Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24776 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/11/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25136-2014 proposto da:

D.F.R., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCIANO GIORGIO PETRONIO;

– ricorrente – principale –

contro

A.I.PO.- AGENZIA INTERREGIONALE PER IL FIUME PO, in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

D.F.R.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 157/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/04/2014 R.G.N. 662/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 16/07/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 157/2014, pubblicata in data 15 aprile 2014, la Corte d’appello di Brescia, decidendo sull’impugnazione principale proposta dall’Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPO) e su quella incidentale di D.F.R., in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Cremona ed in parziale accoglimento dell’appello principale, limitava il risarcimento del danno dovuto dall’AIPO al D.F. a sole 12 mensilità della retribuzione globale di fatto;

D.F.R. era stato assunto dall’AIPO come collaboratore amministrativo in virtù di ripetuti contratti a termine e di somministrazione e, assumendo di aver compiuto 36 mesi di servizio, aveva chiesto che fosse accertata la sussistenza dei requisiti per la stabilizzazione del rapporto ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, con condanna dell’AIPO alla riammissione in servizio ed al risarcimento del danno o comunque chiesto, in via subordinata, che fosse accertata l’illegittimità del termine apposto ai contratti e riconosciuto il suo diritto a veder considerato a tempo indeterminato il rapporto, con tutte le conseguenze risarcitorie;

2. il Tribunale di Cremona escludeva il diritto alla stabilizzazione e, respinta anche l’ulteriore domanda di conversione, condannava l’AIPO a corrispondere al D.F. la somma di Euro 25.510,20 a titolo di risarcimento del danno per l’illegittimità della stipula dei contratti a termine;

3. la Corte d’appello di Brescia confermava la ritenuta insussistenza di un diritto alla stabilizzazione ed alla conversione del rapporto e rideterminava il risarcimento del danno per l’abuso dei contratti a termine facendo applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32;

quanto alla pretesa stabilizzazione ex L. n. 96 del 2006 evidenziava che il D.F. si fosse limitato ad invocare un preteso diritto automatico a tale stabilizzazione, senza dolersi della mancata partecipazione alla relativa procedura ovvero di irregolarità in relazione a quest’ultima;

considerava irrilevante la circostanza che, nello specifico, fosse stata autorizzata la stipula dei vari contratti, rilevando comunque l’abuso sia sotto il profilo della reiterazione sia sotto quello della totale assenza di motivazione;

escludeva, tuttavia, la possibilità di conversione del rapporto con lo stesso meccanismo previsto per l’impiego privato;

riteneva, infine, che, ai fini della quantificazione del danno, occorresse fare riferimento al criterio di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

4. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.F.R. affidato a tre motivi;

5. l’AIPO ha resistito con controricorso e formulato ricorso incidentale affidato ad un motivo cui il D.F. ha resistito con controricorso successivamente illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1 e L. n. 43 del 2008, art. 3, dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè omesso esame di fatti decisivi ed incontestati (art. 360 c.p.c., n. 5);

ad avviso del ricorrente la Corte d’appello di Brescia avrebbe dovuto correttamente considerare che, in presenza della vacanza di 5 posti d’organico di cat. B/3 e della decisione di AIPO di coprirli con personale avente i requisiti per la “stabilizzazione” (come poi avvenuto in favore di 3 dei 4 lavoratori richiedenti), il D.F. avesse un diritto soggettivo alla detta stabilizzazione, cui dovevasi procedere (come, del resto, avvenuto per le tre impiegate la cui domanda di stabilizzazione è stata accolta) senza dare luogo ad alcuna “espressa procedura concorsuale”;

sostiene il D.F. che l’aver maturato un’anzianità di servizio precario in favore di P.A. ben superiore al minimo di 36 mesi previsto dalla legge, l’aver superato, per due volte, pubbliche selezioni ai fini delle assunzioni a termine, unitamente a circostanze quali l’esistenza di posti disponibili per personale della stessa qualifica da esso posseduta, l’avvenuta assunzione da parte di AIPO dell’obbligo di coprirli con soggetti aventi i requisiti per la stabilizzazione, l’avvenuto assolvimento di tale obbligo nei confronti di 3 dei 4 aventi diritto, senza dar luogo a procedure concorsuali, avrebbe dovuto condurre all’accoglimento pieno dell’appello del lavoratore (così disponendosi l’immediata riammissione in servizio dello stesso in forza di “stabilizzazione”, con mansioni di collaboratore amministrativo di cat. B3, ai sensi del c.c.n.l. di settore e la condanna di AIPO al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata stabilizzazione, consistenti nelle retribuzioni dal lavoratore percipiende quanto meno per il periodo dall’1.1.2012 alla riammissione in servizio, con regolarizzazione della sua posizione amministrativa e previdenziale);

