Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24755 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/10/2019, (ud. 21/02/2019, dep. 03/10/2019), n.24755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3722-2018 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SABOTINO 46,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO ROMANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA CERIELLO;

– ricorrente –

contro

U.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

SIMONA MERISI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4639/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. COSENTINO

ANTONELLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

L’avvocato P.D. ha proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Milano che ha rigettato il ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., nn. 1 e 4, da lui proposto avverso la sentenza n. 4396/14, con cui la medesima corte d’appello aveva respinto la sua domanda di condanna del ragionier U.A. al pagamento di una parcella di Euro 20.088,52 per prestazioni di assistenza legale svolte in suo favore dall’odierno ricorrente.

La sentenza n. 4396/14 aveva rigettato la domanda dell’avv. P. sul rilievo della intervenuta prescrizione presuntiva del diritto dell’attore al compenso professionale e tale rilievo, a propria volta, si fondava sulla dichiarazione del rag. U. di aver pagato le spettanze professionali dell’avv. P..

La domanda di revocazione rigettata con la sentenza qui impugnata si fondava sulla deduzione – che la corte territoriale ha ritenuto sfornita di prova – del dolo della parte, vale a dire del dolo del rag. U., consistente nell’avere costui falsamente dichiarato di aver pagato le spettanze professionali dall’avv. P.. In particolare nella domanda di revocazione si valorizzava la circostanza che la sig.ra Z.A., collaboratrice dell’avv. P., era stata assolta dall’imputazione di aver testimoniato falsamente che il rag. U. non aveva saldato le spettanze dell’avv. P..

Il rag. U. ha depositato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 21.02.2019, per la quale non sono state depositate memorie.

Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’avvocato P. denuncia la violazione dell’art. 395 c.p.c. e dell’art. 652 c.p.p. In particolare, il ricorrente si duole della statuizione determinante per il rigetto della sua domanda – di mancato raggiungimento della prova del dolo della parte (nella specie, del rag. U.) dedotto a fondamento della impugnazione per revocazione.

Il motivo va disatteso tanto con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, quanto con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Quanto alla denuncia di violazione di legge, il Collegio osserva quanto segue.

Con riferimento all’art. 395 c.p.c., n. 1, il ricorrente contesta l’affermazione della impugnata sentenza secondo cui in sede di merito egli non avrebbe “chiaramente indicato nè tantomeno provato il dolo”, avendo soltanto richiamato le affermazioni rese in giudizio dal rag. U., il quale, tuttavia, si era “limitato a negare la sussistenza di un debito nei propri confronti” (pagina 5, primo capoverso, della sentenza). Sostiene, per contro, il ricorrente di aver chiaramente indicato il dolo del rag. U. “con riferimento all’attività fraudolenta posta in essere affermando di aver pagato, e quindi invocando la prescrizione presuntiva” (pagina 7, primo capoverso, del ricorso). Al riguardo è sufficiente rilevare che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, la semplice allegazione di fatti non veritieri (come, nella specie, l’allegazione del rag. U. di aver pagato il proprio debito nei confronti dell’avvocato) non integra il dolo revocatorio (da ultimo, Cass. 26078/18); donde, l’infondatezza della censura riferita alla pretesa violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 1.

Per quanto poi concerne la doglianza relativa alla pretesa violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, si osserva che il ricorrente contesta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui nulla egli avrebbe specificato con riferimento all’errore di fatto che avrebbe viziato la sentenza impugnata per revocazione. La doglianza non può trovare accoglimento, perchè la sua formulazione si risolve nella mera riproduzione di uno stralcio dell’atto introduttivo dell’impugnazione per revocazione (pag. 8 del ricorso per cassazione), nel quale, peraltro, non si fa riferimento ad alcuna svista percettiva in cui sarebbe incorso il primo giudice nel dichiarare prescritto il

credito professionale dell’avvocato P., previo accertamento del decorso termine previsto dall’art. 2956 c.c.

Per quanto, infine, concerne la doglianza relativa alla pretesa violazione dell’art. 652 c.p.p., è sufficiente rilevare la non pertinenza del riferimento normativo invocato dal ricorrente, in quanto detta disposizione assegna alle sentenze penali irrevocabili di assoluzione pronunciate in seguito a dibattimento efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso; il presente giudizio, per contro, non è stato instaurato nei confronti della signora Z. e non ha ad oggetto alcuna pretesa restitutoria o risarcitoria derivante dal delitto di falsa testimonianza da cui la stessa è stata assolta.

Quanto alla doglianza riferita all’art. 360 c.p.c., n. 5, è sufficiente rilevare che la stessa non risulta formulata in conformità al vigente testo di tale disposizione, non indicando alcun fatto decisivo di cui la corte distrettuale avrebbe omesso l’esame.

Con il secondo motivo di ricorso, riferito anch’esso all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’avvocato P. impugna per violazione dell’art. 96 c.p.c. la statuizione di condanna per lite temeraria nei suoi confronti, motivata in ragione della pretestuosità del ricorso per revocazione nonchè per la palese e strumentale infondatezza del motivo di ricorso. Il secondo mezzo va pur esso disatteso, essendo l’apprezzamento del giudice di merito sulla temerarietà della lite non censurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; vale a dire, per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate dopo l’11.9.12, deducendo una doglianza, non proposta nel mezzo di ricorso in esame, di omesso esame di fatto decisivo (Cass. 19298/16: “in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo – per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 – il controllo di sufficienza della motivazione”).

Con il terzo motivo di ricorso, riferito anch’esso all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente impugna la pronuncia di condanna alle spese di lite per violazione dell’art. 91 c.p.c., chiedendone la riforma in conseguenza dell’accoglimento del presente ricorso per cassazione.

Il terzo mezzo non contiene censure nei confronti dell’impugnata sentenza ma si risolve nell’auspicio che all’accoglimento dei primi due mezzi di ricorso segua una revisione della statuizione sulle spese adottate in sede di merito. Esso non è dunque qualificabile come un mezzo di impugnazione per cassazione.

In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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