Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24791 del 05/11/2013
Civile Sent. Sez. 3 Num. 24791 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO
SENTENZA
sul ricorso 21738-2007 proposto da:
ROMANO
FRANCESCO RMNFNC49C15F604D,
elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA V. BACHELET 12, presso lo
studio dell’avvocato CIANCAGLINI LUIGI, rappresentato
e difeso dall’avvocato CARECCHIO GIOVANNI giusta
delega in atti;
– ricorrente contro
COMUNE DI VERCELLI 00355580028, in persona del
Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo
1
Data pubblicazione: 05/11/2013
studio
dell’avvocato
CONTALDI
MARIO,
che
lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato SZEGÒ
LUDOVICO giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro
– intimato –
avverso la sentenza n. 1374/2006 della CORTE
D’APPELLO di TORINO, depositata 1’08/08/2006, R.G.N.
1370/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/03/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato CARECCHIO GIOVANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
2
CAFFI LUCIANO;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di pignoramento presso terzi del 24 e 25 settembre
1999 l’avv. Francesco Romano evocò dinanzi al giudice
dell’esecuzione di Vercelli Luciano Caffi – al quale aveva
precedenza ingiunto il pagamento della somma di oltre 63
professionale – e il comune di Vercelli, in qualità di terzo
pignorato per l’espropriazione forzata di un credito vantato
dal debitore esecutato nei confronti dell’ente territoriale.
Il legale rappresentante del comune (che non si era presentato
a rendere la dichiarazione di quantità ex art. 547 c.p.c.)
eccepì preliminarmente la nullità dell’atto introduttivo del
giudizio per assoluta indeterminatezza dei fatti allegati e
per mancanza dell’avvertimento di cui all’art. 163 comma terzo
n. 7 c.p.c., chiedendo poi nel merito il rigetto della
domanda, che il giudice di primo grado respinse.
La corte di appello di Torino, investita del gravame proposto
dal Romano, lo rigettò a sua volta, ritenendo del tutto
carente la prova,
opponibile al terzo,
dell’effettivo
svolgimento di un’attività defensionale da parte dell’istante
in favore dell’assessore Luciano Caffi se non nei limiti del
processo penale di primo grado subito da quest’ultimo.
Per la cassazione della sentenza Francesco Romano ha proposto
ricorso illustrato da 5 motivi.
Resiste
con controricorso il comune di Vercelli, che ha
depositato memoria illustrativa.
3
milioni di lire, a suo dire dovutagli a titolo di compenso
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo,
si denuncia
violazione e falsa
applicazione degli artt. 548 e 549 c.p.c. (art. 360 n. 3
c.p.c.); omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione
c.p.c).
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto
(formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis, nel vigore del D.lgs. 40/2006):
Se nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo
promosso ex art. 548 c.p.c. il convenuto (terzo pignorato) può
contestare al creditore procedente il mancato svolgimento di
prestazioni professionali rese in favore dell’esecutato e
specificamente elencate in narrativa del decreto ingiuntivo,
espressamente richiamate anche nel testo del pedissequo
provvedimento monitorio, passato in giudicato e posto ad
esecuzione forzata.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
Inammissibile nella parte in cui esso sovrappone la censura di
violazione di legge con quella di vizio motivazionale senza,
peraltro, formulare alcuna (pur indispensabile) sintesi
espositiva in relazione a tale seconda censura. Sulla sintesi
necessaria per l’esame del denunciato vizio di motivazione
della sentenza impugnata, difatti, le stesse sezioni unite di
questa corte hanno specificato
4
(Cass.
ss.uu.
20603/07)
su più punti decisivi della controversia (art. 360 n. 5
l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione del fatto
controverso” in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione: la relativa censura deve contenere,
che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di
valutazione della sua ammissibilità.
Infondato nella misura in cui esso risulta del tutto
eccentrico rispetto alla fattispecie concreta, avendo il
giudice territoriale fondato il proprio convincimento – e la
conseguente pronuncia di rigetto della domanda – sulla
ritenuta carenza di prova dello svolgimento di attività
defensionale, da parte del Romano, in favore del Caffi, alla
luce della documentazione prodotta, senza che, all’uopo, possa
giovare al creditore procedente l’evocazione di consolidati
principi di diritto in tema di incontestata endoprocessualità
del giudizio
de quo.
