Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24762 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 03/10/2019), n.24762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12-2015 proposto da:

FINDOMESTIC BANCA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 332, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE MAJO, rappresentata e difesa

dall’avvocato VITTORIO BECHI;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 25-B,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE SIGILLO’ MASSARA;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 1073/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/06/2014 R.G.N. 1816/2012.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

che:

la Corte d’Appello di Palermo con sentenza n. 1073 in data 22 maggio – 26 giugno 2014, in riforma dell’impugnata pronuncia n. 307, emessa dal giudice del lavoro di Agrigento il 13 febbraio 2012, dichiarava costituito tra B.A. e FINDOMESTIC Banca S.p.A. un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 20 marzo 2006, condannando per l’effetto la società a riammettere l’appellante immediatamente in servizio, nonchè a corrispondergli, a titolo di risarcimento del danno, liquidato fino alla sentenza, un’indennità onnicomprensiva pari a otto mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge, nonchè al pagamento delle retribuzioni dovute a partire dalla decisione. Condannava, infine, la società FINDOMESTIC al pagamento delle spese relative ai due gradi del giudizio, a tale scopo liquidate;

la Corte palermitana riteneva fondato, in particolare, il secondo motivo di gravame, circa la contestata genericità della causale sostitutiva indicata nel contratto di assunzione a tempo determinato (sostituzione della dipendente P.S., assente dal lavoro con diritto alla conservazione del posto, per lo svolgimento di mansioni proprie della III area professionale presso la sede di (OMISSIS)). Nel caso di specie non soltanto l’enunciazione della causale sostitutiva aveva omesso di indicare la specifica ragione dell’assenza della lavoratrice sostituita, ma neppure tale causale era in qualche modo desumibile dalla menzionata clausola temporale, poichè essa stessa rimandava la scadenza del rapporto al giorno antecedente alla cessazione dell’assenza della lavoratrice con l’eventualità che il rapporto sarebbe proseguito ove l’assenza si fosse protratta per una causa diversa. Ne scaturiva, ad avviso della Corte distrettuale, una struttura negoziale in cui alla carenza di informazioni circa le ragioni dell’assenza della lavoratrice sostituita si sommava l’incerta determinazione riguardo alla cessazione delle ragioni medesime, con il rischio di consegnare alla discrezionalità del datore di lavoro la possibilità di far valere ora l’una ora l’altra delle possibili motivazioni giustificatrici dell’assenza, differendo ad libitum la scadenza del termine, con indubbia lesione dell’autonomia negoziale del lavoratore. La stessa dinamica della vicenda contrattuale nella specie testimoniava di una relazione lavorativa via via prorogata per oltre tre anni a causa dell’assenza della P., protrattasi in dipendenza di ragioni sempre diverse (interdizione per maternità astensione obbligatoria, malattia, ferie), mai preventivamente comunicate al lavoratore. Fuorviante, peraltro, si configurava l’opzione del datore di lavoro di farsi scudo della massima secondo cui l’esigenza sostitutiva del lavoratore assente può essere sufficientemente rappresentata attraverso l’indicazione specifica del luogo di esecuzione della prestazione e delle mansioni da svolgere. Tale orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 23119 del 16 novembre 2010) aveva riguardato l’ipotesi di organizzazioni produttive complesse, in cui la sostituzione non sia riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta. La controversia in esame, per contro, era relativa alla sostituzione di una lavoratrice, nominativamente indicata, rispetto alla quale pertanto l’onere di specificazione previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, come ritenuto dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 214/2009, imponeva di indicare per iscritto il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. Infatti, considerato che per “ragioni sostitutive” debbono intendersi motivi connessi con l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione, di guisa che soltanto così l’onere di cui al citato art. 1, comma 2, può realizzare la finalità concernente la valida stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, che è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto;

avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione FINDOMESTIC BANCA S.p.A., notificato il 12-12-2014, affidato a due motivi, cui ha resistito B.A. mediante controricorso del 16/22 gennaio 2015;

