Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24764 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 03/10/2019), n.24764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1874-2015 proposto da:

DISAM S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE FOFFANO,

RENATO SCOGNAMIGLIO;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 7,

presso lo studio dell’avvocato EMANUELE SPATA, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 244/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/07/2014 R.G.N. 1324/2012.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

Fatto

RILEVA

che con sentenza n. 244 in data 3 aprile – 10 luglio 2014 la Corte d’Appello di Venezia, in riforma della pronuncia di primo grado, impugnata come da ricorso depositato il 19 ottobre 2012, dichiarava costituito tra l’appellante R.A. e l’appellata S.r.l. DISAM un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato con decorrenza dal 2 novembre 2014 e di inquadramento nel primo livello del c.c.n.l. industria Federmeccanica, con la condanna della società convenuta a ripristinare il rapporto di lavoro e a pagare a favore dell’attore l’indennità di quella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, nella misura di tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge, così come precisato motivazione (ex art. 429 c.p.c. dal 23 dicembre 2005, di scadenza del rapporto a termine a suo tempo stipulato), nonchè con la condanna della società appellata al rimborso delle spese relative ad entrambi i gradi del giudizio, all’uopo liquidate con distrazione delle stesse a favore dei procuratori antistatari otto costituitosi per l’appellante;

avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione, notificato il 9 gennaio 2015, la S.r.l. DISAM, affidato a tre motivi, cui ha resistito il sig. R.A. come da controricorso del 17 febbraio 2015;

sono state depositate da entrambe le parti memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1175,1227 e 1375 c.c., contestandosi la decisione d’appello, con la quale veniva disattesa l’eccezione di scioglimento del dedotto rapporto contrattuale per mutuo consenso, laddove con riferimento al contratto a tempo determinato stipulato per il periodo 2 novembre 2004 – 31 ottobre 2005, in seguito brevemente prorogato fino al successivo 23 dicembre, il lavoratore soltanto con comunicazione del 23 ottobre 2009 propose opposizione avverso l’intervenuta cessazione del rapporto dichiarandosi a disposizione per la ripresa dell’attività lavorativa. Al riguardo la società ricorrente evidenziato l’ammissione ex adverso dello svolgimento di altre attività in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro in questione, laddove in particolare parte attrice non aveva allegato alcunchè nel corso del giudizio circa il proprio stato occupazionale successivamente al dicembre dell’anno 2005 mentre a pagina 6 della memoria autorizzata il 5 aprile 2012 controparte aveva dichiarato di essere stata sempre occupata in virtù di rapporti di lavoro precario, non avendo mai reperito alcuna occupazione a tempo indeterminato. Per contro, la Corte d’Appello aveva ritenuto siffatte circostanze sostanzialmente neutre, richiamando la giurisprudenza secondo la quale l’inerzia del lavoratore, sebbene protrattasi per un significativo arco temporale, non può ritenersi decisiva ai fini della risoluzione del rapporto, neppure considerando l’avvenuta conclusione nel frattempo di altri contratti di lavoro;

con il secondo motivo, parte ricorrente ha denunciato violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 mentre la Corte distrettuale aveva ritenuto la genericità della causale indicata nel contratto di assunzione a termine, mentre il riferimento al picco di produzione contenuto nel contratto doveva considerarsi esaustivo e comunque conforme al dettato legislativo. Per contro, erroneamente risultava l’assunto nel senso della insufficienza o della natura quasi tautologica di riferimento al concetto di picco produttivo, non essendo stata esplicitata la connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive e organizzative. La motivazione della sentenza impugnata non poteva essere condivisa poichè errata (l’individuazione della ragione a sostegno dell’apposizione del termine è consona al dettato normativo), inosservante degli insegnamenti giurisprudenziale in materia (univoci nell’affermare la necessità di un certo grado di elasticità nella valutazione del singolo caso) ed irragionevole (pretendendo un grado di specificazione non previsto dalla legge), sicchè la stessa era meritevole di censura;

