Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24792 del 05/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 24792 Anno 2013
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso 13086-2007 proposto da:
NEBULONI BRUNA, MINERVA SALVATORE, NEGRINI ROBERTA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE
PROVINCE 27, presso lo studio dell’avvocato MARTELLO
SIMONA, rappresentati e difesi dall’avvocato CARIDI
GIOVANNI giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

FONDAZIONE IRCCS ISTITUTO NEUROLOGICO “CARLO BESTA”
01668320151,

in

persona

del

Presidente

dott.

ALESSANDRO MONETA, elettivamente domiciliata in ROMA,

1

Data pubblicazione: 05/11/2013

VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato
SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende
giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 641/2006 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/03/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

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di MILANO, R.G.N. 3489/01;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel novembre del 1997 Salvatore Minerva, Bruna Nebuloni,
Giordano e Roberta Negrini convennero in giudizio, dinanzi al
tribunale di Milano, l’istituto neurologico Besta, chiedendone
la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza

ricoverata presso il nosocomio, era deceduta pere tumore al
mediastino a causa della negligenza dei medici che – errando
nella diagnosi ed omettendo i dovuti accertamenti – l’avevano
avuta in cura trattandola per una patologia miastenica senza
indagare sulla reale natura della malattia e senza avvedersi
della presenza di un timoma maligno la cui associazione con la
miastenia era già nota a quei tempi alla scienza medica.
Il giudice di primo grado, dopo aver evidenziato l’errore dei
sanitari consistito nell’aver trascurato le necessarie
indagini e le necessarie terapie (in particolare, una
timectomia anche in assenza di massa tumorale, così impedendo
alla ghiandola di divenire bersaglio di un tumore) nonostante
la acquisita conoscenza scientifica della correlazione
miastenia/timoma, accolse la domanda, liquidando agli istanti
i danni biologico e/o morale.
La corte di appello di Milano, investita del gravame
principale proposto da Salvatore Minerva, Bruna Nebuloni e
Roberta Negrini che lamentavano l’insufficienza della
liquidazione operata dal tribunale – e di quello incidentale
dell’istituto neurologico – che chiedeva invece la totale

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della morte della congiunta Luisa Negrini, la quale, più volte

assoluzione da ogni responsabilità in relazione all’evento
avverso così come verificatosi accolse quest’ultima
impugnazione, rigettando tutte le domande risarcitorie dei
congiunti di Luisa Negrini.
Per la cassazione della sentenza della corte milanese gli

motivi di censura.
Resiste l’istituto Basta con controricorso.
Le parti hanno entrambe depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non può essere accolto.
Con il primo motivo,

si denuncia nullità del procedimento di

secondo grado per inammissibilità dell’appello incidentale
proposto dall’istituto neurologico Basta oltre i termini di
legge, ai sensi del combinato disposto dell’art. 343 c.p.c. e
166 c.p.c. con riferimento all’art.360 n. 4 c.p.c..
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto
(formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis, nel vigore del D.lgs. 40/2006):
Si dica se è inammissibile perché tardivo l’appello
incidentale quando sia stato proposto con comparsa di risposta
depositata successivamente all’udienza di comparizione fissata
nell’atto di citazione in appello.
Il motivo non è fondato.

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appellanti principali hanno proposto ricorso illustrato da due

La denuncia di un

error in procedendo

in cui sarebbe in

ipotesi incorso il giudice di merito consente a questa Corte
l’esame diretto degli atti di causa.
Esame dal quale risulta che, con decreto del 14.12.2001,
comunicato dal cancelliere il successivo 17 dicembre, era

giorno 26.3.2002 la prima udienza di trattazione, a far data
dalla quale (e non da quella indicata nell’atto di appello)
andava calcolata il termine di venti giorni.
Diversamente da quanto opinato dai ricorrenti, difatti, la
disciplina dell’appello incidentale non rientrava, nella
specie, tra i casi di impugnazione incidentale proposta con
comparsa di risposta depositata a seguito dell’udienza fissata
nell’atto di citazione dall’appellante principale, bensì nella
diversa ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 168 bis
c.p.c. (rinvio d’ufficio dell’udienza con decreto da
comunicarsi a cura della cancelleria).
Di tanto appare consapevole la stessa difesa oggi ricorrente,
che, nella memoria, si limita ad illustrare il solo secondo
motivo di censura, afferente al merito della controversia.
Con il. secondo motivo,

si denuncia

omessa, insufficiente e

contraddittoria motivazione della decisione in merito al
comportamento omissivo diagnostico e terapeutico dei sanitari
dell’istituto Basta nella causazione dell’evento morte della
paziente risultante palese dalla documentazione probatoria in
atti con riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c..