previ tempestivi avvisi di rito, relativi alla fissata adunanza in camera di consiglio per il giorno cinque marzo 2019, la sola ricorrente Findomestic Banca S.p.a. ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo violazione, la società ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, riportando in primo luogo la lettera di assunzione a tempo determinato del 20 marzo 2006, per la sostituzione della dipendente P.S., assente dal lavoro e con diritto alla conservazione del posto, precisandosi che il rapporto avrebbe avuto scadenza il giorno precedente a quello in cui sarebbe cessata l’assenza della lavoratrice sostituita e comunque nel caso in cui fosse venuto a cessare, per qualsiasi motivo, il rapporto di lavoro della predetta P.S.. “Quanto sopra fermo restando che Lei continuerà ad eventualmente sostituire la lavoratrice suddetta, a termine del già menzionato D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, comma 1 anche nell’ipotesi in cui, durante la richiamata assenza, la stessa lavoratrice continui a restare assente senza soluzione di continuità, per una diversa causa, sempre comunque tra quelle che prevedano il diritto alla conservazione del posto di lavoro…

La prestazione sarà da lei effettuata presso il nostro centro clienti satellite di (OMISSIS). Rimane salva la possibilità che nel corso della durata del rapporto Lei possa essere assegnato da altra sede. A tal fine dichiara sin da ora di accettare eventuale trasferimenti.

Risultava erroneo, in particolare, quanto opinato dalla Corte palermitana laddove, individuato quale criterio di valutazione ai fini della legittimità del contratto a termine la specificazione della causale sostitutiva, riteneva la stessa insussistente nel caso di specie, poichè Findomestic avrebbe dovuto specificare nel contratto del 20 marzo 2006 anche la particolare ragione dell’assenza della dipendente sostituita. Anzitutto il ragionamento seguito dalla Corte territoriale originava da una prospettiva non concernente le esigenze oggettive aziendali, ma i motivi soggettivi dell’assenza della lavoratrice sostituita, i quali tuttavia attenevano esclusivamente alla dipendente stessa. In definitiva, l’esigenza di trasparenza alla base degli oneri specificazione per la parte datoriale ex art. cit. art. 1, comma 2, non potevano comportare un vincolo per l’azienda di riferire, nel contratto di assunzione del dipendente a tempo determinato, gli specifici motivi, soggettivi e personali, di assenza per il singolo lavoratore. A parte poi i non trascurabili conflitti con il diritto alla tutela della riservatezza personale, la ricorrente ha evidenziato che in ogni caso la giurisprudenza non aveva mai messo in discussione la piena legittimità di un’assunzione a termine nella quale fossero specificati il nominativo del sostituito, il luogo di prestazione dell’attività lavorativa, le mansioni da svolgere da parte del sostituto e il livello di inquadramento, elementi tutti sussistenti nel caso di specie come emergeva dall’anzidetta lettera di assunzione 20 marzo 2006, il cui contenuto peraltro era stato attuato nel rispetto del principio di trasparenza richiesto dal legislatore e dalla giurisprudenza per la legittimità del contratto a termine, come peraltro riconosciuto anche dal giudice di primo grado. Il presupposto necessario e sufficiente per la giustificazione era costituito, infatti, dall’assenza stessa della lavoratrice sostituita, di modo che non potendo costei partecipare all’attività operativa aziendale, ne derivava l’esigenza di sostituirla con altro dipendente, esigenza chiaramente limitata nel tempo. Pertanto, richiamando anche giurisprudenza di legittimità, secondo parte ricorrente, il contratto a tempo determinato dettato da ragioni sostitutive doveva considerarsi legittimo attesa la sussistenza per tutta la sua durata di un’assenza, da ricoprire al fine di organizzare l’attività economica esercitata dall’imprenditore – datore di lavoro. Era, quindi, evidente come l’assenza del lavoratore con diritto alla conservazione del posto giustificasse in re ipsa l’assunzione con contratto a tempo determinato. Pertanto, risultava del tutto infondata l’impugnata sentenza, laddove aveva ritenuto la genericità della causale del contratto 20 marzo 2006, dal momento che era evidente come la funzione specificativa fosse stata espletata dall’espressa indicazione del nome della lavoratrice da sostituire, del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa e dell’indicata esigenza sostitutiva di Findomestic. Oltretutto nel pretendere ulteriori specificazioni da parte datoriale sarebbe stato pretestuoso e contrario a buona fede, anche in considerazione della complessa realtà aziendale di Findomestic, che era andata oltre il minimo richiesto dalla legge e dalla giurisprudenza ai fini della legittimità del contratto a termine con l’indicazione nominativa della lavoratrice da sostituire, richiamandosi sul punto le pronunce di Cassazione nn. 5241 del 2012 e 1577 del 2010, nonchè della Corte Costituzionale n. 107/2013. Del tutto impropriamente la Corte d’Appello aveva richiamato la sentenza della Consulta, n. 214 del 2009, peraltro non vincolante in quanto interpretativa di rigetto, la cui pronuncia andava comunque inquadrata nel più ampio complesso di cui alla successiva giurisprudenza di legittimità costituzionale;

