Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24797 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. I, 03/10/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 03/10/2019), n.24797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3248/2016 proposto da:

M.G. Meccanica di A.M. e A.G. s.n.c., in

Liquidazione e in Concordato preventivo, in persona del liquidatore

pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Sara Pagnoni, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Procedura di Concordato Preventivo n. (OMISSIS) c.p. del Tribunale di

Ascoli Piceno – Ceto Creditorio, Procura Generale della Repubblica

presso la Corte di Appello di Ancona, Procura della Repubblica

presso il Tribunale di Ascoli Piceno;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il

07/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2019 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento in rito dei

motivi n. 1 e n. 2;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Sara Pagnoni che si riporta e

chiede l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Ascoli Piceno omologava, in data 14 marzo 2014, il concordato preventivo di M.G. Meccanica di A.M. e G. s.n.c., con ciò disattendendo l’opposizione proposta dall’Agenzia delle entrate, la quale aveva lamentato come parte significativa del credito in privilegio di spettanza dell’erario (Euro 2.228.501,00 su Euro 2.789.558,00) fosse stato collocato in chirografo e ne fosse stato previsto il soddisfacimento in ragione del 7,32%.

Spiegava reclamo l’Agenzia delle entrate: reclamo che la Corte di appello di Ancona, con decreto pubblicato il 17 luglio 2015, accoglieva, rigettando la domanda di concordato.

2. – Ha proposto ricorso per cassazione la società M.G. Meccanica che ha fatto valere tre motivi di impugnazione; la difesa dell’Agenzia delle entrate è stata affidata a un controricorso.

La causa avviata alla trattazione camerale, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 166 del 7 gennaio 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 739 c.p.c. e segg. e dell’art. 181 c.p.c.. La censura concerne la questione processuale correlata alla mancata comparizione delle parti all’udienza fissata dalla Corte di appello con proprio decreto. Rileva l’istante che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice distrettuale, non era possibile applicare al procedimento di reclamo la disciplina di cui all’art. 181 c.p.c..

Con il secondo motivo è lamentata la violazione vegli artt. 739 c.p.c. e segg., L. Fall., art. 18, comma 6 e degli artt. 291,153 e 154 c.p.c.. Espone la ricorrente che l’Agenzia delle entrate non aveva rispettato il termine di dieci giorni per la notifica del ricorso e del decreto e che la Corte di merito aveva disatteso l’eccezione di improcedibilità del reclamo sollevata dalla stessa istante sul presupposto che il termine suddetto dovesse ritenersi ordinatorio. Osserva la società che la decisione risultava errata quanto alla seconda notifica, poichè il termine all’uopo assegnato è sempre perentorio, mentre, con riguardo alla prima, varrebbe il principio per cui, una volta scaduto il termine ordinatorio senza che sia stata concessa alcuna proroga, si determinano le conseguenze riconducibili all’inutile decorso del termine perentorio.

Il terzo motivo oppone la violazione dell’art. 100 c.p.c.. Viene dedotto che l’Agenzia delle entrate non aveva alcun interesse al reclamo, dal momento che la procedura di concordato preventivo presentava, per essa, una sicura convenienza economica.

Col quarto motivo viene lamentata la violazione della L. Fall., art. 160, comma 2 e la manifesta illogicità della motivazione. Si sostiene, in sintesi, che la società ricorrente non aveva degradato i crediti privilegiati a crediti in chirografo, essendosi limitata ad attribuire il proprio patrimonio ai creditori, nel rispetto dell’ordine dei privilegi. Secondo la parte ricorrente, i terzi, coi loro apporti, non avevano in alcun modo alterato lo stato patrimoniale dell’impresa in crisi, poichè tali conferimenti non erano destinati all’impresa, ma direttamente ai creditori di essa.

2. – Il primo motivo è fondato.

2.1. – La Corte di appello ha ritenuto che, in ragione della mancata comparizione delle parti all’udienza del 9 luglio 2014, dovesse essere operato il rinvio della causa a norma dell’art. 181 c.p.c.; in difetto di espressa previsione di improcedibilità – ha spiegato – occorreva far riferimento alle norme generali sull’appello.

Il provvedimento di rinvio dell’udienza è stato adottato nel corso del procedimento di reclamo L. Fall., ex art. 183, avverso il decreto con cui il Tribunale aveva omologato h concordato preventivo di M.G. Meccanica.

