Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24776 del 08/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 08/10/2018), n.24776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10230/2017 proposto da:

COMUNE DI ARAGONA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato

MAURIZIO MORGANTI, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE

NIAZZA;

– ricorrente –

contro

S.V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati GIUSEPPE FARRUGGIA, GIUSEPPE DANILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1768/2016 del TRIBUNALE di AGRIGENTO,

depositata il 28/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La presente vicenda trae origine da un atto di citazione con il quale S.V.G. convenne in giudizio davanti al Giudice di Pace di Agrigento il Comune di Dragona. Il sig. S. contestava al Comune di aver determinato forfettariamente il canone idrico annuale, prescindendo dal volume di consumo idrico annuo della singola utenza. Ciò in quanto i contratti stipulati per le sue utenze appartenevano al tipo di quelli di somministrazione onde il prezzo che doveva essere pagato dal somministrato era da individuarsi sulla scorta dell’effettivo consumo. Contestava, altresì, il diritto del Comune a pretendere il corrispettivo del servizio di depurazione, di fatto non erogato poichè tale impianto non sussisteva. Chiedeva, quindi, l’accertamento dell’illegittimità delle bollette e il loro annullamento con la restituzione di quanto indebitamente versato, ossia di Euro 4.865,38.

Si costituiva il Comune contestando tutte le domande attoree. Dai contratti prodotti dal Comune si evinceva come l’utente fosse tenuto a corrispondere per la fruizione del servizio un canone annuo, così come contemplato dal Regolamento comunale per la distribuzione dell’acqua ai privati, che veniva richiamato da detti contratti. Questo Regolamento prevedeva che all’utente dovesse essere assicurato un consumo minimo di acqua e che tale consumo minimo dovesse essere comunque pagato, indipendentemente dal suo utilizzo.

Il Comune, inoltre, produceva dei documenti provanti l’esistenza dell’impianto di depurazione.

Il Giudice di Pace respingeva tutte le domande del S., osservando come la previsione del pagamento del canone annuo fosse contrattualmente contemplata e che il Comune avesse provato l’esistenza dell’impianto di depurazione.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello davanti al Tribunale di Agrigento, in funzione di giudice d’appello, il S., chiedendo la riforma della sentenza di primo grado e la conseguente illegittimità del regime tariffario applicato dal Comune, con contestuale condanna alla restituzione dell’indebito.

Si costituiva in giudizio il Comune, contestando le domande del S. e chiedendo il rigetto dell’appello.

Il Tribunale di Agrigento accoglieva l’appello e condannava il Comune alla ripetizione dell’indebito, riducendolo nella minor somma di Euro 3.750,07, a fronte dell’accertata prescrizione di parte del credito. Il Tribunale sosteneva che questo tipo di contratto rientrasse tra quelli di somministrazione, per cui l’obbligo del somministrato di pagare il prezzo corrispondente al consumo minimo erogato dal Comune sussisteva solo ove il somministrante fornisse la prova circa l’assunzione pattizia da parte del somministrato di tale obbligazione. Inoltre il giudice di secondo grado riconosceva come non operante l’art. 36 del Regolamento comunale che prevedeva l’obbligo dell’utente di pagare il canone minimo, in quanto tale obbligo implicava l’accettazione dell’utente che, invece, non era mai pervenuta.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione il Comune di Dragona con un unico motivo.

3.1. Resiste con controricorso S.V.G..

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6. Con l’unico motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “1. delle norme e dei principi in tema di conclusione del contratto per fatti concludenti; 2. Dell’art. 1339 c.c., in combinato disposto con gli artt. 36 e 37 del Regolamento idrico comunale; 3. Per violazione e falsa applicazione delle norme, dei principi e del diritto vivente in base al quale l’ammontare del prezzo che il somministrato deve pagare a far data dall’anno 2000, epoca dell’istruzione del servizio idrico integrato, pur avendo la natura di corrispettivo di una prestazione commerciale complessa la cui fonte non è rappresentata da un atto autoritativo, ma dal contratto di utenza, è individuato dalla legge (Cass. Civ. n. 12763/2014)”.

