Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24753 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. II, 05/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 24031-2019 proposto da:

O.C., rappresentato e difeso dall’Avvocato Patrizia

Bortoletto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna n.

683-2019 in data 1 marzo 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – O.C., cittadino della (OMISSIS) nato il (OMISSIS), proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento in data 24 aprile 2016 con cui la Commissione territoriale di Bologna, sezione di Forlì-Cesena, aveva rigettato l’istanza per la concessione della protezione internazionale o della protezione umanitaria, in ragione della inattendibilità della narrazione dell’interessato, siccome inverosimile e non plausibile.

Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 7 dicembre 2016, respingeva il ricorso.

2. – La Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 1 marzo 2019, ha rigettato il gravame e condannato l’appellante alla rifusione delle spese processuali.

Preliminarmente, la Corte d’appello ha rilevato la novità della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, non proposta in primo grado, sicchè l’ha dichiarata inammissibile.

La Corte di Bologna ha quindi esposto che l’ O., il quale non dispone di alcun documento di identità, aveva narrato dinanzi alla Commissione territoriale:

di essere originario del villaggio di (OMISSIS), (OMISSIS), in (OMISSIS), dove lavorava in una fabbrica di alluminio;

che la popolazione del villaggio si rivoltò contro un potente di nome Ob.Uc., il quale ebbe a formare un corpo armato che massacrò la popolazione del villaggio medesimo; che in particolare la famiglia del richiedente è ricercata dagli uomini di Ob.Uc., posto che il padre dello stesso interessato, uno degli anziani del villaggio, si pose alla guida della rivolta; di essere fuggito in Libia, e da lì di essere stato imbarcato a forza da tre sconosciuti per l’Italia.

La Corte territoriale ha condiviso la valutazione di inattendibilità della narrazione dell’interessato, formulata dalla Commissione e dal giudice di primo grado, osservando:

– che la narrazione si presenta come eccessivamente generica, siccome priva di qualsivoglia riferimento alcuno sia locale che personale;

– che (OMISSIS) non è un villaggio retto dagli anziani, bensì una cittadina di oltre 30.000 abitanti con strutture istituzionali sviluppate, tra le quali un nutrito corpo di polizia;

– che l’Ob. – che non è un nominativo ma una onorificenza traducibile come signore del luogo – U. non ha reclutato un esercito personale con il quale vessare la popolazione, ma si è costituito ed è stato tratto in arresto, dopo essere stato invitato a comparire dalla locale autorità di polizia in relazione ad accuse di falso;

– che tale incontrastato arresto evidenzia l’assoluto controllo del territorio da parte dell’autorità, sicchè è mendace l’asserzione secondo la quale U. si sarebbe erto a signorotto locale assistito da un proprio piccolo esercito privato;

– che l’interessato ha mutato la propria versione dei fatti relativamente alla propria attività lavorativa, affermando avanti alla Commissione di lavorare in fabbrica, laddove avanti al giudice di primo grado ha sostenuto di svolgere attività di conducente di taxi.

Avendo giudicato inattendibili le dichiarazioni dell’ O. alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 la Corte di Bologna non ha proceduto ad alcun approfondimento istruttorio in punto di situazione interna della (OMISSIS).

Secondo la Corte felsinea, tale inattendibilità comporta anche la reiezione per motivi di merito dalla domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, non rilevando le buone prospettive di integrazione in Italia in mancanza del diritto di soggiornarvi.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna O.C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 luglio 2019, sulla base di un motivo.

Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ex art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione della Convenzione di Ginevra in materia di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), degli artt. 2, 10 e 32 Cost., dell’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dell’art. 11 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966, ratificati in Italia con L. n. 881 del 1977. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe svolto una inadeguata valutazione della situazione del Paese di origine dell’ O., al fine della verifica della sussistenza delle condizioni oggettive di danno grave per il riconoscimento della protezione sussidiaria, indicate al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c. Si sostiene che anche in presenza di dichiarazioni ritenute non credibili o non pertinenti il giudice avrebbe dovuto valutare la situazione del Paese di origine, potendo concedere comunque la protezione sussidiaria o il permesso per motivi umanitari. A tale riguardo il ricorrente riporta le principali fonti aggiornate sulla situazione (OMISSIS); e deduce che vi sarebbero numerosi indici fondanti il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, oltre alla situazione di estrema povertà del Paese: la fuga dal Paese con conseguente abbandono di tutta la famiglia e in generale della propria vita e individualità, le violenze subite durante la permanenza in Libia e il terribile viaggio sino all’arrivo in Italia. Inoltre la difesa dell’ O. prospetta di avere intrapreso sul territorio italiano un percorso di integrazione sociale che consente di ritenere sussistente quanto meno il diritto alla concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. – La complessiva censura è inammissibile.

2.1. – Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello, avendo giudicato inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva le dichiarazioni dell’ O., ha escluso di dover procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine.

La giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass., Sez. I, 16 aprile 2020, n. 7876) ha precisato il principio secondo cui le dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); invece, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal citato art. 14, lett. c.

Dunque, in tema di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel Paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, ma con una limitazione: sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass., Sez. I, 24 maggio 2019, n. 14283; Cass., Sez. I, 21 aprile 2020, n. 8000).

Ora, nella specie, la Corte d’appello non solo ha valutato negativamente l’attendibilità della narrazione dell’ O., ma ha anche espresso dubbi sulla reale provenienza dell’interessato dalla (OMISSIS): sia perchè costui non dispone di alcun documento di identità, sia perchè lo stesso si è limitato a riferire, peraltro malamente, notizie pubblicate da organi di stampa on line, dunque accessibili a chiunque.

Questa statuizione della Corte d’appello – ossia l’investire il giudizio di non credibilità anche il fatto stesso della provenienza del richiedente dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c), cit. – non è attinta dalla censura del ricorrente.

Di qui l’inammissibilità della doglianza, posto che essa non pone in discussione quel giudizio negativo sulla credibilità dell’ O. in ordine alla sua reale provenienza dalla (OMISSIS), che costituisce la premessa del mancato approfondimento istruttorio officioso da parte della Corte territoriale.

2.2. – Del pari inammissibile è il motivo di ricorso riferito alla protezione umanitaria.

E’ evidente, infatti, che l’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolgono un ruolo importante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel Paese di origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del Paese di origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass., Sez. I, 26 febbraio 2020, n. 5191).

Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi, di per sè, al percorso di integrazione intrapreso dall’ O. in Italia. Questa Corte ha infatti chiarito (Cass., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Nella specie la Corte d’appello ha escluso la sussistenza di una situazione personale di vulnerabilità da tutelare, avendo giudicato inattendibile la narrazione dell’ O. e avendo escluso che le affermazioni dell’interessato – peraltro ritenute indimostrate – circa la frequenza di corsi di italiano e la pratica di attività di volontariato in Italia valgano, di per sè, a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria. Al di là della formale deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, il motivo di ricorso concernente la mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari finisce con il sollecitare il riesame di apprezzamenti di fatto adeguatamente e incensurabilmente compiuti dal giudice del merito.

A ciò deve aggiungersi che il ricorrente fonda la propria doglianza sulla deduzione, tra l’altro, di avere lavorato in Italia nel corso del 2018 e di stare continuando a lavorare nell’anno di proposizione del ricorso, ma non indica, nel rispetto della prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, su quali fonti di prova raccolte nel giudizio di merito tale deduzione si fondi, e produce, in allegato al ricorso, documentazione (“copia certificazione unica 2019 e documentazione attestante l’attuale attività lavorativa del ricorrente”), senza neppure precisare la localizzazione di tali atti tra quelli prodotti dinanzi al Tribunale o alla Corte d’appello.

3. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo il Ministero svolto attività difensiva in questa sede.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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