Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24757 del 15/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 15/09/2021), n.24757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3901-2019 proposto da:

T.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6,

presso lo studio dell’avvocato ADOLFO DI MAJO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO TRENTINO PER L’EDILIZIA ABITATIVA SPA (ITEA SPA), in persona

del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato PAOLO STELLA RICHTER, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLA MATASSONI,

LUIGI DE FINIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22104/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata l’11/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 31/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCALIA

LAURA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 23866 del 2015 questa Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla signora T.I. così confermando la statuizione con cui la Corte di appello di Trento aveva ritenuto che il prezzo della cessione bonaria della proprietà immobiliare della prima, intervenuta in favore dell’Istituto Trentino Edilizia Abitativa (ITEA), dovesse stimarsi secondo i criteri di determinazione della indennità di esproprio giusta L. n. 31 del 1972 e quindi, secondo previsione di cui all’art. 28, “al costo della costruzione”, e non invece secondo il più favorevole criterio del “valore di mercato” previsto dalla successiva L. provinciale n. 6 del 1993, applicabile ratione temporis alla fattispecie.

2. Con successiva sentenza, pronunciata in pubblica udienza e rubricata al n. 22104 del 2018, ancora questa Corte ha rigettato la revocazione proposta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 391-bis c.p.c. e all’art. 395 c.p.c., n. 4, dalla signora T.I. avverso la sentenza n. 23866 cit.

E’ stata rigettata la domanda di revocazione proposta dalla signora T. nell’apprezzata insussistenza degli estremi dell’errore di fatto o di percezione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, come richiamato dall’art. 391-bis c.p.c.

Siffatto errore non poteva rinvenirsi infatti nell’omessa individuazione – contestata dalla ricorrente quanto alla sentenza n. 23866 del 2015 – della norma applicabile ratione temporis ai fini della decisione, nella ritenuta natura valutativa dell’operazione, né ancora in un fatto risultato pacifico in atti, emergente dalla documentazione acquisita ed in ogni caso esito di un’attività interpretativa o di una complessiva valutazione delle deduzioni delle parti e, comunque, fondato su documenti estranei al giudizio di legittimità.

4. La signora T. ricorre ancora ex art. 395 c.p.c., n. 4, con due motivi, illustrati da memoria, avverso la sentenza emessa in sede di prima revocazione. Resiste con controricorso l’Istituto Trentino per l’Edilizia Abitativa S.p.A.

5. Con il primo motivo la ricorrente deduce l’errore di fatto in cui la sentenza n. 22104 del 2018, pronunciata in sede di revocazione, è incorsa là dove ha qualificato la censura della ricorrente: a) nella parte motiva, come “omessa considerazione, sotto il profilo del diritto intertemporale, degli interventi del legislatore provinciale che avrebbero inciso sulla portata iniziale di una determinata disposizione” (e quindi del testo della L. provinciale n. 31 del 1972 così come modificato nella sua versione originaria); b) nella parte dispositiva, in modo contraddittorio, in termini di “ipotizzato travisamento” di un testo normativo.

Il “travisamento”, si deduce in ricorso, vuol dire alterazione della realtà là dove invece l’omessa considerazione di un testo di legge modificato” realizza l’aver ignorato che il testo di legge era stato successivamente modificato.

6. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere l’errore di fatto in cui è incorsa la sentenza n. 22104 pronunciata da questa Corte in sede di revocazione per avere, da una parte, preso atto, in motivazione, del carattere incontestato del fatto integrato dai criteri applicati per la determinazione del prezzo di esproprio del fabbricato in proprietà della ricorrente – come risultante dalla documentazione acquisita in base ad atti del tutto interni al giudizio di legittimità – ed avere, poi, nella parte dispositiva, rigettato il ricorso perché attinente ad un’attività interpretativa destinata a collocarsi “in un versante opposto dell’errore costituente vizio revocatorio”.

In tal modo i giudici della prima revocazione avrebbero ribadito, secondo quanto già ritenuto nella sentenza n. 23866 del 2015 impugnata per revocazione, come indimostrate da parte della ricorrente le modalità secondo le quali era stato determinato il prezzo di esproprio a lei pagato dall’Istituto.

I precedenti di questa Corte di cassazione sulla non suscettibilità di ordinanze e sentenze adottate in sede di legittimità di una nuova impugnazione per revocazione, ex art. 403 c.p.c., contrasterebbero con il principio del “giusto processo” la cui applicazione, invece, non consentirebbe proprio il passaggio in “cosa giudicata” di pronunzie viziate da errore di fatto.

