data dal 04/03/2007).

2.2. Dal combinato disposto delle menzionate disposizioni emerge chiaramente che il titolare, dal lato passivo, dell’obbligazione tributaria di corrispondere l’accisa è, sempre e comunque, il fabbricante ovvero l’intermediario che immette i beni al consumo nel territorio dello Stato. E’ dunque il fornitore a dover pagare l’imposta; in esito al pagamento, egli può riversarne l’onere mediante rivalsa. E non potrebbe essere diversamente, giacchè la caratterizzazione tipologica delle accise postula, per poter risultare efficace e garantire un gettito costante all’erario, la concentrazione del controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti (così, in motivazione, Cass. n. 17627 del 06/08/2014; si veda, altresì, Cass. 19 giugno 2008, n. 16612). Per costoro, in sostanza, l’accisa è un costo sostenuto prima della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella base imponibile dell’IVA (Cass. n. 24015 del 03/10/2018).

2.2.1. Per altro verso, “la configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo esclude la configurabilità del rapporto di sostituzione d’imposta e, per conseguenza, l’autonoma rilevanza del sostituito, ossia del consumatore finale” (così Cass. n. 9567 del 19/04/2013 con riferimento alla energia elettrica; l’affermazione è ripetuta da Cass. n. 17627 del 2014, cit., anche con riferimento al gas naturale).

2.2.2. Le superiori conclusioni trovano ulteriore conferma nella giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte: è stato, infatti, affermato che “il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore” (Cass. S.U. 25 maggio 2009, n. 11987), sicchè “il solo soggetto obbligato verso l’amministrazione finanziaria è l’ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l’accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas) (…)” (Cass. S.U. 19 marzo 2009, n. 6589).

2.3. In buona sostanza, l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, di guisa che soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto; quanto al consumatore, l’onere corrispondente all’imposta è su di lui traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico. Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge soltanto tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l’utente consumatore.

2.3.1. Come è stato efficacemente rilevato, “i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico” (cfr. Cass. n. 9567 del 2013, cit., laddove ulteriori riferimenti giurisprudenziali).

2.4. E’ stato ancora precisato, sia pure con riferimento all’IVA di rivalsa (Cass. n. 23288 del 27/09/2018), che dal compimento dell’operazione imponibile scaturiscono tre rapporti (cfr. Cass. S.U. n. 26437 del 20/07/2017): uno, tra l’Amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’Amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa.

2.4.1. Si tratta di rapporti che, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro e soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’Amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (Cass. n. 14933 del 06/07/2011; Cass. n. 17169 del 26/08/2015).

2.4.2. Al riguardo, la Corte di giustizia ha ripetutamente sottolineato (tra le tante, CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas) che, in mancanza di disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possono essere presentate, purchè i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (in termini, CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, punto 37, Reemtsma Cigarettenfabriken).

2.4.3. Peraltro, un sistema nel quale, da un lato, il venditore del bene che ha versato erroneamente alle autorità tributarie l’IVA può chiederne il rimborso e, dall’altro, l’acquirente di tale bene può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale venditore, rispetta i principi di neutralità e di effettività, consentendo all’acquirente, gravato dell’imposta erroneamente fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, cit., punti 38 e 39 e giurisprudenza ivi citata).

2.4.4. E’, dunque, compito degli Stati membri prevedere gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire a detto acquirente di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare il principio di effettività. Sicchè soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, cit.; conf., CGUE 31 maggio 2018, cause C660 e 661/16, KoliroB e Wirti, punto 66).

2.4.5. Il fruitore dei beni o dei servizi può dunque ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, CGUE 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42; e, in tema di accise, CGUE 20 ottobre 2011, causa C94/10, Danfoss).

2.5. Traendo le fila del discorso, può quindi affermarsi, con specifico riferimento alla materia delle accise, che:

1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore;

2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale;

3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;

4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;

5) il diritto al rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria spetta unicamente al fornitore;

6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale, quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere il rimborso anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria allorquando, l’azione esperibile nei confronti del fornitore sia oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore).

2.6. Applicando i superiori principi di diritto al caso di specie, deve ritenersi che la CTR abbia erroneamente statuito in ordine alla legittimazione di TP al rimborso delle accise, dovendo ritenersi che la società contribuente è il consumatore finale del prodotto fornito da ENI s.p.a. e TOTAL Italia s.p.a., su cui grava l’obbligo di pagamento delle accise e, quindi, anche la legittimazione al rimborso.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003 e del D.Lgs. 20 febbraio 2007, n. 26, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi l’insussistenza del contrasto, ritenuto dalla CTR, della legge italiana con il diritto unionale.

4. Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione della L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, commi 2 e 4, e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi l’insussistenza di un divieto assoluto di prova presuntiva in materia di traslazione dell’imposta e l’inattendibilità della perizia di parte sulla quale è stato fondato il convincimento della CTR.

5. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o, comunque, insufficiente motivazione in ordine alla questione della intervenuta traslazione dell’imposta della quale si chiede il rimborso.

6. I superiori motivi restano assorbiti in ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.

7. Con il primo motivo di ricorso incidentale TP contesta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 53 e 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in ordine all’illegittimità del pagamento delle accise per violazione del diritto unionale.

8. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce, cumulativamente, la nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione dell’art. 1224 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR erroneamente disconosciuto il diritto della società al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., n. 2.

9. Anche tali motivi restano assorbiti in ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso principale.

10. In conclusione, il ricorso va accolto con riferimento al primo motivo, assorbiti i restanti e il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendoci ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto degli originari ricorsi di TP.

10.1. Sussistono giusti motivi, in relazione alla indubbia controvertibilità della questione, per l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri e il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta gli originari ricorsi proposti dalla controricorrente; dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

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