Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24751 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. II, 05/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 24545-2019 proposto da:

F.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato Franco Beretti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Bologna n. 3028-2019

in data 1 luglio 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – F.A., cittadino della (OMISSIS), nato il (OMISSIS), proponeva opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Bologna, a lui notificato in data 24 gennaio 2018, con il quale era stata rigettata la sua richiesta di riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria.

2. – Il Tribunale di Bologna, con decreto in data 1 luglio 2019, ha rigettato il ricorso.

Il Tribunale ha rilevato:

– che il ricorrente non ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, avendo egli reso dichiarazioni generiche e prive di circostanze o elementi di dettaglio idonei a contestualizzare e a dare concretezza ai fatti narrati ed ai principali eventi riferiti: il F. non è stato infatti in grado di descrivere, anche solo in maniera sommaria, le modalità e le circostanze che avevano caratterizzato i violenti scontri seguiti alle elezioni presidenziali del 2010; inoltre lo stesso non ha descritto o fornito dettagli in ordine all’episodio che lo avrebbe riguardato maggiormente, ossia l’incendio e la distruzione del magazzino del suo datore di lavoro;

– che le dichiarazioni del F. appaiono caratterizzate da profili di incoerenza e contraddittorietà su circostanze di rilievo nella descrizione della vicenda e delle ragioni che lo avrebbero costretto ad allontanarsi dal Paese di origine: in particolare, mentre dinanzi alla Commissione territoriale il ricorrente aveva riferito di non avere mai avuto alcun ruolo nella “fazione politica” che sosteneva il presidente D., in contrapposizione al presidente A.C., vincitore delle elezioni presidenziali del 2010, e non aveva neppure fatto cenno ad un suo coinvolgimento attivo, neppure in occasione della manifestazione da lui (peraltro solo genericamente) riferita, lo stesso in giudizio ha diversamente dichiarato di aver sostenuto lo stesso partito del suo datore di lavoro, di etnia (OMISSIS), e di aver partecipato alle manifestazioni contro C., riferendo altresì – circostanza questa alla quale non aveva mai neppure fatto cenno dinanzi alla Commissione territoriale, nonostante le richieste di approfondimento – di essere stato picchiato dalle forze dell’ordine durante un meeting; e ancora, mentre dinanzi alla Commissione territoriale, alla espressa richiesta se avesse ricevuto minacce, il ricorrente aveva dichiarato di non essere mai stato minacciato direttamente, lo stesso in giudizio ha diversamente riferito di ripetute minacce; che il giudizio di non attendibilità del dichiarante esime il giudice dall’onere di cooperazione nell’acquisizione della prova che si atteggia come ulteriore vaglio di credibilità del richiedente asilo, in particolare con riguardo all’acquisizione da parte del giudice di aggiornate informazioni sul Paese di origine del ricorrente;

che il giudizio di non attendibilità del F. non consente di ritenere la sussistenza di un fondato rischio di persecuzione per uno dei motivi contemplati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 o di un effettivo pericolo per il ricorrente, in caso di rientro nel Paese d’origine, di subire una delle forme di danno grave alla persona individuate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

che, pur valutata la difficile situazione politica e sociale della (OMISSIS), caratterizzata tuttora da scontri politici tra varie fazioni e dalla violazione dei diritti umani anche da parte delle autorità governative, la situazione del Paese non è tale da configurare una condizione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno tale da porre in pericolo la vita o l’incolumità personale della popolazione civile per il solo fatto di soggiornarvi; che, con riferimento alla protezione umanitaria, non ricorrono i relativi presupposti, sia in ragione della inattendibilità in generale e nel complesso delle dichiarazioni del ricorrente, sia perchè non appare ravvisabile alcuna condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare, mancando quindi specifici indicatori di necessità di protezione, dal punto di vista soggettivo o oggettivo;

– che lo svolgimento di tirocini lavorativi (per due mesi negli anni 2016 e 2017) e la partecipazione alle attività organizzate nell’ambito dell’accoglienza (corsi di studio e attività di volontariato), pur certamente meritevoli e tali da comprovare un’effettiva volontà di integrazione del ricorrente, non sono, da soli, tali da consentire di ritenere integrati quei seri motivi che possono fondare il riconoscimento della protezione umanitaria, come tali ostativi al rimpatrio del ricorrente, specie ove si consideri che nel Paese di origine si collocano i riferimenti affettivi e familiari del medesimo, ed in difetto comunque di specifici indicatori di necessità di protezione, dal punto di vista soggettivo o oggettivo;

– che, infine, neppure il periodo trascorso dal ricorrente in Libia assume rilievo sotto tale profilo, posto che, da un lato, per la valutazione della sussistenza dei presupposti della protezione internazionale, occorre aver riguardo alla situazione del Paese di provenienza del ricorrente, e, dall’altro, il F. non ha neppure addotto situazioni o peculiari conseguenze derivanti da tale permanenza (sotto il profilo psicofisico), tali da assumere rilievo per la valutazione di profili di vulnerabilità a ciò conseguenti.