con il terzo motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione della disciplina in tema di onere probatorio ex art. 2697 c.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c., n. 4, stante la natura solo apparente della motivazione sulle risultanze istruttorie. Le argomentazioni in proposito svolte dalla Corte distrettuale erano infondate ed illogiche, in relazione a quanto dedotto e comprovato da parte convenuta. Infatti, quest’ultima a seguito della decisione del giudice di primo grado di ammettere parzialmente la prova per testi, mediante limitazione dei relativi capitoli e riduzione della lista, in sede di appello aveva riproposto tutte le proprie istanze istruttorie, chiedendo tra l’altro il completamento dell’anzidetta prova testimoniale. Di conseguenza, la Corte d’Appello, non avendo ritenuto sufficiente l’istruttoria svolta, avrebbe dovuto quantomeno dare ingresso alla restante prova testimoniale. Per contro, la Corte territoriale aveva ritenuto infondatamente che le prove testimoniali dedotte in genere da essa società sarebbero comunque risultate inidonee a superare le genericità della causale risultante dal testo del contratto, in quanto non inerenti a fatti specifici, bensì comportanti un inammissibile giudizio sull’andamento della produzione, ciò che non era dal momento che i capitoli di prova all’uopo articolati riguardavano indubbiamente soltanto circostanze oggettive. Le anzidette affermazioni, del tutto insostenibili se non irragionevole, finivano per addossare alla società un onere probatorio che travalicava la portata dell’art. 2697 c.c.. Esse, comunque, erano prive del benchè minimo fondamento, dal momento che non trovavano riscontro alcuno nei mezzi istruttori proposti da parte convenuta, nè delle risultanze della espletata istruttoria, il che viziava inesorabilmente la motivazione della impugnata pronuncia. Sussisteva dunque a ben vedere un vizio di violazione di legge in particolare dell’art. 132 c.p.c., n. 4 attesa la carenza della censurata motivazione, trattandosi in effetti di motivazione soltanto apparente, quale era quella con la quale il giudice del merito valuta in un dato modo una determinata acquisizione istruttoria, senza in alcun modo dare atto dell’effettivo contenuto della medesima, ciò che appunto era quanto verificatosi nel caso di specie in relazione alle risultanze dell’anzidetta prova testimoniale;

tanto premesso, le anzidette doglianze vanno disattese per le seguenti ragioni;

invero, il primo motivo è infondato alla stregua di quanto compiutamente e correttamente osservato in proposito dalla Corte di merito, che nel richiamare la prevalente giurisprudenza di legittimità, ha escluso il mutuo consenso eccepito dalla società DISAM, non avendo ravvisato univoci e sicuri riferimenti fattuali da cui poter desumere lo scioglimento consensuale del rapporto contrattuale de quo, avendo la sentenza appellata, per contro, valorizzato il lungo decorso del tempo e la rioccupazione del lavoratore nelle more, dati giudicati in sè inidonei a far emergere in modo inequivocabile la volontà di porre fine al rapporto: “Se infatti da un lato non è consentito attribuire effetti negoziali alla mera inerzia anche protratta nel tempo (v. Cass. 10.6.2011 n. 12831), dall’altro la rioccupazione del lavoratore esprime esclusivamente la necessità di procurarsi i mezzi per il proprio sostentamento e non la volontà di porre fine rapporto lavorativo oggetto del presente giudizio (v. Cass. 19.1.2010 n. 839)” (cfr. inoltre, più recentemente, il principio affermato sull’argomento da Cass. lav. con sentenza n. 29781 del 12/12/2017, secondo cui in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente. Con l’ulteriore precisazione, inoltre, che nella fattispecie qui in esame, concernente sentenza risalente all’anno 2014, opera il nuovo testo del cit. art. 360, n. 5, per cui al riguardo rileva esclusivamente l’omesso esame di un fatto storico e decisivo, essendo per il resto il suo apprezzamento riservato esclusivamente al giudice di merito, salvo motivazione in violazione del c.d. minimo costituzionale, di cui infra al terzo motivo);

pertanto, sono inconferenti le asserite violazioni denunziate violazioni degli artt. 1175, 1227 e 1375 c.p.c., alla stregua di quanto opinato in proposito dalla Corte veneziana nel caso in esame (peraltro in conformità all’orientamento espresso in materia da Cass. lav. n. 22489 del 4/11/2016 – non costituiscono, da sole, circostanze significative idonee ad integrare la fattispecie di tacita risoluzione consensuale l’avere il lavoratore, nelle more, percepito il t.f.r., ovvero cercato o reperito un’altra occupazione – n. 8604 del 03/04/2017 – analoga alla precedente – e n. 26695 del 10/11/2017, secondo la quale acquiescenza del lavoratore all’atto può essere desunta solo da un comportamento di adesione alte determinazioni datoriali che sia spontaneo, tenuto nella piena consapevolezza dell’atto lesivo e non presenti aspetti di equivocità, nel senso che sia assolutamente incompatibile con la volontà di impugnare il provvedimento.

Cfr. ancora Cass. lav. n. 9591 del 14/12/2016 – 13/04/2017, che confermava altra decisione della Corte d’Appello di Venezia: “…Sul punto S.U. n. 21691 /2016 ha nuovamente ribadito che “con riferimento al caso dei contratti a tempo determinato, la mancata impugnazione della clausola che fissa il termine viene considerata indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti a condizione che la durata di tale comportamento omissivo sia particolarmente rilevante e che concorra con altri elementi convergenti ad indicare, in modo univoco ed in equivoco, la volontà di estinguere ogni rapporto di lavoro tra le parti. Il relativo giudizio attiene al merito della controversia”. Nella fattispecie il vizio della motivazione (regolato ratione temporis dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5) neppure è stato dedotto e, comunque, gli elementi di fatto indicati nel motivo (il decorso del tempo e la riassunzione del lavoratore a tempo indeterminato) sono stati tutti esaminati in sentenza. Il motivo è infondato nella parte in cui assume che il mutuo consenso debba essere desunto sulla base di una condotta sociale tipica; come ripetutamente affermato da questa Corte (ex plurimis: Cass. n.ri 3924, 4181, 7282, 7630, 7772, 7773, 13538, 14818/2015, nonchè Cass. 14809/2015), da ultimo con la citata pronunzia a sezioni Unite, ciò che rileva non è la oggettività della condotta ma l’accertamento della chiara, certa e comune volontà delle parti del rapporto lavorativo. Al riguardo non può dunque condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass. 6-7- 2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209) prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale che, in quanto tale, seppure tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo (in termini: Cass. 28-1-2014 n. 1780)….”);