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stato nominato il relatore del procedimento e fissata per il

La censura è corredata dalla seguente esposizione di sintesi
del fatto controverso:
Si dica se, a fronte di una consulenza tecnica espletata in
sede di appello palesemente in contrasto sia con la
valutazione resa in primo grado da altri consulenti di ufficio

consulenti tecnici di parte, sia con la documentazione
probatoria già in atti ed acquisita nel corso del processo,
l’organo giudicante può aderirvi senza fornire alcuna
giustificazione o chiarimento in ordine alle conclusioni
diverse cui sono pervenuti i primi in contrasto con i secondi.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, il
giudice di appello, dopo aver motivatamente deciso di
rinnovare l’accertamento tecnico d’ufficio, ha altrettanto
motivatamente fatto proprie le risultanze della nuova CTU richiamata espressamente nella parte in cui si affermava che
l’asportazione del timo non poteva, nella specie, considerarsi
l’indicazione terapeutica di elezione, stante la difformità di
opinioni sulla necessità della timectomia in caso di
miastenia, con conseguente esclusione del raggiungimento di
una adeguata prova sul nesso di causalità tra la progressione
dello stato patologico e il successivo decesso, da un canto, e
le scelte terapeutiche ovvero l’omissione di più puntuali
verifiche radiologiche dall’altro evidenziando, in
particolare, come il nuovo elaborato peritale fosse basato su

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in piena concordanza con quella cui sono pervenuti i

conoscenze specialistiche della materia, su una doviziosa
analisi della documentazione sanitaria, su un complesso di
elementi tecnico-scientifici più ampi e specifici di quelli
esaminati dai consulenti nominati in prime cure.
Nel suo complesso, pertanto, la sentenza impugnata, pienamente

tema di motivazione adottata nella ipotesi di contrasto tra
consulenze tecniche, resiste alle critiche mossele, che si
risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto
inammissibile, benché comprensibile) richiesta di
rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente
accertati in sede di merito. La ricorrente difesa, difatti,
lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza
rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. nonostante appaia apprezzabile lo sforzo di rovesciare, con
ampi riferimenti tecnico-scientifici, l’esito del giudizio
d’appello – si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura
delle risultanze procedimentali così come accertare e
ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata
sentenza censure ormai inaccoglibili, perché la valutazione
delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione,
postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva
al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del
proprio convincimento e della propria decisione una fonte di
prova con esclusione di altre, nel privilegiare una

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conforme alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in

ricostruzione circostanziale a

scapito di

altre

(pur

astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non
incontra altro limite (sicuramente rispettato, nella specie)
che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento,
senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni

deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato
quello per cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non
conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di
Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa,
consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il
profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle
valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto,
va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio
convincimento valutando le prove (e la relativa
significazione), controllandone la logica attendibilità e la
giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali
alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di
prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema
ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur
denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della
sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in
contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del
giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova
valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad
effectum)

sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del

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singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi

procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia
trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non
consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere
analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di
fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità

procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice
di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di
ottenerne la sostituzione con altre più consone al proprio
assunto difensivo -, pur non ignorando che nuove istanze di
fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa non
risultano ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice
di legittimità.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La disciplina delle spese – che possono, per la complessità
delle questioni trattate in sede di merito, per il discordante
giudizio cui sono pervenuti, rispettivamente, il tribunale e
la corte di appello, e per non trascurabili motivi di equità,
essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.
P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio
di cassazione.
Così deciso in Rema, li 21.3.2013

maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione

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