Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24752 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. II, 05/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 24529-2019 proposto da:

I.J., rappresentato e difeso dall’Avvocato Franco Beretti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Bologna n. 3033-2019

in data 1 luglio 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso depositato il 5 febbraio 2019, I.J., cittadino (OMISSIS) nato il (OMISSIS), ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna il provvedimento, notificatogli in data 7 gennaio 2019, con cui la Commissione territoriale di Bologna, sezione distaccata di Forlì-Cesena, gli aveva negato la protezione internazionale e la protezione umanitaria.

2. – Il Tribunale di Bologna, con decreto in data 1 luglio 2019, ha rigettato la domanda.

Nel corso dell’audizione l’ I. aveva dichiarato di essere fuggito dalla Nigeria a causa di un problema nella propria comunità: il padre era stato infatti leader della comunità ed i membri della comunità avevano iniziato a mettere in discussione l’ereditarietà della carica, tentando di imporre a suo padre un sistema di rotazione nella posizione di capo, ma lo stesso si era opposto alla richiesta e per tale motivo la comunità aveva iniziato a contrastarlo. In seguito i fratelli del ricorrente si erano gravemente ammalati ed erano successivamente morti, tanto che nel 2011 il padre aveva deciso che il resto della famiglia dovesse allontanarsi dalla comunità; la sorella ed uno dei fratelli del ricorrente si erano recati a Lagos, mentre lui si era recato a Ekpoma. Nel 2014 sempre secondo quanto dichiarato dal ricorrente nel corso della sua audizione – il padre era stato aggredito e ucciso mentre lavorava nel suo campo, ma prima di morire aveva consigliato al figlio di fuggire dalla Nigeria, poichè, essendo l’unico figlio maschio rimasto in vita, rischiava di essere ucciso anche lui dai membri della comunità. Il ricorrente si era quindi recato in Niger e poi in Libia, luogo dal quale si era imbarcato per l’Italia. Lo stesso aveva infine manifestato di temere, in caso di rientro, di essere ucciso dai membri della comunità che avevano già ucciso i fratelli e il padre.

Secondo il Tribunale, le dichiarazioni del ricorrente non possono ritenersi tali da comprovare la sussistenza del pericolo addotto e posto a fondamento della domanda. Difatti, l’ I. non ha compiuto in giudizio ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, avendo il ricorrente reso dichiarazioni generiche e prive di circostanze o elementi di dettaglio idonei a contestualizzare e a dare concretezza ai fatti narrati: ciò vale, secondo il Tribunale, in primo luogo in relazione ai riferiti contrasti tra il padre e i membri della sua comunità in merito all’ereditarietà della carica e alla morte del fratello maggiore; e vale altresì in relazione alle vicende successive, verificatesi dopo il suo allontanamento dal villaggio, su consiglio del padre, ed in particolare sia in relazione alla morte dell’altro fratello, avvenuta a Lagos, sia all’uccisione del padre.

Il Tribunale ha ritenuto inoltre le dichiarazioni dell’ I. caratterizzate da profili di incoerenza in relazione ad aspetti di sicuro rilievo della vicenda.

Per queste ragioni il Tribunale ha giudicato il ricorrente in generale e nel complesso non attendibile, così come non fondato il timore da lui paventato.

Secondo il Tribunale di Bologna il giudizio di non attendibilità del dichiarante esime il giudice dall’onere di cooperazione nell’acquisizione della prova, in particolare con riguardo alla raccolta di aggiornate informazioni sul paese di origine del ricorrente.

Il giudizio di non attendibilità del dichiarante non consente, secondo il Tribunale, di ritenere concreto il pericolo che, in caso di rientro nel Paese di origine, l’ I. possa subire una delle forme di danno grave alla persona individuate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). D’altra parte, il pericolo paventato non sarebbe nè attuale nè concreto, giacchè il ricorrente si era ormai da tempo trasferito in altra città, diversa dal suo villaggio di origine, dove lo stesso era rimasto, aveva lavorato ed aveva vissuto per quasi due anni, senza che in quella zona si fossero mai verificati episodi di minacce o di aggressione.

Il Tribunale felsineo ha inoltre evidenziato che dalle fonti più recenti ed accreditate si desume che in (OMISSIS), regione di provenienza dell’ I., non ricorre una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno, tale da porre la popolazione civile in pericolo per il solo fatto di essere presente sul territorio.

Quanto alla richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale di Bologna ha premesso che ai fini del riconoscimento di tale forma di protezione è necessaria la configurabilità di una condizione di vulnerabilità effettiva o comunque di violazioni sistematiche gravi dei diritti umani, caratterizzanti il Paese di origine ma direttamente riferibili alle condizioni e alla vicenda personale del richiedente.

