Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24763 del 08/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2018, (ud. 24/05/2018, dep. 08/10/2018), n.24763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9285/2017 proposto da:

R.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE PROVINCIE

114/B/23, presso lo studio dell’avvocato PAOLA D’AMICO,

rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELLO MANFELLOTTO;

– ricorrente –

contro

R.E., R.K., R.J.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 80, presso lo studio

dell’avvocato DARIO COCCO, rappresentati e difesi dall’avvocato

ANTONIO NATALIZIA;

– controricorrenti –

contro

R.D., R.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6973/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La signora R.V. ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma la quale, pronunciandosi in secondo grado sullo scioglimento della comunione ereditaria dell’asse relitto dal defunto R.G. (già con lei convivente more uxorio), per un verso ha escluso, confermando sul punto la sentenza di prime cure, che gli ampliamenti realizzati nell’immobile sito in (OMISSIS), potessero ritenersi acquisiti per accessione dalla stessa signora R. e del de cuius, in quanto fabbricati prima del 20.8.1980, data dell’acquisto dell’immobile stesso da parte di costoro; per altro verso, ha giudicato inammissibili, perchè proposte per la prima volta in appello, le allegazioni di R.V. secondo cui l’incorporazione per accessione risalirebbe ad epoca anteriore all’acquisto da lei effettuato nel 1980 (insieme a R.G.) e secondo cui ella avrebbe acquistato le porzioni immobiliare de quibus per usucapione.

Il ricorso si articola in tre motivi.

R.E., R.J.S. e R.K. hanno resistito con controricorso, mentre R.D. e S. non hanno spiegato difese in questa sede.

La causa è stata discussa nell’ adunanza di Camera di consiglio del 24.5.18, per la quale i contro ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Con il primo mezzo, rubricato con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia l’illogicità della motivazione della sentenza gravata, là dove nella stessa – travisando, secondo la ricorrente, le risultanze istruttorie – si ritiene che le opere di ampliamento dell’immobile de quo (descritto nell’atto del 1980, di acquisto del medesimo da parte di R.G. e di R.V., come “fabbricato rurale di un vano”) sarebbero state realizzate anteriormente alla data di detto acquisto.

Il primo mezzo è inammissibile perchè il vizio denunciato (illogicità della sentenza e contraddittorietà della stessa, sia intrinseca che con le risultanze probatorie) non è riconducibile nè al motivo di ricorso evocato dal ricorrente (art. 360 c.p.c., n. 4), giacchè la motivazione della sentenza non è apparente nè è al di sotto del “minimo costituzionale” (cfr. SSUU 8053/14), nè al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non rientrando nella relativa previsione nè la illogicità/contraddittorietà della motivazione (Cass. 7983/14, Cass. 23940/17), nè il controllo sulla congruità dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie (Cass. 16300/14).

Col secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 934 c.c., nella parte in cui la corte capitolina avrebbe dato rilevanza al tempo di realizzazione degli ampliamenti al fabbricato de quo per escludere l’operatività dell’accessione; nel motivo di gravame si argomenta che l’accessione produce ipso jure l’acquisto della proprietà dell’edificio in favore del proprietario del suolo, cosicchè, in caso di cessione di quest’ultimo, la stessa comprende tutte le costruzione che ivi insistono, salvo espressa riserva di un diritto di superficie in capo all’alienante.

Il secondo mezzo va giudicato inammissibile perchè non risulta pertinente alla motivazione della sentenza gravata; quest’ultima, infatti, non si pronuncia sul merito dell’argomentazione, svolta nell’appello di R.V., secondo la quale l’incorporazione per accessione degli ampliamenti edilizi de quibus all’immobile acquistato nel 1980 da lei e da R.G. risalirebbe ad epoca a anteriore a tale acquisto, ma dichiara la relativa allegazione inammissibile, perchè proposta per la prima volta in grado di appello (pag. 2, ultimo rigo, della sentenza).

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa giudicando inammissibili, perchè tardive, le allegazioni di R.V. secondo cui l’incorporazione per accessione risalirebbe ad epoca anteriore all’acquisto da lei effettuato nel 1980 (insieme a R.G.) e secondo cui ella avrebbe acquistato per usucapione le porzioni immobiliare de quibus.

Il motivo è fondato; la statuizione impugnata contrasta con il principio dell’autodeterminazione del diritto di proprietà, più volte ribadito da questa Corte (Cass. 40/2015, Cass. 8986/17, Cass. 24435/17), alla cui stregua i diritti reali si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto (ossia il bene che ne forma l’oggetto) e non al titolo che ne costituisce il fondamento, sicchè l’allegazione, in primo come in secondo grado, di un titolo diverso rispetto a quello originariamente posto a base della domanda rappresenta solo un’integrazione delle difese sul piano probatorio, non implicando la proposizione di una domanda nuova nè la rinunzia alla valutazione del diverso titolo dedotto in precedenza.

E’ ben vero, come sottolineano i contro ricorrenti nella loro memoria illustrativa, che nemmeno in materia di diritti autodeterminati è possibile derogare ai limiti fissati dalla legge all’ammissione di nuove prove in appello; ma la corte territoriale si è pronunciata, negandola, non sulla ammissibilità delle istanze istruttorie, ma sulla ammissibilità delle stesse allegazioni (alla cui dimostrazione dette istanze istruttorie erano funzionali) proposte da R.V. in appello; in tal modo la sentenza gravata incorre nel denunciato vizio di violazione di legge, con conseguente necessità di cassare l’impugnata sentenza, spettando poi al giudice di rinvio valutare se dette allegazioni, in quanto tali ammissibili, possano essere provate in giudizio attraverso l’ammissione delle istanze istruttorie all’uopo rassegnate.

Conclusivamente, il ricorso va accolto limitatamente al terzo mezzo di impugnazione, rigettati i primi due, e la sentenza gravata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma.

PQM

La Corte rigettati i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della corte di appello di Roma, che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2018

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