Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24765 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 03/10/2019), n.24765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2369-2015 proposto da:

L.F., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LUCIO

APULEIO 11, presso lo studio dell’avvocato CESARE DELLA ROCCA,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIAN PIERO AGNELLI;

– ricorrente –

contro

AIR FRANCE S.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEGLI AMMIRAGLI 46, presso

lo studio dell’avvocato GIANLUCA CAPUTO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GABRIELE FAVA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 535/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/07/2014 R.G.N. 2835/2011.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

Che:

con sentenza n. 5020/11 l’adito giudice del lavoro di Milano rigettava la domanda dell’attrice L.F. diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità del termine finale apposto al contratto a tempo determinato stipulato il 7 maggio 2010, con decorrenza dal successivo giorno 13 per “sostituzione assenza per maternità della dipendente C.P.”, ovvero della proroga di tale contratto in data 4 aprile 2011 fino a successivo giorno 23 “al fine di passare le consegne la signora C. e di trasferirle le conoscenze relative al nuovo sistema e alle nuove procedure”, donde pure il rigetto della conseguente istanza di conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato e condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria nella misura massima;

la sentenza di primo grado veniva appellata dalla sig.ra L., ma il gravame veniva respinto dalla Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 535 in data 3 giugno – 21 luglio 2014 con la condanna inoltre della parte rimasta soccombente al pagamento delle relative spese all’uopo liquidate;

la suddetta L.F. ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso la pronuncia di appello come da atto notificato il 13 gennaio 2015, affidato a due motivi, cui ha resistito la convenuta società AIR FRANCE S.A., come da controricorso notificato in data 20 febbraio 2015;

ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo parte ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, nonchè art. 5, comma 2, secondo il testo vigente all’epoca della stipula del contratto in questione risalente al 7 maggio 2010, evidenziando in proposito che l’assenza per maternità della lavoratrice sostituita, compresa la cosiddetta maternità facoltativa ebbe termine il giorno 1 marzo 2011 come riconosciuto dalla stessa C.P. nel corso dell’udienza svoltasi il 18 ottobre del 2011, laddove poi la predetta rimase ancora assente dal giorno due sino a tutto il 31 marzo 2011 per ferie maturate non godute, nonchè dal primo sino alla 5 aprile 2011 per ore accumulate secondo l’istituto della flessibilità, per rientrare infine in servizio il giorno 6 aprile, mentre essa ricorrente continuò a prestare la propria attività lavorativa sino a tutto il 23 aprile 2011, periodo quest’ultimo indicato da parte datoriale a titolo di proroga al fine di passare le consegne alla sig.ra C. e di trasferirle le conoscenze relative al nuovo sistema e alle nuove procedure. Secondo parte ricorrente, in base della citata giurisprudenza non risultava pertanto soddisfatto il requisito di specificità di cui all’art. 1 del citato Decreto n. 368, sostenendosi la necessità che le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo debbano essere specificate a pena di inefficacia in apposito atto scritto e che tali ragioni non possono essere modificate nel corso del rapporto, donde l’utilizzazione del lavoratore assunto a termine esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa, come peraltro riconosciuto anche alle menzionate pronunce della Corte costituzionale. Per contro, la Corte distrettuale aveva violato l’anzidetta normativa, avendo affermato l’irrilevanza del mutamento della causa dell’assenza della lavoratrice sostituita, la quale sebbene assente dal lavoro fino al primo marzo 2011 per maternità, era rimasta ancora assente fino a tutto il 5 aprile 2011, ma per ragioni diverse da quelle indicate nel contratto stipulato il 7 maggio 2010, sicchè fin dal 1 marzo 2011 doveva considerarsi venuta meno la specifica ragione giustificatrice dell’assunzione a termine indicata, ossia l’assenza per maternità della signora C.. Di conseguenza, il rapporto in questione doveva considerarsi a tempo indeterminato, visto che essa L. continuò a prestare la sua attività lavorativa, fino al 23 aprile 2011, in virtù di quanto previsto dallo stesso D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 2, secondo il quale nel caso in cui – nell’ipotesi di contratto a tempo determinato di durata superiore a sei mesi- il rapporto di lavoro prosegua oltre il 300 giorno dalla scadenza del termine fissato, lo stesso si considera a tempo indeterminato allo scadere del 300 giorno. Secondo la ricorrente, diversamente opinando si giungerebbe ad ammettere una proroga surrettizia del contratto a termine, eludendo dalla disciplina in tema di proroga ex art. 4, nonchè di riassunzione o di assunzioni successive, ai sensi dell’art. 5 del più volte citato D.Lgs. n. 368;

