Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24784 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 05/11/2020), n.24784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11870-2015 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministero pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via LORENZO VALLA

2, presso lo studio dell’avvocato PIERFRANCESCO DELLA PORTA,

rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCO CAMPO, PASQUALE

PERRONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1227/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 20/12/2014 R.G.N. 418/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. TORRICE AMELIA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catania, adita in via principale dal Ministero della Giustizia e in via incidentale da C.A., in parziale riforma della sentenza di primo grado ha condannato il Ministero a pagare alla C. Euro 18.694,44 a titolo di differenze economiche, dovute dal 23.10.2001 al 15.8.2005, tra la retribuzione percepita quale dipendente inquadrata nella categoria C3 dal 6.6.2000 all’agosto 2005 e quella propria del dirigente di seconda fascia del Comparto Ministeri in relazione all’avvenuto espletamento da parte della C. delle superiori mansioni di direttore di istituti penitenziari riconosciuti di livello dirigenziali con D.M. 28 novembre 2000.

2. La Corte territoriale, quanto all’appello principale, ha:

3. rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione richiamando la L. 27 luglio 2005, n. 154, art. 2, nella lettura datane dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23201 del 2009 e ha rilevato che l’oggetto del giudizio aveva ad oggetto la domanda di differenze retributive correlate al periodo precedente a quello in cui fa C. aveva assunto formalmente la qualifica di dirigente;

4. ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 20978 del 2001 per affermare l’applicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, anche in relazione allo svolgimento di fatto di mansioni dirigenziali e la sentenza di questa Corte n. 3814 del 2011, per statuire che le mansioni superiori svolte dalla C. non erano sussumibili entro la fattispecie della reggenza in quanto difettavano i requisiti della temporaneità e straordinarietà; ciò perchè dopo la qualificazione dell’ufficio come ufficio dirigenziale (D.M. 28 novembre 2001) il Ministero non aveva attivato alcuna procedura selettiva;

5. quanto all’appello incidentale, per quanto oggi rileva, la Corte territoriale ha affermato che, pur essendo stata devoluta alla contrattazione collettiva la determinazione del trattamento retributivo spettante ai dipendenti pubblici, nondimeno il CCNL del 5 aprile 2001, art. 36, non si era limitato a regolamentare il trattamento retributivo spettante ai dirigenti dell’amministrazione penitenziaria ma aveva illegittimamente interpretato la L. n. 449 del 1997, art. 41, comma 5, prevedendo che tale disposizione avrebbe trovato applicazione con l’entrata in vigore “di norme di raccordo da realizzarsi tra l’Amministrazione interessata e le OOSS…”; ha ritenuto che alla nullità della disposizione contenuta nel CCNL del 5 aprile 2001, art. 36 conseguiva che la disciplina relativa al trattamento economico trovava applicazione sin dalla data di stipulazione di detto contratto collettivo;

6. avverso questa sentenza il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi al quale C.A. ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria;

7. il ricorso era stato avviato alla trattazione in camera di consiglio per l’Adunanza del 9.4.2020; successivamente alla soppressione della predetta Adunanza Camerale, disposta ai sensi del del D.L. 8 marzo 2020, n. 11, art. 1, comma 1, il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di Consiglio per l’odierna Adunanza;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

sintesi dei motivi;

8. con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, violazione e/o falsa applicazione della L. 27 luglio 2005, n. 154, art. 2 e dell’art. 5 c.p.c.; deduce che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato depositato il 5 marzo 2007, successivamente all’entrata in vigore della L. 27 luglio 2005, n. 154, art. 2 e sostiene che tale disposizione, letta alla luce dell’art. 5 c.p.c., determina il difetto di giurisdizione del giudice ordinario;

9. con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 21 maggio 2000, n. 146, art. 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, della L. n. 154 del 2005, art. 4; addebita alla Corte territoriale, di avere omesso di considerare che in ragione dell’avvenuto svolgimento di mansioni dirigenziali la lavoratrice aveva ottenuto, ai sensi della L. n. 151 del 2005, art. 4, comma 1, l’inquadramento nella posizione dirigenziale e di non avere tenuto conto del fatto che il riconoscimento del diritto al pagamento delle differenze retributive ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, aveva prodotto in favore della C. un doppio beneficio: quello dell’avanzamento senza concorso e quello economico retributivo;

10. con il terzo motivo il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 395 del 1990, art. 40, la L. n. 449 del 1997, art. 41, comma 5, del CCNL 5 aprile 2001, art. 36, comma 5, del CCNL 18 novembre 2004, art. 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, dell’art. 1362 c.c.; addebita alla Corte di avere errato nell’interpretazione delle norme di fonte legale e contrattuale e sostiene che i contratti collettivi di lavoro del settore pubblico hanno natura di fonte normativa a tutti gli effetti e che la disciplina contrattuale collettiva può derogare alle norme di legge e anche offrirne l’interpretazione autentica;

In via preliminare va rilevato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione in virtù del Decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018 in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato Decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di Questa Corte.

esame dei motivi.