2. con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, e dell’art. 112 c.p.c., nonchè della Direttiva 1999/70/CE (art. 360 c.p.c., n. 3), la violazione degli artt. 132,429 e 437 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), omesso esame di fatti decisivi (art. 360 c.p.c., n. 5);

censura la sentenza impugnata per aver omesso di motivare in ordine alla asserita inapplicabilità, nella specie, del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, norma che, riguardando specificamente i contratti a termine della durata superiore a 36 mesi, siccome necessaria ai fini del rispetto della Direttiva 1999/70/CE, andava ritenuta pienamente operante, con tutte le relative conseguenze, nel caso anche perchè il ricorrente aveva superato due pubbliche selezioni;

3. con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione della Direttiva 1999/70/CE (art. 360 c.p.c., n. 3);

assume che, stante l’applicabilità al caso in esame delle regole di cui alla Direttiva 1999/70/CE, per rendere “effettivo” ed equivalente l’esercizio dei diritti che da essa derivano, la Corte d’appello, oltre che liquidare l’indennizzo di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 avrebbe dovuto condannare AIPO alla riammissione in servizio del ricorrente, con decorrenza al più tardi dalla data della sentenza di primo grado, e con riconoscimento del diritto alle retribuzioni percipiende da tale data, oltre accessori;

4. con l’unico motivo di ricorso incidentale l’AIPO denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (art. 360 c.p.c., n. 3);

censura la sentenza impugnata laddove ha affermato di non occuparsi della verifica in concreto circa l’effettiva sussistenza e legittimità della causa del rapporto a termine, anche ove ricavabile per relationem da atto scritto ritenendo che la nullità derivi non già dalla verificata mancanza di una valida esigenza organizzativa temporanea bensì dalla mancanza di una sua formale indicazione motiva nel contratto;

5. ragioni di ordine logico impongono l’esame prioritario del ricorso incidentale;

tale ricorso è inammissibile sulla base della ragione più liquida (da ultimo Cass. 18 aprile 2019, n. 10839) e quindi anche a prescindere dalla eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale per tardività sollevata dal controricorrente;

ed infatti il motivo non è supportato da alcun riferimento o specificazione relativi ai contratti tra le parti ed omette, altresì, di considerare che la Corte territoriale ha fatto riferimento all’accertato abuso oltre che per la totale assenza di motivazione anche per la reiterazione dei contratti ed altresì per la mancanza di prova della sussistenza della specifica causa che aveva giustificato l’apposizione del termine;

6. il primo motivo di ricorso principale è infondato;

6.1. va innanzitutto rilevata l’inammissibilità della denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, – introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a) convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 – che vieta la proposizione del ricorso per cassazione in relazione all’art. 360, n. 5 cit. codice, in caso di doppia pronuncia conforme di merito (come avvenuto nel caso in esame con riferimento al capo della domanda concernente la stabilizzazione, essendo la parziale riforma della decisione di primo grado solo relativa al quantum del risarcimento per l’illegittimità del termine apposto ai contratti) -, trattandosi di norma applicabile (ai sensi cit. art. 54, comma 2) ai giudizi di appello introdotti – come nella specie – con ricorso depositato dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012, e cioè dopo l’11 settembre 2012 (v. Cass. 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass. 11 maggio 2018, n. 11439);

nè il ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, in punto di stabilizzazione, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994);

6.2. quanto agli ulteriori rilievi va precisato che, per quanto si evince dalla sentenza impugnata, il D.F. non ha posto le proprie pretese in relazione ad una procedura di stabilizzazione intrapresa dall’AIPO, ma ha prospettato la sussistenza di un diritto all’assunzione in dipendenza del solo fatto di possedere quei requisiti (e tra gli altri l’essere stato assunto a tempo determinato a seguito di procedure selettive di natura concorsuale) che lo includevano tra i dipendenti destinatari delle previsioni di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519 e ss. e della L. n. 244 del 2007, art. 3, comma 90;

6.3. in realtà, non sussiste alcun diritto alla stabilizzazione neppure per coloro che sono stati assunti a termine a seguito di concorso e che integrano la platea dei potenziali destinatari delle procedure che l’amministrazione ha, per volontà del legislatore, la facoltà di porre in essere;

