Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24794 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. I, 03/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 03/10/2019), n.24794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21420/2014 proposto da:

Comune di Verona, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Viale Liegi n. 32, presso lo studio

dell’avvocato Clarich Marcello, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati Caineri Giovanni Roberto, Squadroni Fulvia,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M., R.B.B., elettivamente domiciliati in

Roma, Via F. Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avvocato Manzi

Andrea, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ruffo

Riccardo, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore, domiciliata in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Provincia Verona;

– intimata –

avverso la sentenza n. 844/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 01/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/05/2019 dal cons. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 844/2014, depositata in data 26/2/2014, – in controversia promossa, dinanzi al Tribunale di Venezia in riassunzione (a seguito di declaratoria di incompetenza di Tribunale di Verona, originariamente adito), da F.M. e R.B.B. nei confronti del Comune di Verona, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti all’irreversibile trasformazione di fondi di proprietà, occupati d’urgenza per la realizzazione di parcheggi “in zona stadio di (OMISSIS), bretella di collegamento tra Via (OMISSIS) (tratto b) ed il palazzetto per il (OMISSIS)”, in difetto di decreti di esproprio nel termine quinquennale fissato, con domanda di garanzia spiegata dal convenuto nei confronti della Regione Veneto e della Provincia di Verona, – ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, che, dichiarata l’inammissibilità delle domande di garanzia svolte nei confronti della Provincia di Verona e della Regione Veneto, aveva condannato il Comune, unico soggetto passivo legittimato, al pagamento in favore degli attori di un’indennità di espropriazione, ritenuta la legittimità della disposta occupazione (atteso che, per effetto di una proroga biennale del termine quinquennale, disposta dalla L. n. 158 del 1991, art. 22 al tempo della citazione introduttiva del giudizio, nel 1994, il termine di occupazione legittima era ancora in corso), in conformità a quanto deciso dalla Commissione Espropri nel 1995, ed aveva dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alla domanda di condanna del Comune alla corresponsione del minor valore dei fondi rimasti interclusi per effetto della realizzazione dell’opera pubblica.

In particolare, i giudici d’appello, in accoglimento del gravame principale dei sig.ri F. e R., hanno condannato il Comune al pagamento della somma complessiva di Euro 624.745,51, oltre rivalutazione monetaria, dal 10/5/2006 al saldo, ed interessi, a titolo di risarcimento danni, nonchè a rifondere l’ulteriore danno, da liquidarsi in separata sede (giusta riserva formulata in sede di conclusioni), conseguente all’eventuale minor valore delle porzioni di terreno non occupate dall’Ente pubblico, rimasti interclusi, rispetto all’accertando valore ante occupazione.

I giudici della Corte territoriale hanno osservato che erroneamente il giudice di primo grado aveva pronunciato su una inesistente domanda di indennità di esproprio, riservata alla Corte d’appello in sede di opposizione alla stima, omettendo di pronunciarsi, invece, sulle domande risarcitorie proposte, e, decidendo nel merito, stante la mancata emanazione (sia pure nel termine ultimo del 19/6/1996) dei decreti di espropriazione, hanno ritenuto avverata la condizione dell’azione risarcitoria (vale a dire la mancata emanazione in termini dei decreti di esproprio), stante anche l’irreversibile trasformazione delle aree, liquidando il danno, da correlarsi all’effettivo valore di mercato dei terreni “edificabili”, illegittimamente acquisiti dalla P.A., in conformità alla stima effettuata dal consulente tecnico nominato (sulla base dell’esame di svariati atti di cessione di terreni aventi destinazione analoga a quella dei terreni in oggetto e di informazioni assunte presso operatori del settore immobiliare), a favore della R., in Euro 290.941,03 ed in Euro 274.233,34, ed, in favore del F., in Euro 16.575,52, oltre ai danni ulteriori subiti dagli stessi per effetto della esecuzione in loco delle opere pubbliche (quali la ricostruzione di pozzi, lo spostamento di accesso carraio, etc…).

Avverso la suddetta pronuncia, il Comune di Verona propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di F.M. e R.B.B. e della Regione Veneto (che si costituiscono con distinti controricorsi) e della Provincia di Verona (che non svolge attività difensiva). Il ricorrente ed il controricorrente F. hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Comune ricorrente, premettendo di non volere più coltivare le domande di manleva svolte nel giudizio di merito, lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 55 anche in relazione alle norme tecniche di attuazione del P.R.G. per la zona 19, adibita “a verde pubblico o sportivo”, nonchè della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis applicabile ratione temporis, deducendo che erroneamente è stata attribuita, facendo ricorso ad una nozione di edificabilità di fatto, natura edificabile ai terreni in oggetto, trattandosi di terreni agricoli classificati non edificabili sulla base delle previsioni specifiche del piano regolatore; con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e l’omesso esame di fatto decisivo, rappresentato dal supplemento di perizia depositato dallo stesso consulente tecnico, con il quale, a seguito di specifico quesito del giudice, si era proceduto a quantificare anche il valore agricolo dei terreni in contestazione, avendo invece la Corte d’appello fatto esclusivo riferimento alla prima relazione, omettendo ogni riferimento, anche solo per disattenderne le conclusioni, al supplemento peritale.