con il secondo motivo, inoltre, la società ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, laddove era stata ritenuta l’illegittimità del contratto a tempo determinato anche per la mancata determinazione in esso della durata temporale, però coincidente con la cessazione dell’assenza della lavoratrice sostituita, sicchè il rapporto a termine sarebbe potuto proseguire tra le parti anche per una causa sostitutiva differente da quella originaria. In effetti, il vizio ravvisato dalla Corte distrettuale non si riferiva alla indeterminatezza temporale della causale, ma al fatto che l’attore non fosse stato posto in grado di conoscere i motivi della sostituzione. Il vizio riscontrato dai giudici d’appello, in definitiva, risultava sempre il medesimo, valendo perciò le precedenti considerazioni a sostegno del primo motivo. Peraltro, la Corte territoriale aveva pure finito con il ritenere che il B. aveva illegittimamente subito una proroga prolungata e, quindi, illegittima del rapporto di lavoro a termine, senza essere mai previamente informato delle mutevoli ragioni di assenza della P.. Ma anche sotto questo profilo la sentenza impugnata risultava viziata, originando dall’erroneo presupposto secondo cui la causale del contratto in esame sarebbe coincisa con i motivi alla base delle ripetute assenze della P., mentre l’unica causale, mai modificata nel corso dell’intero rapporto, era sempre stata l’esigenza sostitutiva dell’azienda. Peraltro, il B. era stato sempre adibito a ricoprire il ruolo e a svolgere le mansioni della suddetta lavoratrice assente e non di altri dipendenti. Pertanto, non si comprendeva come la Corte distrettuale avesse potuto ipotizzare la sussistenza di una modificazione della causa, laddove la causale del contratto a termine 20 marzo 2006 era rimasta inalterata. Secondo la ricorrente, dal momento che non si era mai verificata nel corso del rapporto di lavoro una modifica dell’originaria causale, rimasta invece sempre quella di far fronte all’esigenza di sostituire la stessa lavoratrice, neanche poteva rinvenirsi nella specie alcuna ipotesi di proroga, trattandosi piuttosto di un normale scorrimento della durata dello stesso rapporto a tempo determinato, come già prevista dall’unico contratto iniziale, che ricollegava espressamente la durata della prestazione all’assenza della lavoratrice sostituita e all’eventuale protrarsi nel tempo di tale assenza. Nè, d’altro canto, la Corte distrettuale aveva ravvisato una eventuale illegittimità del contratto in argomento per violazione degli intervalli temporali tra una proroga e l’altra, ovvero per violazione del termine massimo complessivo previsto dalla legge in proposito. Infine, la società ricorrente ha evidenziato come il contratto de quo sia risultato perfettamente coincidente con l’assenza della lavoratrice P., come già dimostrato nel corso del giudizio di merito e per cui, d’altro, canto, la stessa pronuncia impugnata nulla aveva rilevato circa l’effettiva sussistenza delle indicate ragioni sostitutive (cfr. sul punto in part. i precisi riferimenti enunciati alle pagine 38 e 39 del ricorso per cassazione);

le anzidette censure, tra loro peraltro evidentemente connesse e perciò esaminabili congiuntamente, appaiono fondate nei seguenti termini;

in via preliminare, inoltre, deve disattendersi l’eccezione d’inammissibilità sollevata da parte controricorrente, atteso che il ricorso della società istante appare completo, esauriente e specifico nel formulare le anzidette doglianze, in relazione alle argomentazioni svolte con l’impugnata sentenza, di guisa che risultano rispettati i requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, segnatamente con riferimento alle ipotesi ivi contemplate sub nn. 3, 4 e 6;

