Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24795 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. I, 03/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 03/10/2019), n.24795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25473/2014 proposto da:

R.M.A., R.G., Ru.Gi.,

Ru.Mi., Ru.Ro., elettivamente domiciliati in Roma, Piazza

Adriana n. 15, presso lo studio dell’avvocato Menichelli Marco,

rappresentati e difesi dall’avvocato Condorelli Domenico, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Giarre, in persona del sindaco pro tempore, domiciliato in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Leotta Mario,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 312/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 03/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 312/2014, depositata in data 19/02/2014, – in controversia promossa, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 39, da R.M.A., R.G., Ru.Mi., Ru.Gi. e Ru.Ro., nei confronti del Comune di Giarre, per sentirlo condannare alla corresponsione delle indennità conseguenti alla reiterazione di vincoli espropriativi sulle aree di loro proprietà, site nel territorio del suddetto Comune (stante la loro destinazione, sin dal 1981, a verde pubblico, opere di urbanizzazione del PEEP ed a sede stradale), avendo l’Amministrazione riconosciuto l’indennità soltanto per un quinquennio, dal 2005 al 2010, oltre al risarcimento dei danni, – ha respinto le domande attoree.

In particolare, i giudici d’appello, dichiarate inammissibili l’eccezione di incompetenza per materia sollevata dal Comune e la domanda di risarcimento danni avanzata dagli attori, hanno sostenuto che la pianificazione urbanistica indicata dagli attori, conseguente all’approvazione del PEEP (con Delibera del 1981, secondo gli attori, o con Delibera del 1989, secondo il convenuto, dopo l’annullamento in sede amministrativa della prima Delibera) integrava in effetti un vincolo preordinato all’esproprio, ma la domanda andava respinta per difetto di prova circa il pregiudizio effettivo subito dagli attori, quale individuato dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 170/1999, non avendo neppure gli attori indicato quale fosse la destinazione urbanistica antecedente l’apposizione del vincolo nè fornito elementi da cui desumere un’effettiva diminuzione di valore del bene rispetto alla situazione precedente alla pianificazione del vincolo. Ad avviso del collegio, inoltre, al comportamento del Comune, che aveva liquidato l’indennità per un limitato periodo temporale, non poteva attribuirsi natura di riconoscimento del danno patito dagli attori.

Avverso la suddetta pronuncia, R.M.A., R.G., Ru.Gi., Ru.Gi. e Ru.Ro. propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Comune di Giarre (che resiste con controricorso). I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti lamentano: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 e succ.modif., artt. 2043 e 2697 c.c., L. n. 1150 del 1942, art. 34,artt. 61 e 191 c.p.c., nonchè la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, atteso che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, essi avevano offerto prova del danno subito, depositando una perizia di parte, nella quale si era proceduto alla stima del valore differenziale delle aree ed avevano allegato che, sin dalla prima Delibera di approvazione del PEEP del 1981, i terreni avevano valore edificabile, sulla base del pregresso programma di fabbricazione; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 e succ. modif., artt. 1988,2043 e 2697 c.c., artt. 61 e 191 c.p.c., nonchè la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione alla valutazione della condotta del Comune, che aveva riconosciuto, sia pure per un periodo limitato, il diritto dei ricorrenti alla indennità, predisponendo un piano di perequazione urbanistica ai fini dell’offerta dell’indennità; 3) con il terzo motivo, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sempre in relazione all’offerta dell’indennità da parte del Comune ed alla sua natura ricognitiva del debito; 4) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 e succ.modif., artt. 2043 e 183 c.p.c., nonchè la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione alla declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria formulata ex art. 2043 c.c., nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., sul presupposto che essa fosse nuova (rispetto a quella di liquidazione dell’indennità da atto lecito dannoso ex art. 39 citato), laddove il petitum era rimasto invariato e vi era stata solo una diversa qualificazione della causa petendi (mera ementatio libelli); 5) con il quinto motivo, in via subordinata all’accoglimento delle pregresse censure, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in quanto la Corte avrebbe dovuto porre le spese a carico del Comune soccombente, stante la fondatezza delle domande attoree, anzichè compensarle tra le parti.