con il secondo motivo parte ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ha denunciato motivazione incongrua e apparente in relazione alla sussistenza delle ragioni della proroga del contratto a tempo determinato, nonchè violazione degli artt. 132,115 e 116 c.p.c. ed ancora artt. 2727 e 2729 c.c.: “…Orbene, il fatto che la C. al suo rientro avesse dovuto seguire un corso di formazione on-line per imparare ad usare la nuova applicazione, corso durato una settimana circa, ed il fatto che, come riconosciuto dalla stessa datrice di lavoro nel corso del giudizio di primo grado, la sig.ra C. venne affiancata fino al 23 aprile 2011 dal personale della biglietteria per il passaggio di consegne per l’acquisizione delle nuove procedure aziendali e delle nozioni necessarie per la posizione del nuovo sistema informatico Oscar, dimostrava che in realtà non vi era stata alcuna vera ragione per disporre una proroga del contratto in questione, poichè non fu essa L. ad affiancare la C. nel passaggio di consegne e per il trasferimento delle nozioni relative all’utilizzo del nuovo sistema operativo. La C. invero si aggiornò seguendo un corso on-line e, per altro verso, venne affiancata dal personale della biglietteria e non dalla L.”, come peraltro dichiarato dalla medesima C. all’udienza del 18 ottobre 2011. Mancavano pertanto elementi utili che, in forza degli artt. 2727 e 2729 c.c., consentissero di inferire dal suddetto fatto noto (compresenza per sette giorni sul luogo di lavoro) la circostanza che l’attrice svolse la funzione di formatrice della C.. Pertanto, la motivazione in proposito fornita dalla Corte milanese si rivelava incongrua, insufficiente nonchè più apparente che reale. Di conseguenza, le ragioni poste a fondamento della proroga non avevano trovato conferma nella realtà dei fatti, con conseguente invalidità della stessa, non potendo d’altro canto la medesima essere intesa in modo diverso da un licenziamento privo di giusta causa e/o giustificato motivo;