invero, la ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda essenzialmente sulla interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 214/09, in data 8/14 luglio 2009, che però in proposito dichiarava non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 11 sollevate, in riferimento all’art. 76 Cost., art. 77 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, oltre che dello stesso D.Lgs. n. 368, art. 2, comma 1-bis, in riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, artt. 101,102 e 104 Cost. (a parte, poi, la contestuale declaratoria d’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 4-bis introdotto dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 21, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133);

tuttavia, come chiarito dalla sentenza n. 27986 del 16/12/2013, pronunciata dalle Sezioni unite civili di questa Corte, il vincolo che deriva, sia per il giudice “a quo” sia per tutti gli altri giudici comuni, da una sentenza interpretativa di rigetto, resa dalla Corte costituzionale, è soltanto negativo, consistente cioè nell’imperativo di non applicare la norma ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale, così da non ledere la libertà dei giudici di interpretare ed applicare la legge – ai sensi dell’art. 101 Cost., comma 2, – e, conseguentemente, neppure la funzione di nomofilachia attribuita alla Corte di Cassazione dall’art. 65 Ordinamento Giudiziario, non essendo preclusa la possibilità di seguire, nel processo “a quo” o in altri processi, “terze interpretazioni” ritenute compatibili con la Costituzione, oppure di sollevare nuovamente, in gradi diversi dello stesso processo “a quo” o in un diverso processo, la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, sulla base della interpretazione rifiutata dalla Corte costituzionale, eventualmente evocando anche parametri costituzionali diversi da quello precedentemente indicato e scrutinato (in senso analogo, cfr. inoltre Cass. lav. n. 4592/14 in data 9 gennaio – 26 febbraio 2014, che rigettava il ricorso del lavoratore, avverso la sentenza d’appello di conferma del diniego della domanda proposta dal lavoratore, intesa ad ottenere la dichiarazione della nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato, stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per ragioni sostitutive di personale assente senza l’indicazione nominativa del personale sostituito, così in particolare testualmente motivando:

“”. Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001, il quale nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1, comma 1, prevede, al comma 1, che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” e, al comma 2, che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 7. E’ stata altresì prevista, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L.n. 79 del 1983, art. 8 bis, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1). Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate. Nel caso di specie i motivi di ricorso impongono di stabilire come debba essere configurato sul plano giuridico il concetto di specificazione con riferimento all’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia la causale dell’apposizione del termine in ragioni di carattere sostitutivo. Come già rilevato, l’onere di specificazione della causale nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto, tuttavia, proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza.

Con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, pertanto, il contratto a termine se in una situazione aziendale elementare è configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa è con figurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta. In quest’ultimo caso, il requisito della specificità può ritenersi soddisfatto non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione.

Questa Corte non ignora la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, la quale, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità del D.lgs. n. 368 del 2001, art. 1… afferma che l’onere di specificazione previsto dallo stesso art. 1, comma 2 “impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione”. Sul problema degli effetti delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale sull’interpretazione delle leggi da parte del giudice ordinario, questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 9.1.04 n. 166) ha affermato che, ove il giudice delle leggi, nel ritenere non infondato il denunciato vizio di incostituzionalità di una certa disposizione nella interpretazione non implausibile fornitane dal giudice del merito, indichi una possibile, diversa interpretazione della stessa disposizione conforme a Costituzione, tale interpretazione adeguatrice non interferisce con il controllo di legittimità rimesso alla Corte di cassazione ed il suo effetto vincolante per i giudici ordinali e speciali, non esclusa la Corte di Cassazione, riguarda soltanto il divieto di accogliere quella interpretazione che la Corte costituzionale ha ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della questione di legittimità costituzionale sottoposta al suo esame, viziata. Nel caso di specie il passo della sentenza della Corte costituzionale sopra citato deve essere letto nel contesto argomentativo in cui esso è stato formulato. La sentenza, subito dopo il passo estrapolato, prosegue precisando che “considerato che per ragioni sostitutive si debbono intendere motivi connessi con l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; solamente in questa maniera, infatti, l’onere che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2 impone alle parti che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato può realizzare la propria finalità, che è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto”. Tale precisazione sta a indicare che, nella illimitata casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e “l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori” deve passare necessariamente attraverso la “specificazione dei motivi”, mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma. Intesa in questi termini la sentenza della Corte costituzionale, l’opzione interpretativa offerta da questo Collegio è pienamente coerente con quella offerta dalla sentenza in questione che, per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, costituisce un contributo ermeneutico della massima importanza. Dunque, per concludere sul punto, l’apposizione del termine per “ragioni sostitutive” è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale i riferimenti, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato. Nel caso di specie appare congrua la parametrazione effettuata dal giudice di merito che ha ritenuto esistente il requisito della specificità con l’indicazione nell’atto scritto della causale sostitutiva, del termine iniziale e finale del rapporto, del luogo di svolgimento della prestazione a termine, dell’inquadramento e delle mansioni del personale da sostituire. In questo caso appare, infatti, rispettato quel criterio di elasticità che la nuova formulazione della norma di legge impone, pur nell’ambito di una parametrazione concettuale con riferimento all’ambito territoriale di riferimento, al luogo della prestazione lavorativa, alle mansioni del lavoratore (o dei lavoratori) da sostituire e, ove necessario in relazione alla situazione aziendale descritta, il diritto del lavoratore sostituito alla conservazione del posto.

