Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24777 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 03/10/2019), n.24777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4351/2015 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 52,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CERNIGLIA, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

UMBERTO TUPINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA CORBO, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8544/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/02/2014, R.G.N. 947/2011.

Fatto

RILEVATO CHE:

il Tribunale di Roma, con sentenza n. 7986 del 6.5.2010, accoglieva il ricorso di T.M. nei confronti di Rete ferroviaria Italiana S.p.A. (di seguito, per brevità, RFI) e la condannava al risarcimento del danno pari alle retribuzioni perse dalla data della mancata assunzione alla data di pubblicazione della sentenza;

la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 8544 del 213, pronunciando sul gravame principale della società, dichiarato assorbito quello incidentale del lavoratore, rigettava le originarie domande di T.M.;

in estrema sintesi, la Corte territoriale ha osservato:

che in data 18 ottobre 1995, RFI emanava un bando per l’assunzione di 76 giovani con contratto di formazione e lavoro; la procedura concorsuale era espletata e definita con l’assunzione di 76 persone;

con successivi accordi – intervenuti tra il 1999 ed il 2000 ed in cui non si faceva alcun riferimento alla graduatoria definitiva del 1995 – venivano concordate ulteriori assunzioni con le OO.SS. della Regione Liguria, dapprima di 19 unità, poi elevate a 21 ed infine aumentate di altre 16;

– con nota di agosto 2000, RFI comunicava che le assunzioni, in numero di 26, sarebbero avvenute sulla base dei seguenti criteri: “1. diplomati (o con titolo professionale) in materie tecniche; 2. altro tipo di diploma; 3. (…)”, attingendo dalla lista del bando del 1995;

– in applicazione degli impegni assunti, era dunque preferito, al ricorrente, altro concorrente che, benchè posposto al T. nella graduatoria del 1995, era in possesso del requisito preferenziale (diploma di geometra) rispetto al semplice diploma posseduto dal T.;

avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione T.M., fondato su tre motivi;

ha resistito, con controricorso, Rete Ferroviaria Italiana.

Diritto

RILEVATO CHE:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di accordi collettivi; si assume la violazione dell’art. 1362 c.c. e l’errata interpretazione dell’accordo sindacale del 14.6.2000;

il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità non essendo formulato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6;

l’accordo del 14.6.2000 non è trascritto in ricorso mentre la parte che intende censurare l’interpretazione di un documento, resa dal giudice di merito, ha il duplice onere, imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6) e art. 369 c.p.c., n. 4, di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso con la conseguenza che, in caso di violazione anche di uno soltanto di tali oneri, il ricorso (id est: il motivo) è inammissibile (Cass. n. 19048/2016);

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1176 e 2697 c.c.;

secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe errato nella qualificazione giuridica dei fatti accertati, non riconducendo la fattispecie concreta “nell’ambito della disciplina dell’adempimento delle obbligazioni”; i giudici di merito non avrebbero considerato che RFI era obbligata a procedere alle assunzioni secondo la graduatoria del 1995;

anche il secondo motivo è inammissibile;

parte ricorrente omette di considerare che, come costantemente affermato da questa Corte, il discrimine tra vizio di violazione di legge e vizio di motivazione è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fra le più recenti Cass. n. 4125 del 2017). Il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, viene in rilievo esclusivamente in relazione alla fattispecie come esattamente accertata in sentenza e non già rispetto a fatti diversamente ricostruiti dalla parte ricorrente; in tale ultima ipotesi, infatti, si trasmoda nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. n. 18715 del 2016);

nella fattispecie di causa, la Corte territoriale, con giudizio di merito qui non validamente censurato, ha accertato esattamente il contrario di quanto sostenuto dal lavoratore ovvero che ” l’originaria graduatoria (…) aveva perso la propria efficacia” (cfr. 6 cpv. pag. 4 sentenza impugnata) ed era definitivamente chiusa, senza obbligo di utilizzo per successive assunzioni;

il riferimento alle norme di cui in rubrica non coglie dunque nel segno, presupponendo una situazione di fatto diversa da quella accertata in sentenza;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonchè motivazione contraddittoria e manifestamente illogica; motivazione dubbiosa;

si imputa alla sentenza di aver completamente omesso il fatto che il T. non fosse stato chiamato per la selezione e che la mancata convocazione del lavoratore aveva, ex se, costituito un inadempimento da parte di R.F.I.;

anche l’ultima censura presenta evidenti profili di inammissibilità;

in primo luogo, si fonda sul contenuto di un documento (nota del 7.8.2000) non trascritto in ricorso ma solo riportato per sintesi del suo contenuto e del quale neppure è indicata la sede di produzione processuale, sicchè, come proposta, la critica non soddisfa i già indicati oneri di specificazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;

inoltre, la censura non indica, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile alla fattispecie) il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo, secondo gli enunciati di Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici);

nè, infine, al di là della formale rubricazione, è prospettata una situazione di “anomalia motivazionale”, riscontrabile solo ove la motivazione della sentenza manchi del tutto, vuoi nel senso grafico vuoi nel senso logico ovvero allorchè, pur formalmente esistente, sia talmente contraddittoria da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum;

in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese, come da dispositivo, liquidate secondo soccombenza;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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