le argomentazioni poste a sostegno del ricorso non meritano pregio alla stregua di quanto accertato e valutato, mediante motivati apprezzamenti dei giudici di merito, insindacabili in sede di legittimità, dalla Corte distrettuale, la quale in particolare ha così testualmente osservato: “…la causale apposta sul contratto a termine è certamente specifica in quanto indicava sia il nominativo della persona da sostituire sia la causa della sua sostituzione…. E’ vero che C. formalmente era assente sino al l marzo 2011 per maternità e poi, senza soluzione di continuità fino al 5 aprile 2011 per ferie, ma è altrettanto vero, come sottolineato dal tribunale di cui si condivide la valutazione, che la ragione giustificatrice dell’apposizione del termine non è venuta meno prima del 5 aprile 2011; nè risulta essersi verificata prima di tale data la condizione utile a perfezionare la risoluzione del rapporto di lavoro in oggetto rappresentato dal rientro della lavoratrice sostituita. Le ragioni che hanno determinato il ricorso al contratto a termine, individuate nell’esigenza di assicurare la sostituzione di una specifica lavoratrice assente, sono perdurate certamente sino al 5 aprile 2011 non potendo assumere, in questo caso, particolare rilievo il fatto che tale assenza fosse determinata prima dalla maternità e poi dalle ferie. Va rilevato che la sostituzione riguardava la stessa lavoratrice, per cui ben può affermarsi che non vi sia stata alcuna modificazione della causale. Per quanto attiene al secondo motivo di impugnazione, accertato che alla data del 5 aprile 2011 il rapporto di lavoro non si era convertito a tempo indeterminato, correttamente nella sentenza si è affermato che la proroga del contratto è ammessa a condizione che sia supportata da una ragione oggettiva, che si riferisca alla medesima attività lavorativa per la quale il contratto a termine è stato in origine stipulato e che vi sia consenso del lavoratore. Nel caso specifico ricorrevano queste condizioni. Permaneva altresì la ragione sostitutiva originariamente indicata visto che di fatto con mobili rientrava nelle sue mansioni a pieno titolo soltanto il 24 aprile 2011. L’azienda ha peraltro assolto l’onere probatorio posto a suo carico essendo emerso sia dalle dichiarazioni della ricorrente sia da quelle della teste C. che nel periodo di sua assenza era cambiato il sistema informatico con cui operava la biglietteria, che era stata installata una nuova applicazione per l’emissione di documenti, che C. aveva dovuto sia seguire per circa una settimana un corso di formazione svolto nell’orario di lavoro sia affiancare dei colleghi per aggiornarsi e tornare ad operare autonomamente come prima della sua assenza. Risulta, peraltro, a conferma di ciò, che la stessa L. abbia assunto un ruolo di formatore di C. visto che per circa sette giorni i loro turni si erano sovrapposti”; invero, risulta correttamente applicata la normativa di riferimento, attinente all’assunzione di una lavoratrice a tempo determinato per la durata complessiva di un anno circa, da parte di compagnia esercente trasporto aereo, con adibizione alle mansioni indicate presso l’aeroporto (OMISSIS), correlata all’esigenza di sostituire altra lavoratrice, assente da servizio e con diritto alla conservazione al posto di lavoro, nominativamente indicata. Nel contratto iniziale venne anche menzionato il motivo dell’assenza della persona da sostituire, connesso alla maternità della stessa; pertanto, nel momento in cui fu stipulato il contratto la causale risultava indicata in modo più che specifico, rilevando essenzialmente sul punto la sola esigenza sostitutiva, con adeguato riferimento nominativo, essendo invece irrilevante il motivo della sostituzione per assenza dal lavoro della lavoratrice avente diritto alla conservazione del posto, assenza di fatto pacificamente verificatasi nel caso di specie sino a tutto il 5 aprile 2011, ancorchè poi il motivo, irrilevante, dell’ultimo periodo di assenza, dal primo marzo, sia dipeso dal godimento di ferie, e non già direttamente e formalmente dall’astensione per maternità della sostituita (cfr. peraltro anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 107/2013 in data 22 – 29 maggio 2013, pubblicata in G. U. 5/6/2013 n. 23 (che pure dichiarava non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1 e 11 sollevate, in relazione agli artt. 3 Cost. e art. 77 Cost., comma 1, dal Tribunale di Trani), in particolare testualmente osservando quanto segue: “Erroneamente il Tribunale di Trani ritiene che la Corte di cassazione avrebbe stravolto l’interpretazione delle disposizioni censurate che questa Corte ha fornito con la sentenza n. 214 del 2009 (seguita dalle ordinanze n. 325 del 2009 e n. 65 del 2010).

Il legislatore, prescrivendo l’onere di specificazione delle ragioni sostitutive per poter assumere lavoratori a tempo determinato, ha imposto una regola di trasparenza. Ha precisato, cioè, che occorre dare giustificazione della sostituzione del personale assente con diritto alla conservazione del posto con una chiara indicazione della causa. In tale prospettiva, il criterio della identificazione nominativa del personale sostituito è da ritenere certamente il più semplice e idoneo a soddisfare l’esigenza di una nitida individuazione della ragione sostitutiva, ma non l’unico…..

Non si può escludere, infatti, la legittimità di criteri alternativi di specificazione, semprechè essi siano rigorosamente adeguati allo stesso fine e saldamente ancorati a dati di fatto oggettivi. E così, anche quando ci si trovi – come ha rilevato la Corte di cassazione – di fronte ad ipotesi di supplenza più complesse, nelle quali l’indicazione preventiva del lavoratore sostituito non sia praticabile per la notevole dimensione dell’azienda o per l’elevato numero degli avvicendamenti, la trasparenza della scelta dev’essere, nondimeno, scrupolosamente garantita. In altre parole, si deve assicurare in ogni modo che la causa della sostituzione di personale sia effettiva, immutabile nel corso del rapporto e verificabile, ove revocata in dubbio…”);

dunque, va confermata la giurisprudenza di questa Corte, nel senso che la specificità della causale, valida per l’assunzione di personale a tempo determinato, deve essere debitamente verificata in concreto dal giudice di merito adito, sicchè l’onere di specificazione delle ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa di apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa, ma in un quadro caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico, che si riflette poi sulla relatività della verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto (cfr. sul punto, tra le altre, la motivazione di Cass. lav., ordinanza n. 26582/17 in data 27/04 – 09/11/2017.