Ora, il procedimento richiamato dall’art. 183 cit., al pari di quello avente ad oggetto il reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento, ha natura camerale: a differenza di quest’ultimo, esso non è tuttavia regolamentato.

E’ da aggiungere che i due schemi procedimentali possono naturalmente intersecarsi nell’ipotesi, delineata dalla L. Fall., art. 183, comma 2, in cui il tribunale respinga il concordato e dichiari il fallimento: in tale evenienza è difatti stabilito che la sentenza con cui è dichiarato il fallimento sia impugnabile con lo strumento del reclamo di cui alla L. Fall., art. 183, nel quale, evidentemente, potranno e dovranno discutersi sia le questioni relative al concordato sia quelle relative alla dichiarazione di fallimento.

Con particolare riferimento al reclamo di cui alla L. Fall., art. 18, questa Corte è venuta affermando il principio per cui tale mezzo, in coerenza con la natura camerale dell’intero procedimento, è caratterizzato, per la sua specialità, da un effetto devolutivo pieno, non soggetto ai limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c., pur attenendo a un provvedimento decisorio, emesso all’esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata; ha dunque precisato che, in conseguenza, dovendosi applicare le norme sul reclamo, in quanto non derogate dalla L. Fall., art. 18, vale il principio per cui, in caso di difetto di comparizione del reclamante all’udienza di trattazione, il giudice, verificata la regolarità della notificazione del ricorso e del decreto, deve decidere il reclamo nel merito, esclusa la possibilità di una decisione di rinvio della trattazione o di improcedibilità per disinteresse alla definizione o di non luogo a provvedere (Cass. 24 maggio 2012, n. 8227).

Analoga conclusione si impone, ad avviso del Collegio, con riferimento alla fattispecie della mancata comparizione delle parti all’udienza del giudizio di reclamo in tema di omologa del concordato preventivo.

L’affermazione circa l’applicabilità di regole specificamente dettate per il giudizio di reclamo L. Fall., ex art. 18, a quello avente ad oggetto l’impugnazione di cui alla L. Fall., art. 183, è stata già operata da questa Corte. Cass. 9 febbraio 2017, n. 3463, evocando chiaramente sul punto l’insegnamento di Cass. 19 marzo 2012, n. 4304, ha rilevato come il termine di trenta giorni previsto per la proposizione del gravame dall’art. 18 cit. trovi applicazione anche nel caso in cui, mediante il reclamo di cui alla L. Fall., art. 183, venga contestato solo il decreto di omologazione o il solo decreto di diniego dell’omologazione; secondo tale arresto, la circostanza che con il medesimo atto possano essere impugnati due distinti provvedimenti, di cui uno entro il termine specificato dalla L. Fall., art. 18, impone, per un’evidente lettura costituzionalmente orientata della disciplina, di ritenere applicabile tale termine anche all’impugnazione del solo decreto di omologazione, o di diniego di omologazione: non potendo esso mutare a seconda del contenuto del provvedimento impugnato e dell’eventualità che, contestualmente al diniego di omologazione, venga pronunciata, o no (ad esempio perchè non vi siano istanze di creditori), una separata sentenza di fallimento. Si pone in linea di sostanziale continuità con tale giurisprudenza Cass. 20 settembre 2013, n. 21606, secondo cui l’unitario reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento conseguente al diniego di omologazione del concordato preventivo e avverso il contestuale decreto di diniego dell’omologazione va proposto nel termine di trenta giorni, decorrenti per il debitore dalla notificazione della sentenza, e non in quello più breve di dieci giorni, in quanto il reclamo cui fa riferimento la L. Fall., art. 183, comma 2, è quello previsto dall’art. 18 della medesima legge, e non può reputarsi che il termine muti a seconda che la sentenza sia o meno pronunciata all’esito del decreto di diniego dell’omologazione del concordato.

Ciò posto, l’argomento basato sulla illogicità della sovrapposizione di discipline diverse con riferimento ai casi in cui il provvedimento in tema di omologa sia impugnato da solo o unitamente alla dichiarazione di fallimento può essere utilmente speso con riferimento ai vari aspetti della disciplina del reclamo di cui alla L. Fall., art. 18.

Si può così concludere nel senso che al reclamo L. Fall., ex art. 183, siano applicabili, pur nei limiti della compatibilità, le regole proprie del reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento: come appunto quella, circa le conseguenze della mancata comparizione delle parti, che è stata ricavata sul piano interpretativo dalla cit. Cass. 24 maggio 2012, n. 8227.