Il Tribunale ha ritenuto non sussistenti tali requisiti, anche in ragione della inattendibilità in generale e nel complesso delle dichiarazioni del ricorrente, e ha escluso la ravvisabilità di una condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare. Secondo il Tribunale, lo studio della lingua italiana e la partecipazione del ricorrente ad attività di volontariato, pur certamente meritevoli, non appaiono, da soli, elementi tali da comportare il raggiungimento di un adeguato grado di integrazione e non costituiscono fattori ostativi al rientro in patria del ricorrente, dove peraltro si collocano i suoi riferimenti affettivi e familiari, ed in difetto di indicatori specifici di necessità di tutela.

3. – Per la cassazione del decreto del Tribunale di Bologna I.J. ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 luglio 2019, sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 1998, art. 8 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Osserva la difesa dell’ I. che l’analisi condotta dal primo giudice sarebbe del tutto generica ed impersonale, avendo escluso apoditticamente ed a priori la sussistenza dei presupposti della protezione umanitaria. La situazione personale del richiedente andava inserita nel contesto del Paese di provenienza, dove i cittadini non possono ricevere alcuna tutela nè garanzia di giustizia da parte delle forze di polizia denunciando i soprusi e le violenze subite. Prendendo atto dei report più aggiornati a disposizione in merito al monitoraggio del Paese di provenienza, la condizione della (OMISSIS), ad avviso del ricorrente, non potrebbe dirsi normalizzata, in quanto sono stati registrati numerosi scontri e attacchi terroristici di matrice religiosa, etnico-sociale e politica, con vittime civili, a conferma del fatto che perdura l’instabilità del Paese; resterebbero inoltre attuali tutte le limitazioni di diritti umani, le restrizioni alla libertà, gli episodi di violenza incontrollata e le esposizioni ai pericoli del terrorismo estremista di matrice religiosa. Avrebbe errato il Tribunale a non approfondire la concreta realtà (OMISSIS) per quanto concerne l’assenza delle adeguate garanzie da parte delle forze statali in un contesto caratterizzato da conflitti di diversa matrice e natura diffusi sul territorio. Nel caso di specie, la condizione di vulnerabilità avrebbe dovuto essere riconosciuta, integrando le motivazioni alla base della fuga dal Paese e le condizioni di vita nel Paese straniero con il meritorio percorso di inserimento dell’ I. nel tessuto sociale italiano.

1.1. – Il motivo è infondato.

Va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455), il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., Sez. Un., 13 novembre 2019, n. 29459).

Tale valutazione comparativa è stata compiutamente effettuata dal Tribunale, che ha escluso, con motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici, la ravvisabilità di una condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare, mancando specifici indicatori di necessità di protezione, dal punto di vista soggettivo o oggettivo, anche in ragione della inattendibilità in generale e nel complesso del racconto del ricorrente. A ciò deve aggiungersi che il Tribunale ha altresì considerato che nel Paese di origine si collocano i riferimenti affettivi e familiari dell’ I..

Al di là della formale deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, il motivo finisce con il sollecitare il riesame di apprezzamenti di fatto adeguatamente e incensurabilmente compiuti dal giudice del merito.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente deduce di avere diritto al riconoscimento della protezione speciale ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 come richiamato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ovvero del diritto di asilo in relazione all’art. 10 Cost., comma 3. Ad avviso del deducente, dovrebbero valutarsi le conseguenze del rimpatrio. In particolare, il ricorrente prospetta di avere diritto al rilascio di un permesso per protezione speciale: richiama al riguardo il D.L. n. 113 del 2018 e ricorda che con il recente intervento normativo in luogo dell’abrogato permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato introdotto un permesso di soggiorno per protezione speciale. Sostiene il ricorrente che tra i diritti umani inviolabili della persona che la disposizione contenuta nella nostra Carta fondamentale è volta a garantire vi è il diritto alla vita, all’integrità fisica e alla tutela della salute, da intendersi come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non limitato alla assenza di malattie o infermità. Quando, sulla base di concordanti rapporti internazionali aggiornati, anche derivanti da organizzazioni internazionali, si rinvenga un limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona, si dovrebbe concludere che un eventuale rimpatrio dello straniero dove le condizioni di vita sono del tutto inadeguate lo porrebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale.

2.1. – Il motivo è inammissibile, perchè ancora la denuncia di violazione e falsa applicazione di norme di legge ad una erronea premessa in punto di fatto.

Il ricorrente, infatti, dà per presupposto che, in (OMISSIS), regione di provenienza del ricorrente, sulla base di concordanti rapporti internazionali aggiornati, si rinverrebbe un limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona. Ma non è questa la situazione accertata dal Tribunale, il quale è giunto alla motivata esclusione della ravvisabilità, in capo all’ I., di alcuna condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare.

3. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva in questa sede.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

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