2. La prima censura è fondata.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 179 del 1999, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del combinato disposto della L. n. 1150 del 1942, art. 7, nn. 2, 3 e 4 e art. 40 e l. n. 1187 del 1968, art. 2, comma 1, nella parte in cui consentiva all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo, ha specificato che, pur potendo sussistere ragioni giustificative (da accertare attraverso una valutazione procedimentale, con adeguata motivazione) nella reiterazione in via amministrativa di vincoli, preordinati all’espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo, decaduti ovvero nella proroga degli stessi in via legislativa, risulta patologica un'”indefinita reiterazione o una proproga sine die o all’infinito…o quando il limite temporale sia indeterminato…e quindi non contenuto in termini di ragionevolezza”; secondo la Consulta, l’obbligo specifico di indennizzo sorge, per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica (come delimitati, restando al di fuori dall’ambito dell’indennizzabilità i vincoli incidenti con carattere di generalità ed in modo obiettivo su intere categorie di beni, ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici, i vincoli derivanti da limiti non ablatori, i vincoli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità ed i vincoli non eccedenti la durata ritenuta ragionevolmente sopportabile), “una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare su singolo, qualora non sia intervenuta l’espropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi”.

Come già espresso da questa Corte nella recente ordinanza 12468/2018, “la reiterazione dei vincoli scaduti preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi, oltre il limite temporale consentito, è riconducibile a un’attività legittima della P.A., la quale è tenuta a svolgere una specifica ed esaustiva indagine sulle aree incise, tenendo conto delle loro caratteristiche in concreto, al fine di determinare nell’atto medesimo, quantomeno in via presuntiva, e poi di liquidare, un indennizzo in misura non simbolica, che ripaghi il proprietario della diminuzione del valore di mercato o delle possibilità di utilizzazione dell’area rispetto agli usi o alle destinazioni ai quali essa era concretamente, o anche solo potenzialmente, votata; a tali accertamenti provvede il giudice del merito nei casi in cui la liquidazione sia omessa dalla P.A., o sorgano contestazioni sulla misura dell’indennizzo liquidato in favore del proprietario ma al privato non si richiede di fornire la prova di aver subito un danno ingiusto, competendogli un indennizzo per il sacrificio sofferto in conseguenza di un atto lecito della P.A., e non il risarcimento del danno conseguente ad un atto illecito”.

Con riferimento all’art. 39 del D.P.R. 2001, con il quale il legislatore è intervenuto in materia, in coerenza con le indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, questa Corte ha osservato che il meccanismo indennitario ivi contemplato è “sostanzialmente automatico” ed “è tipico della responsabilità da atto legittimo e distante dalle tecniche di tutela proprie della responsabilità civile da atto illegittimo”. Il giudice, investito della domanda del privato nei casi in cui la P.A. non vi provveda o vi provveda in misura ritenuta inadeguata, è tenuto ad accertare sia la diminuzione di valore di mercato dell’area sia anche altri eventuali pregiudizi suscettibili di essere arrecati all’immobile, in caso di ridotta possibilità di utilizzazione rispetto agli usi o alle destinazioni ai quali l’immobile era concretamente o anche solo potenzialmente vocato, non rilevando, ad esempio, che il terreno non fosse stato coltivato in passato – come invece ritenuto anche nella specie dalla Corte di merito – essendo sufficiente che possa concretamente esserlo (seppur tenendo conto degli oneri economici connessi alla riconversione del terreno). I ricorrenti deducono di avere comunque allegato criteri di liquidazione del danno, in una perizia di parte prodotta. Risulta accertato nella decisione impugnata che il vicolo finalizzato all’esproprio era stato comunque individuato nell’essere i terreni in oggetto ricadenti nel Piano per l’Edilizia Economica Popolare “(OMISSIS)” e nell’essere state destinate “in parte a verde pubblico ed in parte alla realizzazione di opere di urbanizzazione del predetto P.E.E.P. lungo ed infine alla realizzazione di opere di urbanizzazione del P.E.E.P. – edilizia scolastica”

