Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24771 del 05/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24771 Anno 2013
Presidente: MAISANO GIULIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 6862-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

2074

PECORARI

CLAUDIA

PCRCLD39H66L117B,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GRAMSCI 20, presso lo studio
dell’avvocato RIOMMI MAURIZIO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 05/11/2013

difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 374/2010 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 11/11/2010 r.g.n. 343/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GARRI;
udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega RESSI
ROBERTO;
udito l’ avvocato RIOMMI MAURIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udienza del 11/06/2013 dal Consigliere Dott. FABRIZIA

Svolgimento del processo
Claudia Pecorari, dipendente dal 1973 della società Poste Italiane s.p.a., da ultimo impiegata con
mansioni operative di addetta allo sportello, impugnò davanti al Tribunale di Terni il licenziamento
intimatole dalla società, in esito alla procedura ai sensi della 1. n. 223 del 1991, deducendone
l’illegittimità sotto vari profili e chiedendo di essere reintegrata nel posto di lavoro e la condanna della
datrice al risarcimento ai sensi dell’art. 18 della 1. n. 300 del 1970.

Al contrario la Corte d’appello di Perugia adita dalla lavoratrice soccombente, accoglieva il gravame,
dichiarava l’inefficacia del licenziamento impugnato e condannava la società a reintegrare la lavoratrice
e, in ogni caso a risarcirle il danno quanto meno fino al compimento del sessantacinquesimo anno di
età.
La Corte territoriale, andando di contrario avviso a quanto affermato dal giudice di primo grado,
riteneva che la società non avesse rispettato la procedura prevista dalla legge a garanzia della legittimità
dei recessi. In particolare osservava che non era stata data la prova di aver ritualmente effettuato la
comunicazione alle rappresentanze sindacali ed alla Direzione regionale del lavoro dell’elenco dei
lavoratori con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica
dell’inquadramento dell’età dei carichi di famiglia con l’indicazione puntuale delle modalità di
applicazione.
Confermata poi la legittimità in astratto del criterio della maggiore prossimità al pensionamento
evidenziava, però la società aveva omesso di precisare in che modo le settantanove posizioni
eccedenti nell’area operativa e di base fossero distribuite nelle singole unità produttive ed in particolare
in quella presso la quale era assegnata la Pecorari.
Per la Cassazione della sentenza ricorre la società per azioni Poste Italiane sulla base di tre motivi
ulteriormente illustrati con memoria.
Resiste con controricorso la Pecorari.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 commi 2 e 9
della 1. n. 223/1991, dell’art. 1362 e ss c.c. in relazione agli artt. 4 e 5 dell’accordo interconfederale
20.12.1993, anche sotto il profilo della omessa insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza
con riguardo ad una circostanza decisiva per il giudizio.
In particolare la società evidenzia che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, in data
26.6.2001 era stato consegnato alle R.S.U. della filiale di Terni il documento aziendale in data 25.6.2001
avente a oggetto “art. 4 e 24 1. n. 223/1991 — Avvio della procedura” nella quale erano precisate le
ragioni dell’eccedenza e la disponibilità della società a pervenire a soluzioni alternative (esodi incentivati,
adozione del criterio della maggiore anzianità contributiva ex art. 59 della 1. n. 449 del 1997, creazione
di fondi di sostegno al reddito e all’occupazione, miglior distribuzione del personale). Alle consultazioni
era poi seguita la comunicazione di chiusura della procedura 1’14.12.2001 comunicato a direzione
regionale lavoro e Agenzia lavoro (doc. 19 e 27). Sottolinea ancora che dalle dichiarazioni testimoniali
era emerso che le comunicazioni erano state ritualmente effettuate.
r.g. n. 6862/2011

Oirri

In esito all’istruttoria il Tribunale rigettava la domanda.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 1 della L. n.
223 del 1991. Sostiene la società che l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve
avvenire nel rispetto delle esigenze tecnico produttive e organizzative del complesso aziendale e non,
come riduttivamente ritenuto, con riguardo alla singola unità produttiva.
Pertanto, quand’anche in Umbria non vi fossero state, come accertato, eccedenze di quadri, comunque,
sarebbe stato necessario avere riguardo alle eccedenze in tale categoria sull’intero territorio nazionale.
Con un ulteriore motivo di ricorso, poi, la società censura la sentenza per avere in violazione dell’art. 4

sia al settore di attività che alla dislocazione territoriale con indicazione degli addetti alle mansioni non
ritenuti più utili per l’organizzazione laddove invece sulla base dello stesso tenore letterale della norma
tale obbligo di specificazione non era richiesto. Sostiene la ricorrente che, al contrario, non era
ravvisabile nella specie alcuna carenza informativa rilevante solo se influente sull’accordo stante che
nessuna organizzazione sindacale aveva formulato rilievi in merito.
Deve preliminarmente rilevarsi che non è ravvisabile una violazione dell’art. 369 comma 2 n. 4 c.p.c.,
nel testo modificato dal d.lgs. 2.2.2006 n. 40, posto che l’obbligo di produrre, a pena
dell’improcedibilità del ricorso gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il
ricorso si fonda può ritenersi soddisfatto , in base al principio di strumentalità delle forme processuali,
quanto agli atti ed ai documenti contenuti nel fascicolo di parte anche mediante la produzione del
fascicolo nel quale tali atti siano contenuti, a condizione che sia rispettato l’obbligo di precisare, pena
l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., i dati necessari al loro reperimento nel fascicolo. Poiché
il documento di cui si lamenta l’omesso esame è chiaramente individuato, risulta allegato agli atti del
processo e ne è precisata l’esatta collocazione nel fascicolo la censura non incorre in alcun vizio, per
tale aspetto, di autosufficienza (cfr. Cass. S.U. 3.11.2011 n. 22726).
Tanto premesso il ricorso è tuttavia destituito di fondamento in quanto anche a voler tralasciare i profili
di inammissibilità delle censure nella parte in cui sollecitano a questa Corte una diversa valutazione del
materiale probatorio acquisito al processo relativamente alla ritualità delle comunicazioni effettuate in
chiusura della procedura senza, però, precisare quale circostanza decisiva non sia stata presa in
considerazione dalla Corte di merito, in ogni caso si osserva che la sentenza della Corte d’appello di
Perugia non omette affatto di prendere in considerazione la documentazione attestante la chiusura della
procedura (il doc. n. 27 allegato alla memoria di primo grado) e conferma, anzi, che dal materiale
probatorio acquisito al processo ( documenti e prove testimoniali) non è emersa una prova certa
dell’avvenuta comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali come previsto dal comma 9 dell’art.
4 della 1. n. 223 del 1991.
La conferma dell’incompletezza di tale comunicazione vizia da sola l’intera procedura e determina la
conferma della sentenza che della stessa ha dato atto e sulla stessa si è fondata.
Diviene superfluo infatti l’esame delle altre censure relative alla necessità o meno di verifica dell’
esistenza delle eccedenze di personale su base nazionale piuttosto che con riguardo alla realtà locale
della singola unità produttiva.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo

r.g. n. 6862/2011

F.Garri
47;ì

comma 3 della 1. n. 223 del 1991 e con motivazione omessa o quantomeno insufficiente, ritenuto
necessario che le eccedenze dovessero essere specificate per ogni singola unità produttiva con riguardo

PQM
LA CORTE
Rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in € 3000,00 per
compensi professionale ed in € 50,00 per esborsi oltre I.V.A. e C.P.A..

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma l’ 11 giugno 2013

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