Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24756 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/10/2017, (ud. 16/05/2017, dep.19/10/2017),  n. 24756

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25919-2015 proposto da:

SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona

dei Commissari Liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che

la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

S.M.;

– intimata –

Nonchè da:

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

DELL’OROLOGIO, 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MORESCHINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO PALMIGIANO, giusta

delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1184/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 29/07/2015, R. G. N. 1951/2012.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, S.M., quale dipendente della SICILCASSA S.p.a., propose opposizione allo stato passivo della SICILCASSA S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, chiedendo l’ammissione in via privilegiata della somma di Lire 53.141.912, a titolo di riscatto della propria posizione individuale contributiva, costituita dai contributi versati al F.I.P. (Fondo integrativo pensioni per il personale SICILCASSA), oltre interessi e rivalutazione monetaria su detta somma;

che, con sentenza del 28/9/2012, il Tribunale ammetteva al passivo della liquidazione coatta amministrativa della SICILCASSA S.p.a. il credito vantato da S.M. per un importo pari ad Euro 42.776,73, come da espletata ctu;

che, avverso la suindicata sentenza interpose appello la SICILCASSA S.p.a.;

che, la Corte d’appello di Palermo con sentenza del 29/7/2015, in parziale riforma della decisione di primo grado, dispose la riduzione dell’importo del credito vantato da S.M. determinandolo in Euro 27.758,64, e confermando per il resto la pronuncia di prime cure;

che, la decisione di secondo grado è stata assunta sulla base delle seguenti considerazioni: 1) il D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10 si applica anche ai fondi pensionistici preesistenti all’entrata in vigore (15 novembre 1992) della legge (delega) L. 23 ottobre 1992, n. 421, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali e quindi, non solo ai fondi a capitalizzazione individuale, ma anche a quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva – 2) sui crediti di lavoro dovuti al dipendente di imprenditore dichiarato fallito è dovuta la rivalutazione monetaria anche in riferimento al periodo successivo all’apertura del fallimento, ma soltanto fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo, mentre gli interessi legali sui crediti privilegiati di lavoro nella procedura fallimentare, ai sensi dell’art. 54, comma 3 e art. 55, comma 1, della L.F, sono dovuti senza il limite predetto, dalla maturazione del titolo al saldo;

che, la SICILCASSA S.p.a., previa espressa acquiescenza al primo capo della sentenza d’appello, concernente il riconosciuto diritto dell’iscritto al F.I.P., alla restituzione dell’intera contribuzione affluita al Fondo aziendale, ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza affidandosi a tre motivi;

che, resiste con controricorso S.M., che propone, a sua volta ricorso incidentale affidandosi ad un unico motivo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, il ricorso principale è articolato in tre motivi;

che, con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la sentenza omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello con il quale veniva censurata la pronuncia di primo grado che aveva attribuito alla S. la rivalutazione monetaria in concorso con gli interessi sul credito da quest’ultima vantato in sede di opposizione allo stato passivo;

che, con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c., comma 3, in quanto, illegittimamente, la Corte territoriale avrebbe attribuito natura retributiva al credito per prestazioni spettanti nei confronti di un fondo integrativo di fonte contrattuale, con conseguente diritto al cumulo di interessi e rivalutazione monetaria;

che, con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 80 T.U.B. e art. 55 L.F., per avere la Corte territoriale ammesso allo stato passivo il credito vantato dalla S. riconoscendogli natura di privilegio ex art. 2751 bis c.c., pur non possedendo detto credito natura retributiva;

che, ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;

che, infatti,per quanto attiene al primo motivo, la censura, di omessa pronuncia in ordine alla riconoscibilità del cumulo tra interessi e rivalutazione, dedotta dal ricorrente principale s’appalesa manifestamente infondata, atteso che sulla tematica generale in riferimento, la Corte d’appello, richiamando un precedente di legittimità, si è così espressa: “alla luce della sentenza n. 204 del 1989 della Corte costituzionale, sui crediti di lavoro dovuti al dipendente di imprenditore dichiarato fallito è dovuta la rivalutazione monetaria anche in riferimento al periodo successivo all’apertura del fallimento, ma soltanto fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo, mentre gli interessi legali sui crediti privilegiati di lavoro nella procedura di fallimento, ai sensi dell’art. 54, comma 3 e art. 55, comma 1, della legge fall., sono dovuti, senza il limite predetto, dalla maturazione del titolo al saldo”;

che, tale passaggio motivazionale racchiude in sè un rigetto implicito della declaratoria di illegittimità del cumulo tra interessi legali e rivalutazione dedotta dalla Sicilcassa s.p.a. in sede di gravame d’appello, in quanto fissa una differente tempistica di decorrenza finale, all’interno della procedura fallimentare, degli interessi legali rispetto alla rivalutazione, e quindi, con riconoscimento indiretto del diritto al cumulo di interessi e rivalutazione;

che, in effetti nel caso di specie si è in presenza dell’istituto di derivazione giurisprudenziale del cosiddetto assorbimento improprio, figura, quest’ultima, che opera, quando la pronuncia assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (cfr. Cass. n. 28663 del 2013), ed a ciò consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale), in quanto in realtà, la decisione assorbente consente di individuare la decisione implicita;

che, parimenti infondato risulta il secondo motivo del ricorso principale;