è stato da questa Corte affermato (v. Cass. 26 settembre 2018, n. 23019) che in materia di pubblico impiego privatizzato, i processi di stabilizzazione sono effettuati – in presenza dei requisiti soggettivi previsti – nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale del fabbisogno e che, di conseguenza, in assenza dei presupposti, non è configurabile un diritto soggettivo alla stabilizzazione – escludendosi, pertanto, l’esistenza di qualsivoglia diritto di natura risarcitoria in capo ai suoi potenziali destinatari -;

in sostanza, il fabbisogno non può coincidere con la platea dei soggetti che siano in possesso dei requisiti individuati dal legislatore ed abbiano, a monte, superato un concorso;

6.4. gli impianti normativi fondamentali in materia di stabilizzazione (la L. 27 dicembre 2006, n. 296, c.d. legge finanziaria per il 2007 e la L. 24 dicembre 2007, n. 244, c.d. legge finanziaria per il 2008) hanno dettato speciali ed ineludibili percorsi per un reclutamento, costituiti da avvisi, valutazioni comparate delle risorse umane ed economiche disponibili, graduatorie, che solo possono consentire di derogare al principio costituzionale del concorso pubblico come modalità di accesso all’impiego nelle pubbliche amministrazioni;

è, così, necessario che sia accertata la vacanza in organico rispetto alla qualifica da assumere, la quale dovrà risultare dalla dotazione organica vigente e dalla programmazione del fabbisogno appositamente aggiornata a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 4, anche tenuto conto dei processi di riorganizzazione in corso in attuazione delle disposizioni contenute nella L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 404 a 416 e da 440 a 445 per le amministrazioni ivi indicate;

inoltre, sono richieste le autorizzazioni alle assunzioni in questione, concesse con le modalità di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 39, comma 3-ter;

le amministrazioni, poi, nell’ambito della propria autonomia regolamentare e nel rispetto delle relazioni sindacali, devono definire le proprie procedure di stabilizzazione in coerenza con i principi sanciti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 con particolare riferimento a quanto stabilito nel comma 3 medesimo articolo, in tema di pubblicità, trasparenza e pari opportunità delle procedure di reclutamento del personale;

devono, quindi, predisporre graduatorie distinte per categoria e profili sulla base dell’anzianità di servizio al fine di dare soluzione, innanzitutto, ai fenomeni di precariato che si sono succeduti e stratificati da lungo tempo;

nell’ambito della propria autonomia organizzativa e regolamentare possono, poi, essere previsti ulteriori titoli, anche riferiti all’esperienza professionale in possesso, al fine di predisporre le graduatorie per la trasformazione;

è, altresì, adottabile il percorso indicato dalla L. n. 244 del 2007, art. 3, comma 106, nell’ambito dei principi di programmazione previsti dal comma 94 laddove si intenda reclutare valorizzando il personale già utilizzato con le tipologie contrattuali ed i requisiti ivi previsti;

6.5. come si vede, essendo precisamente regolamentate dalla normativa speciale le procedure cui le amministrazioni interessate potranno fare ricorso, non è configurabile alcuna posizione giuridica tutelabile in capo a quei lavoratori che, pur in possesso dei requisiti di legge e pur assunti a termine previo superamento di un concorso, non siano stati parte di alcuna procedura intrapresa per il reclutamento;

con detta normativa si è solo consentita alle amministrazioni, sulla base di un’attualizzata programmazione del fabbisogno e nei limiti dei vincoli di spesa pubblica, la facoltà di stabilizzare nei propri ruoli il suddetto personale;

nè, evidentemente, l’avvenuta definizione della dotazione organica è da sola sufficiente a far acquisire al dipendente non di ruolo una posizione legittimante ad essere assunto a tempo indeterminato, mediante “trasformazione” dei contratti a termine dallo stesso di volta in volta sottoscritti ed eventualmente prorogati;

tale adempimento (funzionale all’imprescindibile accertamento dei posti vuoti in organico per ciascuna categoria di personale) costituisce, infatti, solo uno dei presupposti necessari alla stabilizzazione prevista dalle leggi speciali di cui sopra si è detto;

7. il secondo ed il terzo motivo di ricorso principale sono del pari infondati;

7.1. va innanzitutto rilevata l’inammissibilità della denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nell’ambito del motivo che investe la mancata conversione del rapporto (e cioè altro capo della domanda oggetto di pronuncia conforme del Tribunale e della Corte territoriale) non solo per il limite di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, di cui sopra si è detto ma anche perchè si prospetta l’omesso esame non di un preciso accadimento o di una determinata circostanza in senso storico-naturalistico bensì delle ragioni poste dal D.F. a sostegno della pretesa conversione del rapporto (v. Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass. 14 giugno 2017, n. 14802; Cass. 6 settembre 2019, n. 22397);