Quanto al riscontro fattuale del rispetto della ragione sostitutiva (specificamente indicata), in relazione alla sopra effettuata configurazione delle condizioni legittimanti il contratto a termine, appare logicamente articolato l’accertamento effettuato dal giudice di merito, che con riferimento all’ambito territoriale dell’ufficio interessato, ha accertato il numero dei contratti a termine stipulati in ciascuno dei mesi di durata del contratto a termine e lo ha confrontato con il numero delle giornate di assenza per malattia, infortunio, ferie, ecc. del personale a tempo indeterminato, ravvisando congruo il numero dei contratti stipulati per esigenze sostitutive (Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577). Tale accertamento ha contenuto esclusivamente di merito e, in quanto correttamente motivato, è in questa sede incensurabile. I primi tre motivi sono, pertanto, infondati e debbono essere rigettati. Gli altri tre motivi sono assorbiti presupponendo l’accoglimento dei primi)…”);

peraltro, l’anzidetta pronuncia della Corte Costituzionale n. 214/2009 va anche esaminata alla stregua di quanto precisato dalla medesima Corte con la propria successiva sentenza n. 107/2013 in data 22 – 29 maggio 2013, pubblicata in G. U. 5/6/2013 n. 23 (che pure dichiarava non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1 e 11 sollevate, in relazione all’art. 3 Cost. e art. 77 Cost., comma 1, dal Tribunale di Trani), in particolare testualmente osservando quanto segue: “… Erroneamente il Tribunale di Trani ritiene che la Corte di cassazione avrebbe stravolto l’interpretazione delle disposizioni censurate che questa Corte ha fornito con la sentenza n. 214 del 2009 (seguita dalle ordinanze n. 325 del 2009 e n. 65 del 2010).

Il legislatore, prescrivendo l’onere di specificazione delle ragioni sostitutive per poter assumere lavoratori a tempo determinato, ha imposto una regola di trasparenza. Ha precisato, cioè, che occorre dare giustificazione della sostituzione del personale assente con diritto alla conservazione del posto con una chiara indicazione della causa.

In tale prospettiva, il criterio della identificazione nominativa del personale sostituito è da ritenere certamente il più semplice e idoneo a soddisfare l’esigenza di una nitida individuazione della ragione sostitutiva, ma non l’unico.

Non si può escludere, infatti, la legittimità di criteri alternativi di specificazione, semprechè essi siano rigorosamente adeguati allo stesso fine e saldamente ancorati a dati di fatto oggettivi. E così, anche quando ci si trovi – come ha rilevato la Corte di cassazione – di fronte ad ipotesi di supplenza più complesse, nelle quali l’indicazione preventiva del lavoratore sostituito non sia praticabile per la notevole dimensione dell’azienda o per l’elevato numero degli avvicendamenti, la trasparenza della scelta dev’essere, nondimeno, scrupolosamente garantita. In altre parole, si deve assicurare in ogni modo che la causa della sostituzione di personale sia effettiva, immutabile nel corso del rapporto e verificabile, ove revocata in dubbio.