7. Nelle rassegnate conclusioni, la ricorrente chiede quindi, in via principale, la cassazione della sentenza impugnata perché viziata da errore di fatto, sollecitando a questa Corte l’assunzione della decisione nel merito, ed in via subordinata, ove non ritenuta manifestamente infondata, chiede rimettersi la causa alla Corte costituzionale, eccependo l’incostituzionalità dell’art. 403 c.p.c., comma 1, ove “interpretato nel senso che esso esclude l’impugnativa della sentenza di cassazione resa in sede di revocazione, anch’essa risultante viziata per errore di fatto, in quanto recante principio contrario a quello di uguaglianza e di pari trattamento di situazioni simili, quali rappresentate da decisioni, entrambe, viziate, da “errori di fatto”.

8. Nell’ordine logico delle prospettate questioni va preliminarmente delibata quella di legittimità costituzionale dell’art. 403 c.p.c., comma 1, sollevata dalla ricorrente per violazione del principio di cui all’art. 3 Cost.

Nella prospettazione difensiva si avrebbe che, là dove non venisse consentito l’accesso al rimedio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, rispetto a sentenza che, resa in sede di revocazione, risulti viziata per errore di fatto, sarebbe violato il principio di uguaglianza.

La questione è manifestamente infondata.

Il principio di uguaglianza formale di cui all’art. 3 Cost., comma 1, secondo il quale situazione eguali devono ricevere il medesimo trattamento, non è correttamente invocato a sostegno del sollevato dubbio di legittimità costituzionale a fronte di situazioni non omogenee quali sono quelle definite dalle distinte ipotesi in cui l’accertamento su di un errore di fatto sia stato condotto, o meno.

Il valore del principio è recessivo rispetto all’esigenza di pervenire attraverso la formazione del giudicato – sul cui percorso si colloca con carattere ostativo la sollecitata ammissibilità di una nuova impugnazione della sentenza emessa in sede di revocazione -alla stabilità dell’accertamento e tanto nel rispetto stesso della funzione assolta dall’esercizio della giurisdizione.

Il principio della certezza del diritto, inteso come sicurezza e stabilità dei rapporti giuridici, pur non ricevendo espressa consacrazione in norme costituzionali, ben può essere desunto implicitamente e con la stessa forza a partire da disposizioni codicistiche, quali l’art. 324 c.p.c. o l’art. 2909 c.c., esprimendo esso un valore connesso all’idea stessa dello Stato, il quale viene chiamato all’esercizio delle sue funzioni fondamentali e, tra queste, di quella giurisdizionale innanzitutto.

A tanto si correla l’ulteriore e convergente esigenza che il processo rispetti – insieme al contraddittorio, la motivazione e la ricorribilità dei provvedimenti – anche l’obbligo di ragionevole durata, con chiaro riferimento all’esercizio della funzione giurisdizionale, su cui trova fondamento e definizione il “processo giusto” di cui all’art. 111 Cost., comma 2, rispetto al quale resta ancora soccombente l’invocato principio di uguaglianza da riservarsi, nel trattamento, ad identiche situazioni.

L’evidenza dedotta che la sentenza resa in sede di giudizio di revocazione sia affetta essa stessa, come già la precedente con il medesimo mezzo impugnata, da errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, ferma l’impropria deduzione della violazione del principio di uguaglianza, non legittima il sacrificio dei principi della stabilità dell’accertamento e con esso della certezza dei rapporti giudici e del giusto processo, significante per i contenuti della ragionevole durata nell’evidenza che un controllo di legittimità vi è comunque stato.

9. Nella manifesta infondatezza della sollevata questione di illegittimità costituzionale, il ricorso è nel resto inammissibile in applicazione dell’art. 403 c.p.c., comma 1, che stabilisce che “non può essere impugnata per revocazione la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione”.

Secondo pacifica giurisprudenza di legittimità all’esegesi dell’indica disposizione si accompagna il rilievo che le sentenze e le ordinanze ex art. 380-bis c.p.c., emesse dalla Corte di cassazione nel giudizio di revocazione non sono suscettibili di una nuova impugnazione per revocazione, essendo esauriti i mezzi di impugnazione ordinari con l’ulteriore rilievo che contro le stesse non può proporsi il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., esperibile solo avverso un provvedimento di merito avente carattere decisorio e non altrimenti impugnabile.

Il principio di effettività del giudizio di Cassazione, derivante dall’art. 111 Cost., comma 7, implica che tale rimedio non è utilizzabile quando il controllo di legittimità sull’oggetto del giudizio sia stato già svolto dalla Suprema Corte, dovendo prevalere, in tal caso, l’esigenza di assicurare che il processo giunga a conclusione in tempi ragionevoli, ex art. 111 Cost., comma 2 (Cass. n. 21019 del 2016; Cass. n. 5294 del 2014).

10. Il ricorso è conclusivamente inammissibile.

Spese liquidate secondo soccombenza come da dispositivo nella media dei valori di cui al D.M. n. 37 del 2018, per le attività svolte.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto (ex Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente T.I. a rifondere all’Istituto Trentino Edilizia Abitativa, ITEA S.p.a. le spese di lite che liquida in Euro 8.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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