Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24775 del 05/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24775 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 27331-2011 proposto da:
LAVORATO FRANCA LVRFNC61H50D005M, domiciliata in
ROMA, PIAllA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
datU s avvocati BERSANI GIUSEPPE, VINZIA PAOLO
ALESSANDRO, giusta procura speciale notarile in atti;
– ricorrente –

2013
contro

2560

E.D.I.S.U.

– ENTE PER IL DIRITTO ALLO STUDIO

UNIVERSITARIO DI PAVIA;

intimate –

Data pubblicazione: 05/11/2013

avverso la sentenza n. 741/2011 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 15/09/2011 R.G.N. 2606/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/09/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;

Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

R.G. n. 27331/11
Ud. 17.9.2013

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 28 giugno – 15
settembre 2011, ha confermato la decisione di primo grado che
aveva rigettato la domanda proposta da Franca Lavorato nei
confronti dell’Ente per il Diritto allo Studio Universitario di Pavia
(E.D.I.S.U.), osservando che nel comportamento dell’Ente non
erano ravvisabili atti persecutori né, tanto meno, la fattispecie del

mobbing e che la destinazione della predetta dipendente, addetta
alla reception, in altro luogo di lavoro non era stata dettata da
intenti punitivi o discriminatori ma da incompatibilità ambientale
derivante dalla situazione di contrasto con gli altri colleghi di
lavoro. Peraltro, ha aggiunto, non si trattava di trasferimento, ma
di un mero spostamento nell’ambito dello stesso Comune, onde
non poteva la lavoratrice invocare la normativa a tutela del
trasferimento dei disabili.
Non poteva infine essere riconosciuto alla lavoratrice il danno
biologico da costei lamentato, non essendo esso imputabile al
datore di lavoro.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la lavoratrice
sulla base di due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod.
proc. civ. L’ente datore di lavoro non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art. 33, commi 5 e 6, della legge n. 104/92.
Deduce che, a norma dell’art. 2103 cod. civ., il lavoratore non
può essere trasferito in altra sede se non in presenza di ragioni
tecniche, organizzative e produttive. Inoltre, ove si tratti di soggetto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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disabile il trasferimento non può avvenire senza il suo consenso, ai
sensi dell’art. 33, comma 6, della legge 104/92.
Nella specie non ricorrevano le suddette condizioni, onde il
trasferimento era illegittimo, tenuto conto peraltro delle sue
precarie condizioni di salute e che il nuovo posto di lavoro, pur

“essendo collocato dalla parte opposta della città di Pavia”.
Inoltre era stata relegata in un ufficio buio, dove si sentiva

“isolata

emarginata ed inutile”.

2. Con il secondo motivo, denunziando vizio di motivazione
circa un punto decisivo della controversia, la ricorrente rileva che
la sentenza impugnata da un lato ha escluso la presenza di
comportamenti vessatori nei suoi confronti, dall’altro ha ritenuto
che il trasferimento fosse giustificato da incompatibilità
ambientale.
Tale motivazione è contraddittoria, tenuto conto peraltro che
la incompatibilità ambientale per giustificare il trasferimento deve
essere gravissima, situazione questa implicitamente esclusa dal
giudice d’appello per non avere ritenuto la sussistenza di
comportamenti vessatori.
Del tutto insufficiente, poi, ad avviso della ricorrente, è la
sentenza impugnata laddove ha escluso il nesso causale tra il
danno biologico ed il trasferimento, risultando viceversa dalla
consulenza tecnica di parte che le alterazioni psico-fisiche da lei
subite erano ricollegabili al trasferimento.
3. Il primo motivo non è fondato.
E’ principio consolidato di questa Corte che l’art. 2103 cod.
civ., nel subordinare la legittimità del trasferimento del lavoratore
alla sussistenza di comprovate esigenze tecniche, organizzative e
produttive, non si riferisce soltanto a situazioni oggettive, ma
consente la valutazione anche di situazioni soggettive, purchè
valutate secondo un criterio obiettivo, quale è quella delle ragioni
di incompatibilità createsi tra un dipendente ed i suoi immediati