La giurisprudenza di legittimità, muovendo da tale assunto, ha preso solo atto della “illimitata casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali” e ne ha desunto la necessità di tenere conto delle peculiarità dei molteplici contesti organizzativi ai fini dell’assolvimento dell’onere del datore di lavoro di specificare le esigenze sostitutive nel contratto di lavoro a tempo determinato. In conseguenza, l’apposizione del termine per “ragioni sostitutive” è stata ritenuta legittima anche quando, avuto riguardo alla complessità di certe situazioni aziendali, l’enunciazione dell’esigenza di sopperire all’assenza momentanea di lavoratori a tempo indeterminato sia accompagnata dall’indicazione, in luogo del nominativo, di elementi differenti, quali l’ambito territoriale dell’assunzione, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni e il diritto alla conservazione del posto dei dipendenti da sostituire, che permettano ugualmente di verificare l’effettiva sussistenza e di determinare il numero di questi ultimi (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze n. 1576 e n. 1577 del 2010, cit.).

In tal senso, le sentenze della Corte di cassazione hanno dato una lettura coerente con le decisioni di questa Corte. Con esse si è voluto soltanto garantire pienamente la trasparenza e la veridicità della causale e la sua successiva verificabilità in caso di contestazione….”;

dunque, va confermata la giurisprudenza di questa Corte, nel senso che la specificità della causale, valida per l’assunzione di personale a tempo determinato, deve essere debitamente verificata in concreto dal giudice di merito adito, sicchè l’onere di specificazione delle ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa di apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa, ma in un quadro caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico, che si riflette poi sulla relatività della verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto (cfr. sul punto, tra le altre, la motivazione di Cass. lav., ordinanza n. 26582/17 in data 27/04 – 09/11/2017. V. altresì per un caso molto simile a quello qui in esame la sentenza di questa Corte n. 10009/16 in data 24/02 – 16/05/2016, che rigettava analogo ricorso, però contro FINDOMESTIC BANCA S.p.a., avverso la sentenza della CORTE di merito, che aveva riformato la gravata pronuncia, con il rigetto della domanda di un lavoratore assunto dalla Banca Findomestic con contratto a tempo determinato, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 in sostituzione della dipendente, nominativamente indicata, assente con diritto alla conservazione del posto, per cui anche nella specie il rapporto avrebbe avuto scadenza il giorno precedente al termine della assenza della lavoratrice e comunque, nel caso di risoluzione, per qualunque motivo, del rapporto di lavoro della predetta. Nel contratto si precisava, in via ulteriore, che la sostituzione sarebbe continuata anche in caso di assenza della lavoratrice sostituita, per una diversa causa che prevedesse il suo diritto alla conservazione del posto. La Corte distrettuale aveva posto a fondamento del proprio argomentare i seguenti rilievi: a) l’insussistenza del difetto genetico della causale apposta al contratto, in quanto indicata adeguatamente “per relationem”; b) la legittimità della protrazione del rapporto anche dopo la scadenza originaria del 3 dicembre 2007, posto che le parti avevano sancito che il rapporto si sarebbe concluso solo all’esito della cessazione, senza soluzione di continuità, delle assenze della dipendente sostituita, sicchè il comportamento assunto dalle stesse dopo l’indicato termine, non bastava “ad attestare il contrarius consensus delle parti”. Con il primo motivo il ricorrente principale aveva, quindi, dedotto la violazione e la falsa applicazione del Decreto n. 368 del 2001, art. 1 non avendo rilevato la Corte territoriale il vizio della causa contrattuale, non assistita dal requisito di specificità richiesto ex lege, sia con riferimento alla definizione delle ragioni sostitutive, sia con riferimento alla data di scadenza del contratto, rimasta assolutamente indefinita. Con il secondo mezzo di impugnazione era stata pure denunciata violazione e falsa applicazione dello stesso Decreto n. 368, art. 1 poichè la Corte distrettuale, nel ritenere sufficientemente definita la causa sottesa al contratto inter partes, aveva fatto riferimento alla giurisprudenza di legittimità che – pur affermando la necessità di specificazione delle ragioni sostitutive correlata alla finalità di assicurare trasparenza e veridicità della causa della apposizione del termine – aveva ritenuto legittima