V. altresì per un caso molto simile a quello qui in esame la sentenza di questa Corte n. 10009/16 in data 24/02 – 16/05/2016, che rigettava analogo ricorso, avverso la sentenza della CORTE di merito, che aveva riformato la gravata pronuncia, con il rigetto della domanda di un lavoratore assunto dalla Banca Findomestic con contratto a tempo determinato, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 in sostituzione della dipendente, nominativamente indicata, assente con diritto alla conservazione del posto, per cui anche nella specie il rapporto avrebbe avuto scadenza il giorno precedente al termine della assenza della lavoratrice e comunque, nel caso di risoluzione, per qualunque motivo, del rapporto di lavoro della predetta. Nel contratto si precisava, in via ulteriore, che la sostituzione sarebbe continuata anche in caso di assenza della lavoratrice sostituita, per una diversa causa che prevedesse il suo diritto alla conservazione del posto. Orbene, la succitata pronuncia n. 10009/16 ha in primo luogo evidenziato come la rigidità della previgente disciplina in materia di lavoro a tempo determinato sia andata progressivamente affievolendosi: dapprima con la L. n. 56 del 1987, art. 23; successivamente con il D.Lgs. n. 368 del 2001 di attuazione della direttiva 1999/70/CE che nell’intento di pervenire ad una nuova e diversa politica di più accentuata flessibilità del mercato del lavoro e così di seguito. Nella specie il caso specifico esaminato rientrava nella sfera di disciplina dettata dal decreto n. 368, prima delle modifiche poi apportate dalle L. n. 92 del 2012 e L. n. 78 del 2014, quindi così testualmente e codivisibilmente argomentando: “…In relazione alla disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, è stato, infatti, rimarcato come “in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datare di lavoro delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, abbia inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto”. Tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso “per relationem” ad altri testi scritti accessibili alle parti “(vedi Cass. 1-2-2010 n. 2279). Nell’ottica descritta si è altresì rilevato (vedi Cass.27-4-2010 n. 10033) che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro – consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione… Spetta poi al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, attraverso la valutazione di ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine. A conforto di quanto sinora esposto, va evidenziato che il legislatore, prescrivendo l’onere di specificazione delle ragioni sostitutive per poter assumere lavoratori a tempo determinato, ha imposto una regola di trasparenza, precisando che occorre dare giustificazione della sostituzione del personale assente con diritto alla conservazione del posto con una chiara indicazione della causa. In tale prospettiva, il criterio della identificazione nominativa del personale sostituito è stato ritenuto certamente il più semplice e idoneo a soddisfare l’esigenza di una nitida individuazione della ragione sostitutiva, ma non l’unico, non escludendosi la legittimità di criteri alternativi di specificazione, semprechè essi siano rigorosamente adeguati allo stesso fine e saldamente ancorati a dati di fatto oggettivi (vedi sentenza Corte Costituzionale n. 107 del 2013). Da ultimo non può sottacersi che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, esprimendosi sulla compatibilità comunitaria della normativa in oggetto (sentenza del 24 giugno 2010, in causa C-98/09), ha riaffermato il principio che anche il primo ed unico contratto a termine rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE e dell’accordo quadro ad essa allegato; correlativamente, la stessa Corte ha riconosciuto che un intervento del legislatore nazionale come quello in questione, ancorchè elimini l’obbligo datoriale d’indicare nei contratti a tempo determinato,

conclusi per sostituire lavoratori assenti, il nome di tali lavoratori e i motivi della loro sostituzione e prescriva, in sua vece, la specificazione per iscritto delle ragioni del ricorso a siffatti contratti, non solo è possibile, ma neppure viola la clausola della direttiva n. 8.3., che vieta una riduzione del livello generale di tutela già goduto dai lavoratori.. Ciò detto, deve rilevarsi che la Corte distrettuale correttamente ha vagliato la clausola apposta al contratto di lavoro inter partes, ritenendola coerente con le linee tracciate dal descritto assetto normativo, come delineato alla luce dei dicta giurisprudenziali ai quali si è fatto richiamo e negando il vizio genetico del negozio.

