Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24759 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/10/2017, (ud. 24/05/2017, dep.19/10/2017),  n. 24759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26888-2012 proposto da:

G.B. C.F. (OMISSIS), D.I.F. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OTTAVIANO 66, presso lo

studio dell’avvocato ENRICO ROSSI, rappresentati e difesi

dall’avvocato ANDREA BAVA, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 668/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 07/09/2012 R.G.N. 63/2012.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza depositata il 7.12.2012 la Corte di Appello di Genova, confermando la decisione del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda proposta da D.I.F. e G.B. per la declaratoria di illegittimità delle procedura di interpello indette dall’Agenzia delle Dogane nel corso dell’anno 2006 per il conferimento di incarichi dirigenziali in via provvisoria ed urgente, con conseguente rigetto delle domande risarcitorie, in considerazione dell’accertato rispetto dei criteri di buona fede e correttezza che presidiano le determinazioni dell’amministrazione che agisce come datore di lavoro privato, nel libero esercizio del suo potere discrezionale; che avverso tale sentenza D.I. e G. ha proposto ricorso affidato a un motivo;

che l’Agenzia delle Dogane ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che i ricorrenti, nel denunciare violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, nonchè vizio di motivazione, assumono che la sentenza impugnata ha ritenuto sufficiente una motivazione dei provvedimenti negativi assunti dall’Agenzia incentrata sulla sola idoneità e asserita meritevolezza del singolo candidato, priva di elementi comparatistici con tutti gli altri candidati ritenuti preferibili, soggetti enormemente meno esperti e dotati di semplice diploma di scuola media inferiore;

che ritiene il Collegio inammissibile il ricorso in quanto i ricorrenti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 nella parte in cui il giudice del merito ha accertato, alla luce della documentazione prodotta, il rispetto dei principi di correttezza e buona fede da parte dell’amministrazione, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertata e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva;

che, invero, la Corte distrettuale ha verificato, con congrua valutazione sia sotto l’aspetto logico-formale che della correttezza giuridica, che la scelta – di natura discrezionale – dei dipendenti a cui affidare gli incarichi è stata motivata dall’Amministrazione, che “ha esplicitato l’iter logico seguito per l’individuazione dei funzionari ritenuti più idonei esaminando direttamente anche i profili professionali degli appellanti” (pag. 8 sentenza impugnata), “senza che le ragioni di fatto addotte per la maggior parte motivate da competenze specifiche rispetto all’ufficio da ricoprire – siano risultate inveritiere e senza incontrare sul punto specifica censura nemmeno da parte degli appellati i quali, in definitiva, finiscono per collegare apoditticamente la violazione degli obblighi di imparzialità, correttezza e buona fede, al solo fatto di non essere stati confermati in incarichi di natura dirigenziale ovvero di essere risultati recessivi rispetto a lavoratori meno anziani o con deteriori titoli di studio”; che la Corte distrettuale ha, pertanto, applicato i principi affermati da questa Corte con riguardo alla natura di determinazione negoziale dell’atto di conferimento di incarico dirigenziale e al rispetto dei criteri di buona fede e correttezza esplicitati con valutazioni comparative motivate, senza alcun automatismo della scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro (cfr. da ultimo Cass. n. 18972 del 24/09/2015);

che il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod. proc. civ.;

che non sussistono la condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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