la causa indicata per relationem, esclusivamente nelle ipotesi concernenti situazioni aziendali complesse in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona bensì ad una funzione produttiva specifica, donde la non pertinenza dei dicta giurisprudenziali invocati a sostegno della decisione impugnata, vertendosi, nella fattispecie, in una situazione aziendale elementare, con sostituzione non riferita ad una determinata funzione produttiva, bensì ad una singola dipendente. Con la terza censura era stata denunciata la omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione dell’art. 1344 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè nullità della sentenza per omessa pronuncia circa una domanda del giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il quarto motivo era stata, invece, dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 e dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.. Orbene, la succitata pronuncia n. 10009/16 ha in primo luogo evidenziato come la rigidità della previgente disciplina in materia di lavoro a tempo determinato sia andata progressivamente affievolendosi: dapprima con la L. n. 56 del 1987, art. 23; successivamente con il D.Lgs. n. 368 del 2001 di attuazione della direttiva 1999/70/CE che nell’intento di pervenire ad una nuova e diversa politica di più accentuata flessibilità del mercato del lavoro e così di seguito. Nella specie il caso specifico esaminato rientrava nella sfera di disciplina dettata dal Decreto n. 368, prima delle modifiche poi apportate dalle L. n. 92 del 2012 e L. n. 78 del 2014, quindi così testualmente e codivisibilmente argomentando: “…In relazione alla disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, è stato, infatti, rimarcato come “in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datare di lavoro delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, abbia inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto”. Tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso “per relationem” ad altri testi scritti accessibili alle parti “(vedi Cass. 1-2-2010 n. 2279). Nell’ottica descritta si è altresì rilevato (vedi Cass. 27-4-2010 n. 10033) che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro – consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto – impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione… Spetta poi al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, attraverso la valutazione di ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine. A conforto di quanto sinora esposto, va evidenziato che il legislatore, prescrivendo l’onere di specificazione delle ragioni sostitutive per poter assumere lavoratori a tempo determinato, ha imposto una regola di trasparenza, precisando che occorre dare giustificazione della sostituzione del personale assente con diritto alla conservazione del posto con una chiara indicazione della causa. In tale prospettiva, il criterio della identificazione nominativa del personale sostituito è stato ritenuto certamente il più semplice e idoneo a soddisfare l’esigenza di una nitida individuazione della ragione sostitutiva, ma non l’unico, non escludendosi la legittimità di criteri alternativi di specificazione, semprechè essi siano rigorosamente adeguati allo stesso fine e saldamente ancorati a dati di fatto oggettivi (vedi sentenza Corte Costituzionale n. 107 del 2013). Da ultimo non può sottacersi che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, esprimendosi sulla compatibilità comunitaria della normativa in oggetto (sentenza del 24 giugno 2010, in causa C-98/09), ha riaffermato il principio che anche il primo ed unico contratto a termine rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE e dell’accordo quadro ad essa allegato; correlativamente, la stessa Corte ha riconosciuto che un intervento del legislatore nazionale come quello in questione, ancorchè elimini l’obbligo datoriale d’indicare nei contratti a tempo determinato, conclusi per sostituire lavoratori assenti, il nome di tali lavoratori e i motivi della loro sostituzione e prescriva, in sua vece, la specificazione per iscritto delle ragioni del ricorso a siffatti contratti, non solo è possibile, ma neppure viola la clausola della direttiva n. 8.3., che vieta una riduzione del livello generale di tutela già goduto dai lavoratori. Ciò detto, deve rilevarsi che la Corte distrettuale correttamente ha vagliato la clausola apposta al contratto di lavoro inter partes, ritenendola coerente con le linee tracciate dal descritto assetto normativo, come delineato alla luce dei dicta giurisprudenziali ai quali si è fatto richiamo e negando il vizio genetico del negozio.

