Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24783 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/10/2017, (ud. 18/07/2017, dep.19/10/2017),  n. 24783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6560/2015 R.G. proposto da:

ALPINGOMMA s.r.l., p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla

via Cicerone, n. 60, presso lo studio dell’avvocato Paolo Ciuffa che

congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Gabriele Pedroni la

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

I METALS s.p.a., c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla

via Properzio, n. 27, presso lo studio dell’avvocato Claudio Remy

Edoardo Principe, che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato

Angela Daniela Leo la rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1523 dei 20.6/6.8.2014 della corte d’appello

di Torino;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 luglio

2017 dal Consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al Tribunale di Torino la “I Metals” s.p.a. esponeva che aveva venduto alla “Alpingomma” s.r.l. una “bobina di tubo di acciaio inox” meglio descritta nella fattura n. (OMISSIS); che era rimasto insoluto il saldo – pari ad Euro 39.722,00 – del corrispettivo pattuito.

Chiedeva ingiungersi a controparte il pagamento della somma anzidetta.

Con decreto n. 1141/2009 il tribunale adito pronunciava l’ingiunzione siccome domandata.

Con atto in data 2.12.2009 “Alpingomma” s.r.l. proponeva opposizione.

Deduceva che il macchinario acquistato – per il prezzo di Euro 40.992,00 I.V.A. compresa e con versamento di un acconto di Euro 5.000,000 – era stato restituito alla produttrice – venditrice sulla scorta di un accordo intercorso tra le parti successivamente alla vendita, accordo contemplante altresì la restituzione da parte dell’opposta dell’acconto e la corresponsione – puntualmente eseguita – da parte di essa opponente dell’importo di Euro 1.000,00.

Chiedeva tra l’altro revocarsi il decreto opposto.

Si costituiva la “I Metals” s.p.a..

Chiedeva condannarsi l’opponente a pagarle la somma di Euro 34.722,00 ovvero l’importo di cui al decreto ingiuntivo, decurtato dell’acconto di Euro 5.000,00 ricevuto.

Con sentenza n. 164/2012 il tribunale di Torino accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e condanna la s.p.a. opposta a rimborsare alla s.r.l. opponente e spese di lite.

Interponeva appello la “I Metals” s.p.a..

Resisteva la “Alpingomma” s.r.l..

Con sentenza n. 1523 dei 20.6/6.8.2014 la corte d’appello di Torino condannava l’appellata a pagare all’appellante la somma di Euro 34.722,00 oltre interessi, a rimborsare alla medesima appellante le spese del doppio grado, a restituirle l’importo di Euro 5.314,32 ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado.

Esplicitava la corte che la sola restituzione del macchinario non poteva costituire prova sufficiente del dedotto accordo di risoluzione della precedente compravendita; che neppure rilevava in tal senso la fattura n. (OMISSIS), non contenente alcun riferimento alla fattura n. (OMISSIS); che le prospettazioni dell’appellata non avevano trovato riscontro negli esiti delle prove orali all’uopo assunte.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “Alpingomma” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

La “I Metals” s.p.a. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c..

Deduce che la corte di merito non ha posto a fondamento della sua decisione le dichiarazioni provenienti da controparte; che la corte ha errato a ritenere che la fattura n. (OMISSIS) non costituisce indizio univoco della risoluzione consensuale del rapporto.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 116 c.p.c..

Deduce che la corte distrettuale ha errato nel valutare le risultanze della prova testimoniale, segnatamente le dichiarazioni rese dal teste D.V..

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

Ambedue i motivi invero si qualificano in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Occorre tener conto, per un verso, che con entrambi gli esperiti mezzi di impugnazione la ricorrente censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha atteso in ordine al riscontro dell’asserito accordo di restituzione del macchinario siglato successivamente alla vendita; per altro verso, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

L’uno e l’altro motivo comunque sono destituiti di fondamento.

Si rappresenta innanzitutto che il vizio motivazionale sostanzialmente veicolato dagli spiegati motivi rileva nel segno della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (la sentenza della corte di Torino è stata depositata il 6.8.2014) e nei limiti di cui all’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014.

Su tale scorta si rappresenta altresì quanto segue.

Da un canto, che nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite testè menzionata, si scorge in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte torinese ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte piemontese ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Dall’altro, che la corte d’appello ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante in parte qua agitur la res litigiosa.

Del resto, la ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (la “I Metals” ha affermato più volte di aver “riacquistato” la merce a fronte dell’emissione da parte di Alpingomma della fattura n. (OMISSIS)”: così ricorso, 1^ motivo; la motivazione della corte è contraddittoria “laddove sostiene che la fattura n. (OMISSIS) di Alpingomma non costituisce indizio univoco della definizione dei rapporti”: così ricorso, 1^ motivo; “la promessa di emissione di nota di credito unitamente alla riconsegna della merce non fa altro che provare senza tema di smentita la ricostruzione fattuale operata da Alpingomma”: così ricorso, 2^ motivo; “emerge quindi di tutta evidenza come sussistesse tra le parti un accordo estintivo dell’obbligazione”: così ricorso, 2^ motivo).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

D’altronde questa Corte spiega che, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

E spiega ancora che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Il ricorso è datato 11.3.2015.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis del medesimo D.P.R..

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “Alpingomma” s.r.l., a rimborsare alla controricorrente, “I Metals” s.p.a., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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