2. La prima censura è fondata, con assorbimento della seconda.

Dalla sentenza impugnata si evince che in effetti l’area occupata ricadeva in zona destinata a “verde pubblico o sportivo futuro”, vale a dire a verde attrezzato per edificazione di strutture sportive, anche per iniziativa privata. Ne consegue che la sentenza ha attribuito al terreno degli attori una destinazione edificatoria, disattendendo la normativa di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis vigente alla scadenza del periodo di occupazione legittima (1996) e adesso recepita nel t.u. delle espropriazioni, stante che unico criterio all’uopo utilizzabile è invece quello dell’edificabilità legale.

Questa Corte ha già precisato che un’area va ritenuta edificabile quando e per il sol fatto che essa come tale risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (v. per tutte Cass. n. 7987/2011; n. 9891/2007; n. 3838/2004; n. 10570/2003, fino a risalire a Cass. Sez. U. n. 172/2001).

Ora, pur essendo oggi, a seguito delle pronunce della Consulta nn. 348/2007 e 181/2011, il sistema indennitario agganciato al valore venale del bene espropriato, già previsto quale criterio base di indennizzo dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39 ed ora sancito dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, tuttavia, non è venuta meno, ai fini indennitari, la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio.

Le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata a un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità e via dicendo), in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che, come tali, sono soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia. Non rileva che la destinazione zonale consenta la costruzione di edifici o attrezzature pubbliche, quali gli impianti sportivi, in quanto l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica resta comunque connessa al perseguimento di un fine pubblicistico. Nè può esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione a iniziativa privata o promiscua pubblico-privata. Questa Corte ha infatti affermato che l’indennità di espropriazione di terreni destinati a verde pubblico attrezzato e per le attività sportive non può comunque essere commisurata al criterio delle aree edificabili, sia per l’estraneità, nel sistema della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5-bis di un tertium genus tra aree edificabili e inedificabili, sia perchè le opere previste, che non costituiscono estrinsecazione del ius aedificandi, sono funzionali alla realizzazione del fine pubblicistico (v. Cass. n. 4732/2004; n. 2812/2006; n. 17995/2009; n. 404/2010; n. 12818/2016; Cass. 5514/2017).

Anche recentemente (Cass. 23639/2016) si è ribadito che “in tema di occupazione usurpativa, il risarcimento del danno dev’essere commisurato all’integrale valore di mercato del suolo, sulla base delle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio”, cosicchè deve “tenersi conto dell’unico criterio discretivo dell’edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, (recepito nel D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37), senza che sia consentito alcun ricorso, integrativo o sostitutivo, all’edificabilità di fatto, dovendosi tuttavia precisare che, all’interno della categoria dei suoli inedificabili rivestono valore, anche a fini indennitari, le possibilità di edificazione intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative”. (cfr. su fattispecie, in termini, in fattispecie riguardante analoga controversia tra il Comune di Verona ed altri privati, relativa ad aree ubicate in zona 19 del PRG del Comune, Cass. 5514/2017). Il riscontro dell’attitudine allo sfruttamento edilizio di un’area va effettuato alla stregua della disciplina urbanistica, posta in funzione della razionale programmazione del territorio anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici, che le regole di mercato non possono travalicare (Cass. 29992/2018). Nè rileva il precedente citato in memoria dal controricorrente F. (Cass. 21914/2018), concernente fattispecie nella quale il carattere edificatorio del suolo espropriato era stato desunto dalla legislazione regionale (della Lombardia).

Nella specie, risulta accertato (come da CTU richiamata dal ricorrente, non contestata, sul punto dai controricorrenti, che si sono limitati ad invocare il criterio della edificabilità di fatto, condiviso dal consulente tecnico, e dalla Corte d’appello, con riferimento alla edificabilità delle aree limitrofe a quelle in oggetto) che l’area era destinata a verde pubblico e sportivo e che tale destinazione costituiva un vincolo conformativo incidendo su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione della zona in cui i beni ricadono, talchè la qualità edificatoria restava esclusa. Peraltro, la sentenza non è neppure chiara in ordine alla ritenuta natura edificabile dei terreni, limitandosi a fare richiamo alle risultanze della CTU, ritenute congrue ed esaustive.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione. Il giudice del rinvio procederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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