La pattuizione prevedeva che il contratto stipulato in data 15/1/2007, sarebbe stato a tempo determinato D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 (nella versione di testo anteriore alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 133 del 2008, che legittimava il ricorso al lavoro a termine anche per ragioni “riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro”), testualmente, per la “sostituzione della nostra dipendente M….., assente dal lavoro con diritto alla conservazione del posto. In conformità al disposto del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 il rapporto avrà scadenza in chiusura del giorno precedente a quello in cui cesserà l’assenza della lavoratrice da Lei sostituita e comunque nel caso in cui cesserà l’assenza della lavoratrice da Lei sostituita e comunque nel caso in cui venga a cessare, per qualsiasi motivo, il rapporto di lavoro della sig.ra xxxxx. “. Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte territoriale sulla delibata questione sono conformi a diritto, giacchè l’assetto contrattuale reca adeguata indicazione della causa sostitutiva, oltre al nome del lavoratore sostituito, palesandosi idonea ad evidenziare la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze che la stessa era chiamata a realizzare, oltre alla utilizzazione del lavoratore assunto nell’ambito della ragione indicata ed in stretto collegamento con essa (vedi in tali sensi, Cass. 12-1-2015 n. 208). Nell’ottica descritta, non appaiono, dunque, condivisibili le doglianze formulate da parte ricorrente in relazione alla omessa indicazione in sede contrattuale, delle ragioni sottese alla sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, nè del termine finale del rapporto, che ridonderebbe in termini di genericità della clausola appositiva del termine. E’ bene ricordare che questa Corte, in fattispecie disciplinata ratione temporis, dalla L. n. 230 del 1962, ha affermato il principio alla cui stregua “nel caso di assunzione a termine ai fini della sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, è legittima la fissazione di un termine determinato con riferimento alla non prefissata data di rientro del lavoratore sostituito (termine “incertus quando”), così come la prosecuzione del rapporto in occasione del mutamento del titolo dell’assenza indicato nel contratto è legittima, e non determina la trasformazione del medesimo a tempo indeterminato, semprechè anche per la nuova causale sia consentita la stipulazione dei contratto a termine (vedi Cass. 23-1-1998 n. 625). Il condiviso orientamento ha rinvenuto conferma anche in successivi approdi della giurisprudenza di legittimità (vedi Cass. 11-7-1998 n. 6784) secondo cui con riguardo alla disciplina del contratto a termine posta dalla L. n. 230 del 1962, è legittima la fissazione di un termine mediante indicazione, anzichè di una data determinata, di un evento futuro previsto come di certa realizzazione “certus an” e tuttavia non determinabile quanto al momento del suo esatto verificarsi “incertus quando”. Può dunque, ribadirsi (cfr. Cass. 7-8-2003 n. 11921) che l’assunzione di un lavoratore allo scopo di sostituire temporaneamente un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro può avvenire con la fissazione di un termine finale al rapporto, o anche con l’indicazione di un termine per relationem, con riferimento al ritorno in servizio del lavoratore sostituito – così come verificatosi nella fattispecie qui scrutinata – con la precisazione che tale indicazione, resa da questa Corte in relazione a tipologie contrattuali disciplinate ratione temporis, dai più rigidi dettami della L. n. 230 del 1962, è oltremodo pregnante in relazione ad un compendio normativa quale quello del D.Lgs. n. 368 del 2001 con il quale si è recepita la direttiva CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e si sono ampliate le ragioni legittimanti l’assunzione a termine, con superamento della tassatività delle ipotesi previste dalla pregressa normativa abrogata. Le esposte considerazioni, valgono altresì a superare le ulteriori doglianze formulate dal ricorrente con riferimento alla disapplicazione da parte dei giudici del gravame, dei dettami di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 (secondo cui – comma 1. “Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell’art. 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto…”.