che, al riguardo, giova richiamare un orientamento consolidato di questa Corte (Cass. n. 20717 del 2015 e 20526 del 2015), formatosi su fattispecie del tutto analoghe a quella in trattazione, secondo il quale la soluzione al problema che qui occupa, e relativo all’applicabilità del cumulo degli interessi e della rivalutazione al credito maturato dal lavoratore con riguardo alle somme versate nei fondi integrativi, non può trovare soluzione, semplicemente, nelle differenze sussistenti tra la previdenza obbligatoria (ex lege) e la previdenza integrativa o complementare (ex contractu), o nella natura retributiva o previdenziale dei versamenti effettuati in favore dei fondi di previdenza (problematica,peraltro, non più in discussione a partire dalla sentenza del 9 marzo 2015, n. 4684 delle Sezioni Unite di questa Corte, che ha ribadito il carattere previdenziale dei versamenti effettuati a favore dei fondi di previdenza integrativa o complementare);

che, invece, la questione trova coerente soluzione nel duplice dato letterale contenuto nella L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 16, comma 6, nella parte in cui prevede, nel primo periodo, l’obbligo per “gli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria” di pagare gli interessi legali in caso di ritardo, oltre il termine fissato dalla legge, nell’adempimento delle “prestazioni dovute”, disposizione, quest’ultima che costituisce il presupposto per la statuizione contenuta nel secondo periodo, ossia per l’operatività del divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria;

che, il primo dato ricavabile dalla relativa formulazione della norma è riferibile a prestazioni erogate da “enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria”, e, di conseguenza,il debitore va individuato non già in un qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, qualunque sia la natura di quest’ultima, ma in uno di quegli enti pubblici non economici ai quali la legge attribuisce una funzione di previdenza nei confronti di determinate categorie di soggetti (ritenuti meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 38 Cost. – così,Cass. Sez. Un., n. 14617 del 2002);

che, il secondo dato è costituito, dalla natura della prestazione, infatti, il riferimento, quanto alla decorrenza degli interessi, alla “data di scadenza del termine previsto per l’adozione del provvedimento sulla domanda”, induce ad interpretare la norma nel senso che le prestazioni debbono essere individuate in quelle erogate previa domanda dell’interessato, caratteristica questa che accede (soltanto) alle obbligazioni pecuniarie aventi natura previdenziale, e non anche a quelle aventi natura retributiva: solo i crediti previdenziali, in effetti, possono essere fatti valere dagli interessati, di norma, solo dopo che sia stata proposta un’apposita domanda all’ente di competenza e dopo che sia decorso un certo lasso temporale dalla medesima, mentre i crediti c.d. di lavoro e la relativa obbligazione sono esigibili nel momento stesso in cui matura il diritto;

che, di conseguenza, le prestazioni cui deve applicarsi il disposto della L. n. 412 del 1991, art. 16 non possono che essere, quelle riferentesi a crediti previdenziali vantati dagli assicurati nei confronti degli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria (Cass. Sez. Un. n. 14617/2002 – Cass. 21 ottobre 1997, n. 10355);

che, pertanto, avuto conto della natura privatistica del Fondo di previdenza della SICILCASSA S.p.a., e che le relative prestazioni non rientrano tra quelle a carattere obbligatorio, deve ritenersi non applicabile al caso di specie l’art. 16, comma 6, L.cit.;

che, di conseguenza, al di là della natura previdenziale del trattamento pensionistico integrativo del Fondo il divieto di cumulo d’interessi e rivalutazione monetaria deve intendersi riferibile, esclusivamente, ai crediti previdenziali vantati verso gli enti gestori di previdenza obbligatoria, e non è pertanto applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dal datore di lavoro;

che, il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile;

che, in merito, va evidenziato che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema di decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove, o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito e non rilevabili d’ufficio;

che, peraltro, qualora la questione sia stata già proposta, sia in primo grado che in appello, ed il giudice di merito non si sia pronunciato su di essa, la stessa, può essere fatta valere non sotto il profilo della violazione di legge, ma solo come violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., cioè sotto il profilo della omessa corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (Cass. n. 5582 del 2003);

che, nel caso in disamina non emerge dal contenuto della pronuncia di secondo grado alcun passaggio motivazionale che attesti Sta valutazione e considerazione della questione prospettata con il terzo motivo da parte della Corte d’appello, nè risulta dedotta censura per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., di conseguenza per le considerazioni che precedono va dichiarata l’inammissibilità del terzo motivo;

che, invece, risulta meritevole di accoglimento il ricorso incidentale articolato da S.M. su un unico motivo con cui si censura la riduzione della somma ammessa da Euro 42.776,73 a Euro 27.758,64;

che, infatti, premesso in generale, che nel rito del lavoro l’obbligo di specificazione della domanda è soddisfatto, anche, quando il ricorso introduttivo, pur senza una quantificazione specifica delle pretese creditorie, contenga, tuttavia, elementi utili per consentire al giudice di determinare il “quantum” della pretesa, o rimandi per la quantificazione a parametri di calcolo allegati agli atti, o all’espletamento di una ctu;

che, nella specie, dall’esame del ricorso introduttivo emerge, inequivocabilmente, che la ricorrente in primo grado ha, nelle conclusioni dell’atto introduttivo, espressamente, richiesto l’espletamento della ctu finalizzata a quantificare il credito dalla stessa vantato;

che, sulla base di tale ctu, il giudice di prime cure ha quantificato in Euro 42.776,73, il credito da ammettere allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della Sicilcassa s.p.a.;

che, pertanto, non appare viziata da ultra petizione la pronuncia adottata sul punto dal giudice di primo grado, atteso che il petitum azionato con la domanda rimandava per la quantificazione del credito all’espletamento della ctu, e per converso, risulta erronea, la declaratoria di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., emessa al riguardo dalla Corte d’appello;

che, alla stregua di quanto precede va rigettato il ricorso principale con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio; mentre, va accolto il ricorso incidentale, e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, viene accolta la domanda proposta da S.M. nei confronti della Sicilcassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e, decidendo nel merito, accoglie la domanda di S.M. nella misura di Euro 42.776,73 e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 4000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori per legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 1, comma 1 bis, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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