Il Tribunale di Agrigento avrebbe errato nel considerare i contratti esibiti dal Comune – in cui era contemplato l’obbligo del pagamento del canone annuo – non regolanti il rapporto contrattuale con il Sig. S. perchè cessati a causa della scadenza del termine novennale. Avrebbe, inoltre, serrato nel non considerare sussistente, sulla base di quanto dedotto in sede d’appello, l’impianto di depurazione dell’acqua.

Il ricorso è inammissibile.

Esso si pone in violazione dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Con ordinanza n. 8391/2017, invero, la S. C. ha confermato una sentenza del Tribunale di Agrigento identica a quella oggetto dell’odierno procedimento, ponendosi in linea di continuità con la consolidata giurisprudenza nella stessa materia.

Sempre riguardo al servizio di fornitura idrico, e aventi come parte ricorrente ancora il Comune di Aragona, sono intervenute altre due ordinanze della S.C.: la n. 12037/2017 e la n. 12870/2017. Anche queste si pongono sulla stessa scia dell’ordinanza n. 8391/2017.

Si evince con facilità come le questioni sollevate da parte ricorrente sono state decise più volte in modo conforme da questa Corte e l’esame dei motivi dell’odierno ricorso non offre elementi per confermare o mutare questo orientamento.

Ancora, il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, in quanto il ricorrente da un lato, propone una diversa interpretazione del contratto concluso tra le parti, inammissibile in questa sede (ex multis, Cass. Sent. N. 5016/2014), e dall’altra richiama brevi stralci del Regolamento comunale ed omette di riprodurre nella loro integralità i passi salienti.

Il ricorso è, peraltro, manifestamente infondato, in quanto il pagamento richiesto dal comune non corrisponde al c.d. “minimo garantito” ma è calcolato a forfait, in maniera uguale per tutte le utenze e prescinde, quindi, dal consumo della singola utenza.

In questa determinazione forfettaria del prezzo non si rinviene nessuna configurazione bipartita della tariffa idrica, tipica della somministrazione del “minimo garantito”, che presuppone una parte fissa (comprendente i costi per la produzione e per la erogazione del servizio) e una parte variabile (commisurata alla effettiva quantità di acqua consumata dall’utente). Non avendo effettuato, il Comune di Aragona, alcuna misurazione del consumo dei singoli utenti e non essendo nemmeno installato nell’abitazione del S. un contatore, appare evidente che esso proceda ad una liquidazione forfettaria di tali importi.

Inoltre, come già evidenziato correttamente dal giudice d’appello a pagina 4 e 5 della sentenza impugnata, i cui ragionamenti meritano di essere condivisi, i contratti di utenza stipulati nel 1973 e nel 2001 devono ritenersi a tempo determinato e quindi scaduti.

Detto ciò, la vincolatività per l’utente finale degli importi richiesti dal Comune non può discendere dal solo art. 36 del Regolamento idrico comunale. Tale norma subordina l’applicazione del regime tariffario del “consumo minimo” alla espressa pattuizione delle parti. Essendo i contratti di cui trattasi scaduti è chiaro che nessun contratto vigeva tra le parti e nessuna pattuizione sul punto risultava effettuata.

Per quanto riguarda l’importo dovuto dal S. per la parte concernente il servizio di disinquinamento idrico, a pagina 7 della sentenza impugnata il giudice di seconde cure reputa non raggiunta la prova sul funzionamento dell’impianto di depurazione, perchè “il fatto che siano stati impiegati e/o spesi dei soldi non significa, come è logico, che il depuratore funzioni correttamente”. Anzi, il mancato funzionamento del depuratore emerge dalla condanna penale del sindaco del Comune di Aragona e del funzionario comunale per aver commesso la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, integrata per aver sversato reflui fognari non depurati nel Vallone di Aragona.

Considerato quanto rilevato dal giudice d’appello, rilevato che il ricorrente non ha fornito alcuna prova sul funzionamento dell’impianto di depurazione e che la nuova valutazione nel merito degli elementi probatori è preclusa al giudice di legittimità, i canoni di disinquinamento risultano non dovuti dal S..

7. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2018

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