Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24776 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 03/10/2019), n.24776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25524/2017 proposto da:

V.M., in proprio e quale titolare della ALPHA IMMOBILIARE

DI V.M. DITTA INDIVIDUALE, domiciliata ope legis presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’Avvocato FABRIZIO SILVESTRI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS) elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO,

GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 495/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/05/2017 R.G.N. 865/2015.

Fatto

RILEVATO CHE:

1. il Tribunale di Bologna respingeva l’opposizione di V.M. avverso l’avviso di addebito INPS avente ad oggetto il pagamento di contributi, per Euro 8.888,55, conseguenti all’accertamento del maggior reddito, per l’anno 2005, effettuato dall’Agenzia delle Entrate;

1.1. il Tribunale, a fronte della intervenuta definizione agevolata del credito fiscale, del D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39, dava atto, nel silenzio della norma circa gli effetti del meccanismo di definizione agevolata sulla pretesa contributiva derivatane, dei due orientamenti giurisprudenziali, l’uno per cui si determinava l’acquiescenza al maggior imponibile oggetto dell’accertamento fiscale, l’altro in base al quale permaneva l’autonomia dell’obbligazione contributiva rispetto a quella tributaria, con ogni conseguenza in termini di persistente carico probatorio dell’INPS circa il maggior reddito; il Tribunale concludeva, aderendo al primo dei due orientamenti;

2. la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 495 del 2017, pronunciando sul gravame di V.M., pur manifestando adesione al diverso orientamento e, quindi, escludendo la formazione di un “giudicato” sull’accertamento fiscale a seguito della cessazione della materia del contendere pronunciata in sede tributaria per l’intervenuta definizione della lite, ha ritenuto infondato l’appello;

2.1. in estrema sintesi, a fondamento del decisum, ha osservato, dopo aver ribadito essere a carico dell’INPS l’onere della prova dei fatti costitutivi del credito azionato (id est: il maggior reddito, su cui calcolare i contributi richiesti), come l’Istituto previdenziale potesse assolvere detto carico probatorio anche per relationem, invocando, cioè, il valore probatorio dell’accertamento in sede fiscale;

2.2. nel caso di specie, detto accertamento era stato prodotto dall’INPS e non resistito da validi elementi di segno contrario: l’esame dell’avviso di accertamento (id est: dei dati in esso contenuti), fondato su basi documentali, contrastava tutti i rilievi mossi, sia quanto ai costi non inerenti all’attività aziendale, sia in ordine ai maggiori ricavi;

2.3. andavano respinte le istanze di prova dell’appellante in quanto generiche e gli elementi acquisiti, dotati dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., consentivano di ritenere soddisfatta la prova del maggior imponibile sul quale l’INPS aveva calcolato le richieste contribuzioni;

3. ha proposto ricorso per cassazione, V.M., fondato su due motivi, cui ha resistito, con controricorso, illustrato con memoria, l’INPS.

Diritto

RILEVATO CHE:

1. con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, conv. L. n. 111 del 2011;

1.1. si assume che la decisione avrebbe fatto cattivo governo della prova per presunzioni, difettando gli elementi indiziari di gravità, precisione e concordanza; si imputa alla sentenza di non aver valutato “gli elementi documentali acquisiti legittimamente e tempestivamente al giudizio di primo grado, tra i quali la proposta di conciliazione giudiziale n. 500074/2014” in base alla quale era stato rideterminato in Euro 25.199,93, in luogo di Euro 44.699,53, il maggior imponibile per l’anno 2006; in base a detta proposta, le risultanze della Verifica Sostanziale (parziale) della Guardia di Finanza operata dal 10.10.2007 al 26.3.2009, sulla quale soltanto si sarebbe fondato il verbale di accertamento, poi utilizzato in sentenza, risultavano modificate (in termini di riduzione del 44% dell’imponibile) con ogni conseguenza in termini di violazione delle disposizioni indicate in rubrica;

2. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; la questione di cui al precedente motivo è formulata in termini di vizio di motivazione;

2.1. secondo la parte ricorrente, la sentenza presenterebbe un difetto di motivazione nella parte in cui avrebbe valutato le risultanze dell’avviso di accertamento;

3. i due motivi vanno esaminati congiuntamente presentando profili di stretta connessione;

3.1. tutte le censure, anche la deduzione delle violazioni di legge contenuta nel primo motivo, schermano, in realtà, deduzione di vizio di motivazione;

3.2. entrambi i motivi sono, nel complesso, da respingere;

3.3. la sentenza è soggetta al regime stabilito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con L. n. 134 del 2012, essendo stata depositata nel 2017;

3.4. giova, dunque, ribadire che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, da un lato, deve essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del controllo sulla motivazione, rilevando solo il vizio di mancanza o apparenza della motivazione, tale da integrare la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dall’altro, oggetto del vizio di cui alla citata norma è esclusivamente l’omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, con la conseguenza che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass., sez. un., n. 8053 del 2014);

3.5. ne deriva, quanto al dedotto profilo di una motivazione carente, che, affinchè sia configurabile la violazione del citato art. 132 c.p.c., n. 4, occorre che la motivazione della sentenza manchi del tutto, vuoi nel senso grafico vuoi nel senso logico ovvero allorchè la motivazione, pur formalmente esistente, sia talmente contraddittoria da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum; a chiarimento dell’anzidetto principio, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che il vizio in questione, attenendo alla motivazione in sè, deve emergere dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., sez.un., n. 8053 del 2014);

3.6. nella fattispecie di causa, la motivazione relativa alla prova, per presunzioni, del maggior reddito indicato dall’INPS, fondata sulle emergenze del verbale di accertamento, giudicate idonee a contrastare le contrarie affermazioni e confermate dai riscontri documentali, è comprensibile sicchè può discutersi della sua plausibilità e condivisibilità ma non certo della sua esistenza, nei termini evidenziati;

3.7. quanto al diverso aspetto relativo agli elementi di prova non valutati, in disparte profili di non specificità delle censure (manca la riproduzione integrale della proposta di conciliazione e difetta del tutto la trascrizione sia del verbale di Verifica sostanziale che dello stesso avviso di accertamento, documenti tutti su cui si fondano le critiche), il motivo non configura l’omesso esame di un fatto storico decisivo ma, nella sostanza, critica la mancata valorizzazione di determinate risultanze istruttorie, che si assumono di segno opposto rispetto a quelle sulle quali il giudice del merito ha fondato il proprio convincimento;

3.8. per principio costante di questa Corte, invece, spetta al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge; questa Corte (Cass. n. 15737 del 2003; Cass. n. 722 del 2007; Cass. n. 8023 del 2009) ha anche più volte statuito che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, pure in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli;

4. conclusivamente, il ricorso va respinto, con le spese regolate secondo soccombenza;

5. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ex art. 13, comma 1-bis.

PQM

6. La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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