trovandosi nello stesso Comune, non era facilmente raggiungibile,

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collaboratori, che si riflettano sul normale svolgimento dell’attività
dell’impresa (Cass. 15 dicembre 1987 n. 9276; Cass. 16 aprile
1992 n. 4655; Cass. 28 settembre 1995 n. 10252; Cass. 9 marzo
2001 n. 3525; Cass. 12 dicembre 2002 n. 17786; Cass. 23 febbraio
2007 n. 4265).
contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il trasferimento
della lavoratrice, nell’ambito dello stesso Comune, presso un’altra
struttura dell’Ente, non fu dettato da intento discriminatorio e
punitivo, ma fu giustificato dal clima di tensione nei rapporti
personali e dai contrasti creatisi nell’ambiente di lavoro, ciò che
aveva reso incompatibile la presenza della lavoratrice nell’originaria
sede, riflettendosi sul normale svolgimento dell’attività lavorativa.
Trattandosi di valutazioni di merito supportate da una
motivazione adeguata, logica e non contraddittoria, esse non sono
suscettibili di sindacato in questa sede, non essendo consentito al
giudice di legittimità di riesaminare il merito della vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di
controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logica-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al
quale spetta in via esclusiva, di valutare le prove e di controllarne
la concludenza.
3.1. La ricorrente, sotto un diverso profilo, rileva che,
trattandosi di un soggetto disabile, il trasferimento non poteva
avvenire senza il suo consenso, a norma della legge n. 194 del
1992, art. 33, comma 6.
Anche questo motivo deve essere rigettato, ma la motivazione
della sentenza impugnata deve sul punto essere corretta a norma
dell’art. 384, comma 4, cod. proc. civ., non comportando tale
correzione indagini e valutazioni di fatto né violazione del principio
dispositivo.
La Corte territoriale ha ritenuto che non potesse applicarsi
alla ricorrente la normativa posta a tutela dei portatori di

Nella specie la Corte di merito ha accertato che,

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handicap, trovandosi la nuova sede di lavoro nell’ambito dello
stesso Comune ed essendo “equidistante dalla sua residenza.
Tale motivazione è erronea, posto che la nozione di
trasferimento del lavoratore, che comporta il mutamento definitivo
del luogo geografico di esecuzione della prestazione, è configurabile

della medesima unità produttiva, quando questa comprenda uffici
– come nella specie – notevolmente distanti tra loro e, per di più,
coinvolga soggetti portatori di handicap.
Ciò posto, deve osservarsi che le Sezioni Unite di questa Corte
hanno affermato il principio che in materia di assistenza alle
persone handicappate, alla luce di una interpretazione dell’art. 33,
comma 5, della legge 5 febbraio 1992 n.104, orientata dalla
complessiva considerazione dei principi e dei valori costituzionali
coinvolti (come delineati, in particolare, dalla Corte Costituzionale
con le sentenze n. 406 del 1992 e n. 325 del 1996), il diritto del
genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico
o privato, che assista con continuità un parente od un affine entro
il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo
consenso ad altra sede, se, da un lato, non può subire limitazioni
in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnicoproduttive dell’azienda o della P.A., non è invece, attuabile ove sia
accertata – in base ad una verifica rigorosa anche in sede
giurisdizionale – l’incompatibilità della permanenza del lavoratore
nella sede di lavoro (Cass. Sez. Un. 9 luglio 2009 n. 16102).
Ed infatti la legge n. 104 del 1992, art. 33, non configura in
generale, in capo ai soggetti ivi individuati, un diritto assoluto e
illimitato, potendo questo essere fatto valere allorquando, alla
stregua di un equo bilanciamento fra tutti gli implicati interessi
costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere
in maniera consistente le esigenze economiche, produttive ed
organizzative del datore di lavoro.