Cfr. altresì Cass. lav. n. 6784 in data 11/07/1998, secondo cui, con riguardo alla disciplina del contratto a termine posta dalla L. n. 230 del 1962, è legittima la fissazione di un termine mediante indicazione, anzichè di una data determinata, di un evento futuro previsto come di certa realizzazione “certus an” e tuttavia non determinabile quanto al momento del suo esatto verificarsi “incertus quando”. In relazione a tale modalità di fissazione del termine, se sopravviene un evento imprevisto che ponga fine in una diversa maniera alla situazione giustificatrice del contratto a termine, non si verifica immediatamente la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto a termine di cui continui l’esecuzione, ma il datore di lavoro può usufruire, nei limiti della congruità, di un periodo di tempo allo scopo di una ponderata gestione della situazione improvvisamente verificatasi ed in particolare per l’adozione della determinazione di porre termine al rapporto di lavoro – fattispecie relativa a contratto a termine per la sostituzione di lavoratrice assente per maternità in cui si era fatto riferimento alla data del rientro in servizio della medesima lavoratrice. V. parimenti Cass. lav. n. 1234 del 20/02/1990);

esclusa, pertanto la violazione del requisito di specificità ed accertata, in concreto, la sussistenza della esigenza sostitutiva, corrispondente alla realtà, fino a tutto il cinque aprile 2011, risultava di conseguenza inapplicabile la conversione automatica prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 2, non essendo trascorso evidentemente dal sei al 23 aprile 2011 un tempo superiore a trenta giorni, nè tanto meno il periodo complessivo di cui al comma 4-bis. Parimenti, non ricorrono nella specie i presupposti di cui ai commi terzo (riassunzione a termine, ai sensi dell’art. 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato), quarto (assunzioni successive a termine, effettuate senza alcuna soluzione di continuità), nè 4-bis (successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore di durata complessiva superiore a trentasei mesi…);

nel caso di specie, inoltre, la Corte di merito, quanto al periodo sei – 23 aprile 2011 correttamente ha ravvisato la validità della proroga del precedente contratto, legittima in base al testo del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, sussistendo una ragione obiettiva connessa all’inziale esigenza sostitutiva, concernente la stessa attività lavorativa e con il consenso della lavoratrice interessata, tenuto conto che soltanto dal 24 aprile 2011 la lavoratrice sostituita era divenuta di nuovo autonomamente operativa, previo aggiornamento da parte sua sulle tecniche aziendali medio tempore introdotte, perciò conformemente all’indicata esigenza di consentire le consegne alla C. e di trasferire a quest’ultima le conoscenze relative al nuovo sistema e alle nuove procedure, trasferimento peraltro da attuare non necessariamente soltanto con attività di formazione ad opera della L., al contrario perciò di quanto da costei apodittica mente prospettato;

dunque, l’esigenza sostitutiva è rimasta invariata, indipendentemente dai motivi, di ordine soggettivo, connessi all’assenza della lavoratrice sostituita, tenuto altresì conto di quanto accertato con motivazione sufficiente, non inferiore al c.d. minimo costituzionale, circa la proroga che si ricollegava alla stessa precedente attività;

non sussistono, pertanto, i vizi denunciati da parte ricorrente e men che meno l’ipotizzata motivazione apparente, visto che il percorso argomentativo seguito dalla Corte milanese, peraltro condividendo quanto ritenuto in proposito dal primo giudicante (la cui motivazione non è stata però adeguatamente riprodotta da parte ricorrente ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) è chiaramente intellegibile oltre che lineare e coerente con quanto è dato leggere dalla pronuncia de qua;

infatti, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. sez. un. civ. n. 22232 del 03/11/2016). Sul punto, inoltre, occorre richiamare il principio, ormai consolidato, affermato dalle Sezioni unite civili di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 in data 7/4/2014, secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 -qui ratione temporis applicabile- deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione soltanto l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. altresì Cass. VI civ. – 3, n. 21257 in data 8/10/2014, secondo cui dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5) presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Conforme Cass. Sez. 6 – 3 n. 23828 del 20/11/2015);

pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al pagamento delle relative spese;

sussistono, quindi, anche i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso l’esito interamente negativo della qui proposta impugnazione.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore di parte controricorrente in complessivi Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, in relazione a questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuti per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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