Per conseguenza, in caso di impugnazione del decreto in tema di omologa – sia in caso di accoglimento che in caso di rigetto, e indipendentemente, in quest’ultimo caso; dal fatto che sia stata anche proposta impugnazione contro la sentenza dichiarativa di fallimento -, la mancata comparizione delle parti resta disciplinata dal principio sopra richiamato: quello per cui il giudice è tenuto a verificare la regolarità della notificazione del ricorso e del decreto, per poi decidere il reclamo nel merito. Deve pertanto negarsi che la Corte di appello investita del reclamo L. Fall., ex art. 183, possa rinviare la causa a norma dell’art. 348 c.p.c., comma 2.

Merita aggiungere, per completezza, che tale esito, cui si perviene attraverso l’indicato itinerario ricostruttivo, è del resto coerente con quanto già affermato da questa S.C., sempre in materia fallimentare, con riferimento al procedimento d reclamo di cui alla L. Fall., art. 26. E’ stato difatti sottolineato che nel detto procedimento, quando si controverta su situazioni incidenti su diritti soggettivi, trovano applicazione le regole gererali sui giudizi camerali ex artt. 737 c.p.c. e segg., ed il tribunale è tenuto a decidere il reclamo anche nel caso in cui il ricorrente non compaia in Camera di consiglio, sicchè, qualora dichiari erroneamente “non luogo a provvedere” sul medesimo, questo provvedimento è impugnabile con ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost. (Cass. 3 agosto 2017, n. 19478; Cass. 11 maggio 2005, n. 9930).

2.2. – Tornando, ora, alla fattispecie oggetto del primo motivo di ricorso, deve rammentarsi che all’udienza del 9 luglio 2014, in cui le parti non ebbero a comparire, il giudice non disponeva degli originali di notifica del ricorso e del decreto, che non erano stati depositati (cfr. ricorso, pagg. 4 s.). Escluso, dunque, che potesse attuarsi il rinvio dell’udienza a norma dell’art. 348 c.p.c., comma 2, ed esclusa, altresì, la possibilità di decidere la causa nel merito, stante la mancata evidenza della rituale vocatio in jus della parte reclamata, si imponeva di chiudere il giudizio in rito. Il giudice del reclamo, del resto, a fronte del mancato riscontro del compimento di una qualche attività notificatoria, non avrebbe potuto nemmeno assegnare un nuovo termine per la notificazione del ricorso. La situazione con cui lo stesso dovette misurarsi era infatti quella della totale mancanza della instaurazione del contraddittorio e, secondo quanto già rilevato in materia di rito del lavoro da Cass. Sez. U. 30 luglio 2008, n. 20604 (ma in tema di reclamo fallimentare la regola è stata ripresa, con articolati sviluppi argomenIativi, da Cass. 20 luglio 2015, n. 15146 e da Cass. 11 maggio 2017, n. 11541), non è pensabile la rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, non esistendo una disposizione che permetta al giudice di fissare un termine per la notificazione, mai effettuata, del ricorso e non essendo consentito, nel silenzio normativo, allungare con condotte omissive i tempi del processo così da disattendere la sua “ragionevole durata”: orincipio, questo, che, in quanto riferito alla notificazione inesistente, è estraneo ai rilievi successivamente svolti dalla Corte costituzionale con riguardo alla diversa ipotesi della notifica del ricorso e del decreto che sia attuata oltre il termine di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2, ma nel rispetto di quello di cui al successivo comma 3 (Corte Cost. 24 febbraio 2010, n. 60; cfr. pure Corte Cost. 15 novembre 2012, n. 253).

3. – La sentenza impugnata va dunque cassata senza rinvio, dal momento che il reclamo, a seguito del deposito del ricorso, che non risultava notificato, e della mancata comparizione delle parti, non poteva aver corso ulteriore.

4. – Gli altri motivi restano assorbiti.

5. – In ragione del principio di soccombenza la controricorrente va condannata al pagamento sia delle spese del giudizio di legittimità che di quelle del giudizio di merito.

PQM

La Corte:

accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti i restanti; cassa senza rinvio il decreto impugnato in quanto la causa non poteva essere proseguita; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali del giudizio di merito, che liquida in Euro 2.225,00 di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese forfetarie e accessori, per il primo grado e in Euro 2.225,00 di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese forfetarie e accessori, per il reclamo; condanna altresì la controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della la Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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