il terzo motivo è inammissibile perchè in effetti censura il merito del ragionamento decisorio dell’impugnata sentenza, quindi il contenuto della sua motivazione, laddove – cfr. in part. pag. 28 – si riconosce che a ben vedere sussiste(rebbe) un vizio di violazione di legge ed in particolare dell’art. 132 c.p.c., n. 4, di modo che in concreto parte ricorrente finisce per denunciare un error in procedendo, però irritualmente ex art. 360 c.p.c., n. 3, e non già univocamente in termini di nullità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (v. infatti Cass. VI civ. – 3, ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, secondo cui in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, Cfr. in senso analogo Cass. III civ. n. 23940 del 12/10/2017: in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.

Per la nozione di motivazione apparente, v. Cass. sez. un. civ. n. 22232 del 3/11/2016, secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.

Circa la corretta denuncia di errori processuali cfr., più recentemente, Cass. II civ. n. 10862 del 7/5/2018, secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.

Parimenti, secondo Cass. II civ. n. 24247 del 29/11/2016, secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione ivi stabilite, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Ne deriva che, ove il ricorrente lamenti l’errore processuale consistito nell’aver ritenuto ammissibile una domanda in violazione delle preclusioni processuali, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo alla norma processuale violata, purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa violazione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè si riferisca esclusivamente alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In senso analogo Cass. sez. un. civ. 24-07-2013 n. 17931);

peraltro il terzo motivo va disatteso anche in base alla complessiva motivazione espressa, in modo coerente e lineare, nonchè senza alcuna indebita inversione dell’onere probatorio in violazione dell’art. 2697 c.c., laddove pur argomentandosi in merito all’insufficiente enunciazione della causale, la Corte di merito ha osservato che anche spostando l’attenzione sul piano sostanziale la soluzione restava invariata, non avendo infatti la società fornito prova adeguata nè del picco produttivo, nè dell’aumento della produzione in conseguenza delle maggiori commesse (v. pagine 7 e 8 della sentenza de qua “… Dal punto di vista documentale, ciò che emerge con certezza non è affatto un picco produttivo ma solo una progressione costante del monte ore delle maestranze da 2003 al 2005. Proprio la documentazione prodotta da parte convenuta (v. docc. da 1 a 4) smentisce il carattere temporaneo dell’aumento di manodopera e quindi l’esistenza del “picco produttivo”.

Sotto un diverso profilo, nemmeno dopo l’escussione dei due testi è dato comprendere quante fossero le “nuove commesse”, con conseguente impossibilità di ricollegarvi il maggior numero di ore lavorate. In realtà la prova per testi “pecca” della stessa genericità della causale, venendo demandato al testimone non solo la conferma di un fatto specifico, ossia l’indicazione delle nuove commesse, ma piuttosto un inammissibile giudizio sull’andamento della produzione….”);

esclusa, pertanto, anche l’ipotizzata motivazione apparente, ne deriva l’assorbimento altresì di quanto dedotto con il secondo motivo di ricorso, poichè indipendentemente dalla specificità o meno della causale indicata nel contratto in questione in data 2 novembre 2004 (“per far fronte ad un picco produttivo, in quanto l’acquisizione di nuove commesse, che per volumi termini di consegna richiede una maggiore manodopera”), ad ogni modo la Corte distrettuale in base alle risultanze documentali e alla luce altresì di quanto riferito dai testi escussi, non ha ravvisato la prova della sussistenza dell’anzidetto picco produttivo connesso specificamente all’assunzione a tempo determinato dell’attuale controricorrente (cfr. del resto, tra le altre, Cass. lav. nn. 1576 e 1577 del 2010, che pur ammettendo un’interpretazione elastica del requisito di specificità, fanno salva, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità. V. ancora Cass. n. 10033 del 27/04/2010, che nell’affermare l’esigenza di precisa indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto in ordine alle circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, così da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare nonchè l’utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa, riconosce al solo giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto);

pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al pagamento delle relative spese, liquidate come da seguente dispositivo;

sussistono, quindi, anche i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso l’esito interamente negativo della qui proposta impugnazione

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in complessivi Euro =4500,00= (quattromilacinquecento/00) per compensi professionali ed in Euro =200,00= (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione all’avv. Emanuele Spata, procuratore anticipatario costituito per il controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuti per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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