7.2. quanto agli ulteriori rilievi va osservato che nel sistema vigente rispetto ai rapporti di lavoro a tempo determinato con la Pubblica Amministrazione la norma secondo cui “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”, salvo affinamenti mediante aggiunte inerenti la responsabilità dirigenziale, è rimasta invariata, pur nei mutamenti della sua collocazione, fin dalla prima introduzione di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 22 fino poi a confluire nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 al comma 2, divenuto ad oggi l’attuale comma 5;

7.3. come è noto, la materia dei contratti a termine nel pubblico impiego contrattualizzato è stata oggetto di significative pronunce della CGUE (tra cui, escludendo il settore della scuola, CGUE sentenza 4 luglio 2006, Adeneler e a.. C-212/04; sentenza CGUE 7 settembre 2006, Marrosu Sardino, C-53/04: sentenza della CGUE 7 marzo 2018, Santoro e. Comune di Valderice e a., C494/16) e della Corte costituzionale (sentenza n. 148 del 2018) che hanno concorso, con la giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., sentenza n. 5072 del 2016) a ridefinire i principi della materia;

la CGUE ha chiarito che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro si applicano ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e altri enti del settore pubblico ed ha affermato che la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato (laddove l’ordinamento nazionale prevede la trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato) o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico (prevedendosi il solo risarcimento del danno, D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36);

le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5072 del 2016, hanno statuito proprio rispetto alla portata applicativa del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 (norma da considerare speciale e certamente sopravvissuta all’entrata in vigore – in allora – del D.Lgs. n. 368 del 2001), in presenza di abusiva reiterazione dei contratti a termine, ed alla parametrazione del danno risarcibile;

così hanno chiarito che il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest’ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari;

piuttosto, considerato che l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno, che sarà normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile (v. anche infra);

i principi enunciati dalle Sezioni Unite hanno trovato conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro, e nella sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 2018;

7.4. quello sopra ricostruito (divieto di conversione assistito da misure pecuniarie caratterizzate da automatismi risarcitori) è, dunque, il sistema vigente rispetto ai rapporti di lavoro a tempo determinato con la Pubblica Amministrazione presso la quale, secondo quanto più di recente affermato da Cass. 19 febbraio 2019, n. 4801, “l’eventuale violazione delle norme sul contratto a termine non può mai tradursi nella conversione del rapporto per espressa disposizione legislativa”;

il disposto letterale non lascia adito a dubbio alcuno ed è perentorio nel disporre che “in ogni caso” (tradotto da Cass. 19 febbraio 2019, n. 4801 in quell’evocativo “mai” di cui si è detto) dalle violazioni delle norme sul contratto a termine non possa derivare la costituzione di rapporti a tempo indeterminato con le medesime Pubbliche Amministrazioni;

7.5. nè si può sostenere che il divieto di conversione sarebbe privo di copertura costituzionale nella fattispecie, perchè il ricorrente è stato assunto con contratti a termine a seguito di pubbliche selezioni;

valgano al riguardo le considerazioni già espresse da questa Corte con la sentenza 28 marzo 2019, n. 8671, con la quale si è evidenziato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5 seppure tradizionalmente ricondotto al principio sancito dall’art. 97 Cost., comma 4, si ricollega anche alla necessità di assicurare il buon andamento della Pubblica Amministrazione, che sarebbe pregiudicato qualora si consentisse l’immissione stabile nei ruoli a prescindere dall’effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell’ente pubblico;

si è pertanto affermato che la regula iuris dettata dal legislatore ordinario non ammette eccezioni e trova applicazione sia nell’ipotesi in cui per l’assunzione a tempo indeterminato non sia richiesto il concorso pubblico, sia qualora il contratto a termine sia stato stipulato con soggetto selezionato all’esito di procedura concorsuale;

8. va, dunque, ritenuta corretta la decisione impugnata laddove ha escluso la possibilità di conversione;

9. va, egualmente, ritenuta corretta l’applicazione, quale parametro per la quantificazione del risarcimento, della L. n. 183 del 2010, art. 32;

nella citata decisione n. 5072/2016, le Sezioni Unite di questa Corte, dando atto che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chances di altre occasioni di lavoro stabile (e non alla mancata conversione del rapporto, esclusa per legge con norma conforme sia ai parametri costituzionali che a quelli comunitari), hanno ritenuto incongruo il parametro di cui all’art. 18 St. lav. perchè per il dipendente pubblico a termine non c’è la perdita di un posto di lavoro ed affermato che va, invece, fatto riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, che appunto riguarda il risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine individuando in quest’ultima una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori;

10. conclusivamente il ricorso principale deve essere respinto e quello incidentale dichiarato inammissibile;

11. la reciproca soccombenza consente di compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

12. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara l’inammissibilità quello incidentale; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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