Giudizio che, essendo funzionalmente
volto all’individuazione del credito in quanto oggetto del
pignoramento, postula pur sempre la dimostrazione
dell’esistenza del debito del terzo,
debitor debitoris,
nei
confronti dell’ingiunto. La assoluta carenza probatoria in tal
senso
(rectius,
la comprovata inesistenza di un obbligo di
rimorso da parte del comune) non può, pertanto, che risolversi
– a tacer d’altro, per evidenti ragioni di economia
5
cioè, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto)
processuale – nel rigetto della domanda, come correttamente
opinato dalla corte di appello torinese.
Con il secondo motivo,
si denuncia
violazione e falsa
applicazione degli artt. 2699, 2730, 2731 c.c. (art. 360 n. 3
c.p.c.); omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione
c.p.c).
La censura è corredata dal seguente quesito:
Se nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ex art.
548 c.p.c. l’ammissione del procuratore del convenuto terzo
pignorato, contenuta in un suo scritto difensivo, abbia valore
di confessione giudiziale e prevalga sul contenuto di un atto
pubblico quale è il decreto ingiuntivo passato in giudicato e
posto a base dell’esecuzione
Il motivo (prima ancora che infondato nel merito, poiché non
appare legittima una valutazione comparativa,
ratione
temporis, tra un’ammissione contenuta in uno scritto difensivo
endoprocessuale – comparsa di costituzione in primo grado nel
giudizio tra il creditore e il terzo – e l’atto conclusivo del
processo monitorio) è inammissibile in rito.
Per una duplice, concorrente ragione.
La prima, quanto al cumulo di censure di violazioni di legge e
di difetti motivazionali, alla luce di quanto osservato
nell’esaminare il motivo che precede (e come è a dirsi per
tutti i restanti motivi di ricorso).
6
su più punti decisivi della controversia (art. 360 n. 5
La seconda, quanto alla valenza probatoria dell’ammissione del
procuratore, poiché essa non costituisce in alcun modo la
ratio decidendi
della sentenza impugnata (la circostanza è
riportata al folio 6 della sentenza impugnata con esclusivo
riferimento alle eccezioni proposte dal comune di Vercelli, ma
dalla corte torinese, che ha fondato su altra
ratio decidendi
– la carenza di prova dello svolgimento di attività
defensionale da parte del Romano oltre il primo grado del
processo penale – il proprio corretto convincimento).
Con il terzo motivo,
si denuncia
violazione e falsa
applicazione dell’art. 11 comma 5 dello statuto del comune di
Vercelli sia edizione 1991 (art. 360 n. 3 c.p.c.); omessa,
insufficiente e/o contraddittoria motivazione su più punti
decisivi della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c).
La censura è corredata dal seguente quesito:
Se sia possibile, a tenore dell’art. 11 c.5 dello statuto del
comune di Vercelli nell’edizione del 1991, che il consiglio
comunale possa valutare l’assenza del conflitto di interessi
fra l’ente e l’assessore imputato per fatti ed atti compiuti
nell’esclusivo interesse dell’ente in epoca anteriore alla
sentenza definitiva e se detto articolo preceda o meno chetale
valutazione debba essere condotta preventivamente
Il motivo è infondato.
La pronuncia della corte territoriale si fonda, difatti, come
più volte osservato, sulla (non contestata, con la censura in
7
non compare in alcun passaggio della motivazione adottata
esame) carenza di prova, opponibile al comune, in ordine
all’effettivo svolgimento di attività professionale da parte
dell’avv. Romano oltre i limiti del processo penale di primo
grado.
Tale, autonoma e incensurabile
ratio decidendi
appare
sentenza, rendendo ultronea ogni ulteriore considerazione in
ordine alle valutazioni del consiglio comunale, che non
potrebbero comunque modificare il
decisum
del giudice di
merito.
Con il quarto motivo,
si denuncia
violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 191 ss. D.lgs. 267/2000 (art. 360 n. 3
c.p.c.); omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione
su più punti decisivi della controversia (art. 360 n. 5
c.p.c).
