Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24771 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/10/2017, (ud. 27/04/2017, dep.19/10/2017),  n. 24771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22314/2015 proposto da:

DIANA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO BRASCA, rappresentata e difesa

dall’avvocato NAZZARENO LATASSA;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS), E G.G., in persona del

Curatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 322,

presso lo studio dell’avvocato MIRIELLO ANTONIO rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO MARTINGANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 636/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Con ricorso del 27 ottobre 2004, la curatela (OMISSIS) Srl e G.G. convennero un giudizio la Diana Srl al fine di far riconoscere dichiarare che nel contratto di affitto d’azienda, stipulato in data 1 febbraio 1995 tra l’amministratore unico della (OMISSIS) Srl e l’amministratore unico della Diana Srl è subentrato L. Fall., ex art. 72 e segg., il curatore del fallimento (OMISSIS) Srl G.G.. Inoltre riconoscere e dichiarare la risoluzione del contratto de quo per il grave inadempimento della Diana Srl consistito nel mancato pagamento del canone di locazione, sin dal 1998, condannandola all’immediato rilascio in favore della curatela di tutti i beni aziendali oggetto del contratto di affitto oltre al pagamento dei canoni scaduti e non pagati dall’anno 1998 l’anno 2004, ed ammontanti ad Euro 54.327,98.

Il Tribunale di Vibo Valentia dichiarò: a) la cessazione del rapporto di affitto d’azienda con la condanna della convenuta al rilascio dell’azienda in favore della parte ricorrente; b) il riconoscimento del danno nella misura di Euro 61.974,82. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 310/2007, riformava la sentenza di primo grado dichiarando inammissibile la domanda proposta dalla Curatela del Fallimento evidenziando come le richieste della stessa in ordine al risarcimento del danno da ritardata restituzione dei beni aziendali costituivano una vera e propria mutatio libelli e come tale inammissibile. La Corte di Cassazione in parziale accoglimento del ricorso del Fallimento con sentenza numero 17.068 del 28 luglio 2014 cassava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte territoriale.

1. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 636/2015, provvedendo in sede di rinvio disposto da questa Corte, ha rigettato l’appello proposto da Diana Srl contro la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Vibo Valentia, confermando la sentenza impugnata sulla controversia introdotta dalla Curatela (OMISSIS) Srl e G.G. contro la Diana Srl.

2. Avverso la pronunzia emessa in sede di rinvio la Diana s.r.l. propone ricorso in Cassazione con due motivi.

Resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS) Srl e G.G..

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.

6.1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in ordine al comunicato recesso dal contratto di affitto di azienda a far data dal 31 dicembre 1997. Sostiene la ricorrente l’erroneità della sentenza perchè con raccomandata 30 giugno 1997 aveva comunicato il recesso dal contratto di affitto di azienda a far data dal 31 dicembre 1997. Pertanto in capo alla ricorrente non poteva e non può residuare alcun tipo di obbligo attinente pagamento dei canoni scaduti.

6.2. Con il secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in ordine alla mancanza di titolarità della curatela fallimentare del rapporto dedotto in giudizio, difetto di legittimazione passiva, difetto di titolarità dei beni aziendali in capo alla (OMISSIS) Srl.. Sostiene la ricorrente la erroneità della sentenza perchè il giudice del rinvio avrebbe dovuto rilevare che il fallimento era carente di legittimazione attiva perchè i beni dell’azienda facevano capo a tale P.M.D. e che Diana s.r.l. non avesse legittimazione passiva in conseguenza della dichiarazione di recesso a far data dal 31 dicembre 1997.

7. In via preliminare il Collegio rileva che il ricorso risulta affette da una causa di inammissibilità rappresentata dall’assoluta inidoneità allo scopo dell’esposizione del fatto, di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

Si rileva, infatti, che nell’esposizione sommaria: a) non si evince il tenore della domanda introduttiva; b) non si desume quali fossero state le difese avversarie; c) nulla si apprende riguardo alle ragioni della decisione di primo grado e sui motivi di appello, nonchè sulle ragioni della decisione d’appello; d) inoltre nulla si dice sulle ragioni del ricorso per cassazione e su quelle del giudizio di rinvio.

Tutte queste indicazioni, non solo sarebbero state necessarie (Cass., Sez. Un. n. 11653 del 2006) per assolvere all’onere di esposizione del fatto, ma rendono anche del tutto incomprensibili quanto si deduce nei motivi, se non ricorrendo ad atti alliunde.

8. I motivi di ricorso sono comunque inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6: è principio consolidato di questa Corte che in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va conciata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 c.p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (Cass. S.U. n. 7161/2010; Cass. S.U. n. 28547/2008). Nel caso di specie, non viene indicato dove è stato depositato il contratto e la documentazione versata in atti (Cfr. ricorso pag. 3)(Cass. n. 19157/12; Cass. n. 22726/11; Cass. n. 19069/2011).

9. In via ancora gradata si rileva che i motivi sono anche del tutto generici, sicchè non rispettano la necessaria specificità del motivo di ricorso per cassazione, recentemente ribadita da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, onde il ricorso sarebbe inammissibile pure per tale ragione.

10. Ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va, conseguentemente, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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