La pattuizione prevedeva che il contratto stipulato in data 15/1/2007, sarebbe stato a tempo determinato D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 (nella versione di testo anteriore alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 133 del 2008, che legittimava il ricorso al lavoro a termine anche per ragioni “riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro”), testualmente, per la “sostituzione della nostra dipendente M., assente dal lavoro con diritto alla conservazione del posto. In conformità al disposto del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 il rapporto avrà scadenza in chiusura del giorno precedente a quello in cui cesserà l’assenza della lavoratrice da Lei sostituita e comunque nel caso in cui cesserà l’assenza della lavoratrice da Lei sostituita e comunque nel caso in cui venga a cessare, per qualsiasi motivo, il rapporto di lavoro della sig.ra —-. Quanto sopra, fermo restando che Lei continuerà ad eventualmente sostituire la lavoratrice suddetta, a termini del predetto D.Lgs. n. 6 settembre 2001, n. 368, art. anche nell’ipotesi in cui, durante la richiamata assenza, per una diversa causa, sempre comunque tra quelle che prevedano il diritto alla conservazione del posto”. Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte territoriale sulla delibata questione sono conformi a diritto, giacchè l’assetto contrattuale reca adeguata indicazione della causa sostitutiva, oltre al nome del lavoratore sostituito, palesandosi idonea ad evidenziare la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze che la stessa era chiamata a realizzare, oltre alla utilizzazione del lavoratore assunto nell’ambito della ragione indicata ed in stretto collegamento con essa (vedi in tali sensi, Cass. 12-1-2015 n. 208). Nell’ottica descritta, non appaiono, dunque, condivisibili le doglianze formulate da parte ricorrente in relazione alla omessa indicazione in sede contrattuale, delle ragioni sottese alla sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, nè del termine finale del rapporto, che ridonderebbe in termini di genericità della clausola appositiva del termine. E’ bene ricordare che questa Corte, in fattispecie disciplinata ratione temporis, dalla L. n. 230 del 1962, ha affermato il principio alla cui stregua “nel caso di assunzione a termine ai fini della sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, è legittima la fissazione di un termine determinato con riferimento alla non prefissata data di rientro del lavoratore sostituito (termine “incertus quando”), così come la prosecuzione del rapporto in occasione del mutamento del titolo dell’assenza indicato nel contratto è legittima, e non determina la trasformazione del medesimo a tempo indeterminato, semprechè anche per la nuova causale sia consentita la stipulazione dei contratto a termine (vedi Cass. 23-1-1998 n. 625). Il condiviso orientamento ha rinvenuto conferma anche in successivi approdi della giurisprudenza di legittimità (vedi Cass. 11-7-1998 n. 6784) secondo cui con riguardo alla disciplina del contratto a termine posta dalla L. n. 230 del 1962, è legittima la fissazione di un termine mediante indicazione, anzichè di una data determinata, di un evento futuro previsto come di certa realizzazione “certus an” e tuttavia non determinabile quanto al momento del suo esatto verificarsi “incertus quando”. Può dunque, ribadirsi (cfr. Cass. 7-8-2003 n. 11921) che l’assunzione di un lavoratore allo scopo di sostituire temporaneamente un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro può avvenire con la fissazione di un termine finale al rapporto, o anche con l’indicazione di un termine per relationem, con riferimento al ritorno in servizio del lavoratore sostituito – così come verificatosi nella fattispecie qui scrutinata – con la precisazione che tale indicazione, resa da questa Corte in relazione a tipologie contrattuali disciplinate ratione temporis, dai più rigidi dettami della L. n. 230 del 1962, è oltremodo pregnante in relazione ad un compendio normativa quale quello del D.Lgs. n. 368 del 2001 con il quale si è recepita la direttiva CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e si sono ampliate le ragioni legittimanti l’assunzione a termine, con superamento della tassatività delle ipotesi previste dalla pregressa normativa abrogata. Le esposte considerazioni, valgono altresì a superare le ulteriori doglianze formulate dal ricorrente con riferimento alla disapplicazione da parte dei giudici del gravame, dei dettami di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 (secondo cui – comma 1. “Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell’art. 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto…”);

nel caso in esame, pertanto, non appare in linea con gli anzidetti principi di diritto l’applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, operata dalla Corte di merito circa l’asserito difetto di specificità e di temporaneità della clausola apposta al contratto di lavoro in esame, non emergendo dalla pronuncia impugnata una compiuta considerazione, corretta in diritto, di tutti gli elementi indicati nel contratto individuale e considerati come significativi dalla richiamata giurisprudenza;

pertanto, il ricorso va accolto nei sensi di cui sopra, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla stessa Corte palermitana, in diversa composizione, che verificherà la legittimità del termine apposto al contratto, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità;

essendo risultata, infine, fondata l’impugnazione de qua, non ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte ACCOGLIE il ricorso nei sensi di cui alla motivazione che precede. CASSA, per l’effetto, l’impugnata sentenza e RINVIA, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della NON sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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