Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24785 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/10/2017, (ud. 18/07/2017, dep.19/10/2017),  n. 24785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11121/2015 R.G. proposto da:

D.L.V., c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Raffaele

Lomartire ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Baiamonti,

n. 4, presso l’avvocato Pierluigi Spedicati – studio legale

Cappello;

– ricorrente –

contro

M.L., c.f. (OMISSIS) – M.D. – c.f. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1735 dei 7.7/22.10.2014 del Tribunale di

Brindisi;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 luglio

2017 dal Consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto in data 18.10.2010 D.L.V. citava a comparire innanzi al giudice di pace di S. Pietro Vernotico M.L. e M.D..

Esponeva che con scrittura del 3.7.2006 era stata a D.L.C., titolare dell’omonima impresa, affidata in appalto dai convenuti l’esecuzione nell’immobile di loro proprietà – di lavori edili; che all’iniziale impresa era subentrato egli attore ed in corso d’opera le controparti gli avevano commissionato verbalmente l’esecuzione di lavori ulteriori e la fornitura del relativo materiale.

Chiedeva che per tali ulteriori lavori i convenuti fossero condannati a corrispondergli il saldo, indicato in Euro 5.000,00, nei limiti della competenza del giudice adito, rimasto insoluto.

Si costituivano M.L. e D..

Eccepivano l’avvenuto pagamento, il ritardo nella consegna rispetto al termine concordato e l’esecuzione non a regola d’arte dei lavori.

Instavano per il rigetto dell’avversa domanda ed in via riconvenzionale per la condanna dell’attore al pagamento della penale pattuita.

All’esito dell’istruzione probatoria il giudice adito con sentenza n. 31/2013 accoglieva la domanda dell’attore e rigettava la riconvenzionale.

Interponeva appello M.L..

Resisteva D.L.V..

Con sentenza n. 1735 dei 7.7/22.10.2014 il Tribunale di Brindisi in riforma della gravata sentenza dichiarava dovuta la penale per il ritardo nella consegna dei lavori, dichiarava estinte per compensazione le opposte ragioni di credito e compensava integralmente le spese del doppio grado.

Evidenziava il tribunale che dal contratto d’appalto allegato in prime cure si evinceva che i lavori quivi descritti dovevano essere completati entro il 31.10.2006 e nondimeno i medesimi lavori si erano protratti quanto meno sino al 14.1.2009.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.L.V.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

M.L. e D. non hanno svolto difese.

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 111Cost., comma 6, il difetto assoluto, la contraddittorietà e la illogicità della motivazione.

Deduce che la circostanza per cui il primo acconto sia stato versato in data 23.9.2007 “non dimostra che i lavori del primo contratto a quella data non erano ancora stati consegnati” (così ricorso, pag. 4); che parimenti la data del versamento degli ulteriori acconti non è idonea a dimostrare in via indiziaria il tempo della consegna dei lavori indicati nel contratto scritto.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Si prescinde in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” da qualsivoglia rilievo in ordine al perfezionamento dell’iter di notificazione del ricorso a questa Corte (cfr. Cass. sez. lav. 28.5.2014, n. 12002, secondo cui il principio della “ragione più liquida”, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre; Cass. sez. un. 8.5.2014, n. 9936).

Si premette che il motivo di ricorso si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Occorre tener conto, per un verso, che con lo spiegato mezzo di impugnazione il ricorrente censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui il tribunale ha atteso in ordine al denunciato ritardo nella consegna dei lavori; per altro verso, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Si rappresenta comunque che il vizio motivazionale sostanzialmente veicolato dall’esperito ricorso rileva nel segno della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (la sentenza impugnata è stata depositata il 22.10.2014) e nei limiti di cui alla pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014.

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Innanzitutto, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite testè menzionata, si scorge in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui il seconde giudice ha ancorato il suo dictum.

Più esattamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – il tribunale brindisino ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare il tribunale ha atteso ad una valutazione di ampio spettro, ovvero ha ancorato il proprio convincimento alle risultanze della documentazione prodotta in primo grado dallo stesso D.L. non già semplicemente alla data di versamento del primo acconto ed ha specificato al contempo che siffatte risultanze documentali non erano smentite dalle dichiarazioni rese dal teste Ma. e che il ritardo non era da ricondurre all’esecuzione delle opere ulteriori indicate nell’iniziale atto di citazione.

Inoltre, il medesimo giudice del merito ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante in parte qua agitur la res litigiosa ovvero il ritardo nell’esecuzione e consegna dei lavori.

Del resto, il ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“tutti gli acconti versati da parte resistente non sono elementi indiziari dotati del requisito della gravità, atteso che essi non provano con grande probabilità che i primi lavori non fossero stati ultimati, della precisione e della univoca concordanza”: così ricorso, pag. 5).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum del tribunale risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

Ciò tanto più, con precipuo riferimento alla presunta contraddittorietà della motivazione, chè nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4 del medesimo art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

Ciò tanto più, con precipuo riferimento alla valutazione indiziaria operata dal tribunale, chè nella ricerca e nella valutazione degli elementi sia indiziari che presuntivi del proprio convincimento il giudice del merito è investito del più ampio potere discrezionale, nel senso che è libero di scegliere gli elementi che ritiene maggiormente attendibili e meglio rispondenti all’accertamento del fatto ignoto, nonchè di valutarne come crede la gravità e la concludenza, purchè il suo ragionamento non risulti viziato – il che senza dubbio non è nella fattispecie – da illogicità o da errori giuridici, quale l’esame isolato dei singoli elementi presuntivi senza alcuna organica e complessiva valutazione di essi nel quadro unitario della indagine di fatto (cfr. Cass. 27.11.1982, n. 6460; cfr. Cass. 6.4.1983, n. 2373).

Ciò tanto più chè in maniera inappuntabile il tribunale ha precisato che “l’onere della prova che il ritardo non fosse imputabile spettava al D.L.” (così sentenza d’appello, pag. 4), debitamente soggiungendo che “nessuna prova ha fornito il D.L. della non imputabilità del ritardo” (così sentenza d’appello, pag. 4).

In verità, l’esperito mezzo di impugnazione sarebbe stato da respingere pur nel vigore dell’abrogato dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1n. 5.

Infatti, il ricorrente null’altro prospetta se non una pretesa migliore e più appagante valutazione degli acquisiti elementi indiziari (“la circostanza che a quei lavori ne stavano seguendo altri autorizza proprio a interpretazioni diverse e alternative: (…)”: così ricorso, pag. 5; “se i resistenti ebbero a versare il primo acconto solo il 23/9/2007 è evidente che essi avevano tacitamente rinunciato ad avvalersi della penale contrattuale”: così ricorso, pag. 5).

Il motivo dunque involge gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento.

In motivo pertanto si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394).

M.L. e D. non hanno svolto difese.

Nessuna statuizione va di conseguenza assunta in ordine alle spese.

Il ricorso è datato 21.4.2015.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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