11. il primo motivo è infondato;

12. a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, “restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo (…), in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’art. 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi; il richiamato art. 3 prevede, al comma 1 ter, che “in deroga all’art. 2, commi 2 e 3, il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è disciplinato dal rispettivo ordinamento”; tale previsione è stata introdotta, con norma di carattere innovativo e non retroattivo, dalla L. 27 luglio 2005, n. 154, art. 2, comma 2; l’art. 4, comma 3, della medesima Legge stabilisce che “nelle more dell’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dall’art. 1, comma 1, il rapporto di lavoro del personale nominato dirigente ai sensi del comma 1 del presente articolo e del personale già appartenente alle medesime qualifiche dirigenziali è regolato dalle disposizioni previste per il personale statale in regime di diritto pubblico”(Cass. Sez. Un. n. 5460/2009; Cass. n. 5401/2013);

13. le predette disposizioni riguardano il rapporto di lavoro dei dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, mentre la ricorrente, nel periodo di tempo al quale si riferisce la sua pretesa retributiva, non era dirigente ma funzionario e la pretesa stessa ha per oggetto la differenza tra la retribuzione percepita e quella spettante al dirigente quale conseguenza del rapporto di lavoro non dirigenziale che la legava all’amministrazione e della natura invece dirigenziale delle mansioni di fatto svolte la ricostruzione del dato normativo, legale e contrattuale;

14. il secondo motivo è infondato;

15. come già evidenziato (cfr. p. n. 13 di questa sentenza) nel presente giudizio è in discussione non l’attribuzione della qualifica dirigenziale, bensì il mero diritto al pagamento delle differenze retributive per l’espletamento delle relative mansioni ad opera di un funzionario di area C3 relativamente al periodo compreso tra 6 giugno 2000 all’agosto del 2005;

16. questa Corte si è ripetutamente pronunciata sulla questione, che si è posta nelle more del complesso processo di riordino dell’amministrazione penitenziaria, del trattamento economico spettante nell’arco temporale 2000/2005 al personale ancora inquadrato nell’area C preposto alla direzione di istituti penitenziari già elevati ad uffici dirigenziali per effetto dei decreti emanati in attuazione del D.Lgs. n. 146 del 2000, art. 2; ha ripetutamente affermato che, una volta classificata la struttura penitenziaria di livello dirigenziale, integra espletamento di mansioni superiori l’assegnazione di mansioni dirigenziali al personale inquadrato nell’area C, posizione economica C3, e, pertanto, risulta applicabile la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, che, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, riconosce, in attuazione dell’art. 36 Cost., il diritto del dipendente a percepire, per il periodo di effettiva prestazione, il trattamento economico previsto per la qualifica superiore (Cass. n. 2102/2019; Cass. n. 27388/2018; Cass. n. 11986/2014; Cass. n. 5401/2013; Cass. n. 22438/2011);

17. il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate, condividendone le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., atteso che il ricorrente nel ricorso non apporta argomenti decisivi che impongano a rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato;

18. sono, infatti, prive di rilievo le prospettazioni difensive del ricorrente che fanno leva sul mutamento di “status” della controricorrente e sul fatto che il legislatore le ha già riservato un trattamento di favole attribuendole la qualifica dirigenziale in assenza di procedura concorsuale, posto che la “ratio” dell’art. 52 è proprio quella di assicurare in ogni caso al lavoratore la retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, conformemente al principio di cui all’art. 36 Cost. (cfr. giurisprudenza richiamata nel p. 16 di questa ordinanza);

19. il terzo motivo è fondato.

20. questa Corte ha già affermato in relazione a fattispecie sostanzialmente sovrapponibili a quella dedotta in giudizio (Cass. n. 28758/2018; Cass. n. 3614/2018), che la disciplina normativa ed economica prevista dai contratti collettivi della dirigenza dell’area Ministeri si applica al personale dirigente e direttivo dell’Amministrazione penitenziaria solo a decorrere dal 18 novembre 2004, e non anche nel periodo di vacanza contrattuale successivo al C.c.N.L. 5 aprile 2001, che ne ha espressamente demandato la regolazione ad una successiva sequenza contrattuale e alle relative norme di raccordo, poi contenute nel C.C.N.L. 18 novembre 2004, in applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 41, comma 5; pertanto, sino al 17 novembre 2004 a tale personale continua a essere riservato il trattamento retributivo previsto per i dirigenti della Polizia di Stato, ai sensi della L. n. 395 del 1990, art. 40;

21. il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze richiamate nel p. n. 20 di questa ordinanza condividendone le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., atteso che la controricorrente nel controricorso e nella memoria non apporta argomenti decisivi che impongano la rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato;

22. diversamente da quanto prospetta la controricorrente la negoziazione collettiva sopra richiamata ha del tutto legittimamente disciplinato la materia del trattamento economico del dirigente dell’amministrazione penitenziaria, in quanto era a ciò abilitata dalla disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2, che, nel testo vigente “ratione temporis”, autorizzava la deroga di “eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi” ad opera di “successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”;

23. va, in conclusione, ribadito il principio di diritto secondo cui “La disciplina normativa ed economica prevista dai contratti collettivi della dirigenza dell’area Ministeri si applica al personale dirigente e direttivo dell’Amministrazione penitenziaria solo a decorrere dal 18 novembre 2004, e non anche nel periodo di vacanza contrattuale successivo al C.C.N.L. 5 aprile 2001, che ne ha espressamente demandato la regolazione ad una successiva sequenza contrattuale e alle relative norme di raccordo, poi contenute nel C.C.N.L. 18 novembre 2004, in applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 41, comma 5; pertanto, sino al 17 novembre 2004 a tale personale continua a essere riservato il trattamento retributivo previsto per i dirigenti della Polizia di Stato, ai sensi della L. n. 395 del 1990, art. 40”;

24. sulla scorta delle considerazioni svolte va accolto il terzo motivo di ricorso e vanno rigettati il primo ed il secondo motivo del ricorso;

25. la sentenza impugnata va cassata in ordine al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, che farà applicazione del principio di diritto di cui al punto n. 23 di questa ordinanza e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte;

Accoglie il terzo motivo di ricorso;

Rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso.

Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità;

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

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