anche nell’ipotesi in cui lo spostamento venga attuato nell’ambito

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L’avere il legislatore previsto che la persona handicappata
non può essere trasferita in altra sede senza il suo consenso (art.
33, comma 6), a differenza del genitore o del familiare lavoratore
che assista con continuità il parente handicappato, il quale ha
diritto, “ove possibile”, a scegliere la sede di lavoro più vicina al
(comma 5 dello stesso articolo), esprime, ad avviso delle Sezioni
Unite, una diversa scelta di valori che significa soltanto che nella
prima ipotesi l’interesse della persona handicappata, ponendosi
come limite esterno del potere datoriale di trasferimento, quale
disciplinato in via generale dall’art. 2103 c.c., prevale sulle
ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro,
ma non esclude che il medesimo interesse, pure prevalente rispetto
alle predette esigenze, debba conciliarsi con altri rilevanti interessi,
diversi da quelli sottesi alla ordinaria mobilità, che possono entrare
in gioco nello svolgimento del rapporto di lavoro, pubblico o
privato, così come avviene in altre ipotesi di divieto di trasferimento
previste dall’ordinamento per le quali la considerazione dei principi
costituzionali coinvolti può determinare, concretamente, un limite
alla prescrizione di inamovibilità (cfr. L. n. 300 del 1970, art. 22,
comma 2; del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 78, comma 6; della L. n.
1264 del 1971, art. 2, comma 6, introdotto dalla L. n. 53 del 2000,
art. 17, comma 1).
La situazione di incompatibilità ambientale, se pure prescinde
da ragioni punitive o disciplinari ed è riconducibile in via
sistematica all’art. 2103 c.c., si distingue dalle ordinarie esigenze
di assetto organizzativo in quanto costituisce essa stessa causa di
disorganizzazione e disfunzione realizzando, di per sè, un’obiettiva
esigenza di modifica del luogo di lavoro (cfr. Cass. n. 4265 del
2007; id., 10252 del 1995).
Pertanto, la particolarità delle esigenze sottese a tale
situazione, riconducibili a valori di rilievo costituzionale e allo
stesso mantenimento dell’assistenza alle persone handicappate,

proprio domicilio e a non essere trasferito senza il suo consenso

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determina la inapplicabilità, in caso di incompatibilità ambientale,
della tutela di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 6.
Alla stregua dei principi sopra indicati, cui questo Collegio
ritiene di prestare adesione, deve affermarsi che, alla luce di una
interpretazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 6,

coinvolti, il diritto della persona handicappata di non essere
trasferita senza il suo consenso ad altra sede, mentre non può
subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie
esigenze tecnico-produttive dell’azienda, non è invece attuabile ove
sia accertata la incompatibilità della permanenza del lavoratore
nella sede di lavoro.
Nella specie, avendo il giudice d’appello accertato – con
valutazioni di merito non sindacabili in questa sede – che non
poteva protrarsi la permanenza della odierna ricorrente nella sede
di lavoro, in ragione delle tensioni e dei contrasti creatisi
nell’ambiente di lavoro, con rilevanti ripercussioni sul regolare
svolgimento dell’attività lavorativa, il trasferimento disposto nei
confronti della medesima appare giustificato.
4. Anche il secondo motivo è infondato.
4.1. La Corte territoriale ha dato sufficientemente conto delle
ragioni della statuizione censurata, con un percorso argpmentativo
logico e coerente che si sottrae alle critiche che le vengono mosse.
In particolare, non è ravvisabile contraddittorietà della
motivazione nell’avere la sentenza impugnata escluso, da un lato,
la presenza di comportamenti vessatori nei confronti della
lavoratrice e, dall’altro, nell’avere ritenuto che il trasferimento fosse
giustificato da incompatibilità ambientale.
La Corte di merito, infatti, ha ritenuto che nell’ambiente di
lavoro si era comunque creato, per i contrasti sorti tra il personale
dipendente, un clima di tensione costituente causa di disfunzione
e disorganizzazione, non compatibile con il normale svolgimento
dell’attività lavorativa.

orientata alla complessiva considerazione dei valori costituzionali

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4.2. Infondata è infine la censura relativa al danno biologico,
che la Corte di merito ha escluso fosse riconducibile alla condotta
del datore di lavoro.
Tale statuizione infatti costituisce una logica conseguenza
della accertata esclusione della condotta vessatoria ad opera del

sulle condizioni psico-fisiche della ricorrente, in ordine alle quali
peraltro la medesima si è limitata a richiamare una relazione del
consulente tecnico di parte, secondo cui il trasferimento della
medesima in altro posto di lavoro avrebbe creato “dispiacere e

disappunto con risvolti depressivi’ imputabili al datore di lavoro.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio, non
avendo l’Ente convenuto svolto attività difensiva.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma in data 17 settembre 2013.

datore di lavoro e della inidoneità quindi della stessa ad incidere

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