La censura è corredata dal seguente quesito:
Se l’obbligo del comune di Vercelli di assicurare l’assistenza
legale e/o il rimborso delle spese legali previsto nel proprio
statuto, sia nella dizione del 1991, sia in quella novellata
del 1996, sia escluso dall’art. 191 D.lgs. 267/2000,
costituendo debito fuori bilancio, ovvero se l’obbligo del
comune di Vercelli di assicurare l’assistenza legale e/o il
rimorso delle spese legali previsto dallo statuto possa
prevedersi in via analogica, in base all’art. 1720 c.c a
prescindere dalle norme giuscontabili.
Il motivo è inammissibile.
8
sufficiente, essa sola, a sorreggere la motivazione della
Sotto un duplice, concorrente profilo.
Il primo, quello per il quale la questione del coordinamento
delle norme statutarie con quella statuale risulta svolta, nel
ragionamento seguito dal giudice territoriale, soltanto
(“per completezza motiva”, si legge al folio 8
della sentenza impugnata), la
ratio decidendi
della
motivazione essendo, di converso, quella che limita l’attività
professionale ad epoca anteriore al 1995, con conseguente
applicabilità dello statuto del 1991
(ratio decidendi
non
impugnata con il motivo in esame)
Il secondo, quello per cui la questione dell’applicabilità
analogica delle norme sul mandato appare del tutto nuova e
svolta per la prima volta in questa sede, senza che il
ricorrente, in spregio al principio di autosufficienza del
ricorso, indichi in quale fase del giudizio di merito essa sia
stata tempestivamente sollevata e illegittimamente
pretermessa.
Con il quinto motivo,
si denuncia
violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 113 e 345 c.p.c. (art. 360 n. 3
c.p.c.); violazione del contraddittorio omessa,
insufficiente e/o contraddittoria motivazione su più punti
decisivi della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c).
La censura è corredata dal seguente quesito:
Se siano ammissibili nel giudizio di appello produzioni
documentali per contrastare
(ad confutandum)
le difese svolte
da una delle parti per la prima volta in appello, ritenute
9
abundantiam
ad
sussumibill nell’art. 113 c.p.lc., rientrando tale ipotesi nel
novero delle cause non imputabili alla parte che 11 deposita.
Il motivo è inammissibile, oltre che per l’erronea denuncia ai
sensi del n. 3 e non del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. del vizio
lamentato, perché questo giudice di legittimità ha già avuto
essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.,
in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica
unitaria della questione, onde consentire alla corte di
cassazione l’enunciazione di una
regula iuris suscettibile di
ricevere applicazione nel caso di specie come in casi
ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.
Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso tanto se
sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto
inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza
impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-32009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass.
19-2-2009, n. 4044) nella generica richiesta (quale quelle di
specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia
stata o meno violata una certa norma (e tanto è a dirsi anche
nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa
applicazione di tale norma da parte del giudice di merito). Il
quesito deve, di converso, investire la
ratio decidendi della
sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno
opposto: le stesse sezioni unite di questa corte hanno
chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536)
10
più volte modo di affermare che il quesito di diritto deve
che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366
bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale
l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla
formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una
tautologia o in un interrogativo circolare, che già
di risolvere il caso sub iudice).
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva
(Cass. 19892/09), che il ricorrente
la fattispecie concreta, poi
dapprima indichi in esso
la rapporti ad uno schema
normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non
assertiva, il principio giuridico di cui chiede
l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007)
l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si
risolva (come nella specie) in una generica istanza di
decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata
nel motivo, senza alcu riferimento concreto al contenuto degli
atti in ipotesi idonei a contrastare il decisum del giudice di
appello (a tacer del fatto che di quegli atti quello stesso
giudice ha affermato la sostanziale irrilevanza, senza che
tale convincimento abbia formato oggetto di specifica censura
da parte dell’odierno ricorrente).
Mancando del tutto dei requisiti richiesti, il quesito e il
corrispondente motivo deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorso va pertanto rigettato.
11
presupponga la risposta (ovvero la cui risposta non consenta
La liquidazione delle spese segue – giusta il principio della
soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si
Così deciso in Roma, li 7.3.2013
liquidano in complessivi E. 5200, di cui E. 200 per spese.