Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24759 del 05/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 05/12/2016), n.24759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20791/2015 proposto da:

V.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO

CENTORRINO, giusta mandato speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

Presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13812/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA del 26/03/2014, depositata il 18/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

V.D. ricorre contro l’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, per la revocazione della sentenza di questa Corte n. 13812/2014, con la quale è stato respinto il ricorso con del contribuente avverso la sentenza n. 144/2008 della CTR della Sicilia – sez. dist. di Messina, avente ad oggetto la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

La Corte richiamava il consolidato orientamento del giudice di legittimità, cui si intendeva dare continuità in assenza di valide ragioni per dicostarsene, secondo cui, nel silenzio della L. n. 289 del 2002, in materia di condono, era consentito al contribuente che avesse ricevuto la notifica di un atto di accertamento nei 60 gg. precedenti il 31.12.2002, proporre istanza di accertamento con adesione D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6.

Se però l’accertamento con adesione non si fosse perfezionato, nè fosse intervenuta la definizione dell’avviso di accertamento, il contribuente avrebbe dovuto impugnare l’atto impositivo entro il termine perentorio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1, a decorrere dalla data di cessazione del periodo di sospensione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 8, dovendo escludersi che il termine di 90 gg., di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 3, potesse iniziare a decorrere dopo la scadenza di quello di cui al menzionato L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 8 e che potesse configurarsi un cumulo delle sospensioni sopra menzionate.

In forza di ciò la Corte confermava la pronuncia di inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso.

Il ricorrente assume che la sentenza qui impugnata sarebbe viziata da errore di calcolo ed errore di fatto, ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4), consistenti nell’aver omesso di rilevare la tempestività del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, in quanto l’avviso di accertamento, notificato al contribuente il 10 ottobre 2002 e per il quale era stata proposta, in data 5 dicembre 2012, istanza di accertamento con adesione, si trovava al 31 dicembre 2002 in pendenza dei termini per ricorrere.

Considerato che in data 1 gennaio 2003 iniziava a decorrere la sospensione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 8, originariamente stabilita fino al 18.3.2003 e poi prorogata diverse volte sino al 19.4.2004, il ricorrente avrebbe ben potuto avvalersi della sospensione dei termini fino alla data suddetta del 19.4.2004, anche senza il cumulo delle diverse tipologie di sospensione.

Il motivo è inammissibile in quanto si risolve nella contestazione di un errore di giudizio, concernente un motivo di ricorso specificamente esaminato e valutato nella sentenza della quale è chiesta la revocazione.

Ed invero, come risulta dal ricorso per cassazione proposto dal contribuente avverso la sentenza della CTR della Sicilia n. 144/2008, riportato nel corpo del presente ricorso, la questione posta alla Corte di cassazione nella sentenza di cui si chiede la revocazione era appunto quella avente ad oggetto l’applicabilità della sospensione dei termini per la proposizione del ricorso, di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 8, in combinato disposto con l’art. 15, comma 1 stessa legge, agli avvisi di accertamento, quale quello in esame, per i quali alla data di entrata in vigore della stessa legge (1.1.2003), i termini suddetti non erano ancora spirati.

Su tale questione la Corte ha esattamente indicato in premessa i dati del ricorso originario rilevando che ” l’avviso di accertamento fu notificato il 10.10.2002, il contribuente presentò istanza di accertamento con adesione il 5.12. 2002 ed il 15.4. 2003 notificò il ricorso avverso il suddetto avviso”.

Ciò premesso, la Corte ebbe appunto a pronunziarsi sulla questione posta con il ricorso per cassazione, escludendo l’applicabilità della sospensione dei termini e ritenendo, conseguentemente, sulla base dei dati indicati in premessa, la tardività del ricorso.

Il vizio dedotto dal ricorrente non è dunque riconducibile al paradigma dell’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4), il quale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, oltre a presentare i caratteri di evidenza ed obiettività (cfr. ex multis Cass. 4456/2015), non deve aver costituito punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato.

P.Q.M.

La. Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio che liquida in 1.500,00 Euro per compensi oltre a rimborso spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2016

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