Ora, con la pronuncia n. 23572/2017, questa Corte ha ribadito che non tutti i vincoli urbanistici sono soggetti a decadenza, e conseguentemente alla possibilità di indennizzo, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 39, allorchè reiterati, ma soltanto quelli aventi carattere particolare, per i quali la mancata fruibilità del bene protratta nel tempo e non indennizzata determina violazione dell’art. 42 Cost., comma 3: in particolare, non sono indennizzabili i vincoli posti a carico di intere categorie di beni, e tra questi i vincoli urbanistici di tipo conformativo (vale a dire quelli che, a prescindere dalla collocazione in una specifica categoria, consistano nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, si da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica), nonchè i vincoli paesistici (Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179). E’ indennizzabile solo il pregiudizio conseguente alla reiterazione di un vincolo che incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione. Ora, nella pronuncia del 2017 di questa Corte, si è sottolineato che la mera inclusione dell’area di proprietà dei ricorrenti nel piano di zona per l’edilizia economica e popolare non implica necessariamente che il bene partecipi della natura conformativa da attribuire a tale strumento pianificatorio, non potendo escludersi che, in relazione “a determinati beni ricompresi nel piano vengano imposti, per la realizzazione di opere specifiche (ad es., di natura infrastrutturale), dei vincoli particolari, che rientrano nel paradigma tracciato dalla Corte costituzionale” nel 1999.

Ma, nella specie, l’accertamento operato dalla Corte d’appello, in ordine alla natura di vincolo preordinato all’esproprio, dei vincoli per cui è causa non risulta espressamente censurato nel presente giudizio, avendo il Comune concluso per la conferma integrale della sentenza impugnata (argomentando solo sul difetto di prova da parte degli attori del pregiudizio subito).

La sentenza va pertanto riformata, dovendo la Corte d’appello procedere a nuovo esame secondo i principi di diritto sopra richiamati.

3. I motivi secondo e terzo (attinenti al profilo del riconoscimento implicito da parte del Comune, per effetto dell’indennità corrisposta sia pure per un periodo limitato) sono assorbiti.

4. Il quarto motivo (attinente alla declaratoria di inammissibilità della domanda di risarcimento danni ex art. 2043 c.c., formulata in corso di giudizio, in aggiunta alla domanda di liquidazione dell’indennizzo), è pure assorbito. La doglianza è, peraltro, inammissibile, atteso che, a prescindere dalla ammissibilità della diversa domanda formulata in memoria ex art. 183 c.p.c. (risarcimento del danno ingiusto da fatto illecito, ex art. 2043 c.c., in luogo della richiesta di indennizzo da atto lecito dannoso della P.A., D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 39), come anche rilevato dalla Corte d’appello (con statuizione non espressamente censurata in ricorso), non sussisteva la competenza della Corte d’appello adita (Cass. 3609/2017: “La competenza a conoscere delle controversie concernenti il riconoscimento del diritto all’indennizzo per reiterazione di vincoli di inedificabilità assoluta sostanzialmente espropriativi, nella ricorrenza dei presupposti indicati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, appartiene al tribunale e non alla corte d’appello, come previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, quando gli atti di rinnovo del vincolo espropriativo sono anteriori al 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del decreto citato”).

5. L’ultima censura, attinente al profilo delle spese processuali liquidate in appello, è assorbita (essendo stata formulata solo in relazione all’accoglimento dei pregressi motivi ed alla conseguente riforma della decisione impugnata).

6. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti i restanti, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione. Il giudice del rinvio procederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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