3. – Per la cassazione del decreto del Tribunale F.A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 luglio 2019, sulla base di quattro motivi.

Il Ministero dell’interno non ha resistito con controricorso.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 13 anche in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5) il ricorrente – premesso che ai fini della credibilità occorre procedere ad un esame globale e complessivo del racconto e degli aspetti personali del richiedente, e che l’analisi deve essere esente da preconcetti, speculazioni soggettive, intuizioni, congetture, stereotipi o sensazioni soggettive – deduce che le risposte fornite dal F. sarebbero del tutto lineari, intrinsecamente concordi tra loro in quanto riconducibili ad un unico nucleo rimasto invariato nelle diverse sedi. Ad avviso del ricorrente, sarebbe del tutto comprensibile che il racconto reso nelle diverse occasioni presenti alcune aggiunte o precisazioni non precedentemente riferite, che comunque non entrerebbero in contraddizione con quanto già narrato; d’altra parte, alcune divergenze sarebbero compatibili con lacune venute via via a crearsi nella memoria a causa del passare del tempo e dei traumi subiti durante il viaggio. La difesa del ricorrente sostiene che il principio di cooperazione si traduce nell’imporre all’autorità valutativa di consentire al richiedente di risolvere i dubbi e chiarire le perplessità sui punti ritenuti oscuri, invece taciuti dal giudice nel colloquio ma poi considerati dirimenti nella decisione.

1.1. – La complessiva doglianza è inammissibile.

Il decreto impugnato motiva ampiamente sulla inattendibilità del racconto del dichiarante e sulla inidoneità delle dichiarazioni rese a comprovare la sussistenza del pericolo addotto e posto a fondamento della domanda di protezione internazionale, a tale riguardo sottolineando:

– che il F. non ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, avendo egli reso dichiarazioni generiche e prive di circostanze o elementi di dettaglio idonei a contestualiz-zare e a dare concretezza ai fatti narrati ed ai principali eventi riferiti;

– che le dichiarazioni del ricorrente appaiono caratterizzate da evidenti profili di incoerenza e contraddittorietà su circostanze di rilievo nella descrizione della vicenda e delle ragioni che lo avrebbero costretto ad allontanarsi dal Paese di origine;

che appare poco plausibile che il F., pur riferendo di episodi avvenuti nell’immediatezza della vittoria elettorale di A.C., abbia deciso di lasciare il Paese nel novembre 2014, ossia ben quattro anni dopo, senza ancorare la fuga a circostanze o eventi specifici che l’avrebbero indotto a partire.

Ora, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, nei giudizi in materia di protezione internazionale, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, o come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., per tutte, Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340).

La statuizione del Tribunale circa la non attendibilità del racconto del dichiarante non risulta censurata in conformità con i suindicati principi.

Il ricorrente deduce che la narrazione del F. sarebbe del tutto verosimile e che il giudice del merito avrebbe dovuto considerare globalmente la coerenza mantenuta dal richiedente nello sviscerare gli accadimenti vissuti e avrebbe dovuto coadiuvare l’istante nella esposizione dei dettagli ritenuti necessari per sostenerne la credibilità.

Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese, ma in realtà mira, inammissibilmente, ad ottenere una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità del dichiarante, diversa da quella accertata dal Tribunale.

Il primo giudice ha diffusamente evidenziato genericità, incongruenze e contraddizioni del racconto del ricorrente (v. pagina 4 del decreto impugnato).

Va ribadito che la valutazione di credibilità dell’istante per la protezione internazionale costituisce un giudizio demandato al giudice del merito, non censurabile sollecitando una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente.

2. – Con il secondo mezzo (violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b e c, in materia di protezione sussidiaria) il ricorrente, nel censurare che sia stato negato al F. il diritto ad ottenere la protezione sussidiaria, sottolinea che le relazioni degli organi internazionali sono concordi nell’affermare che in (OMISSIS) i cittadini non possono ricevere alcuna tutela nè garanzie di giustizia da parte delle forze di polizia denunciando i soprusi e le violenze subite, come il richiedente ha più volte ribadito nel corso dell’audizione, anche in considerazione della impunità di cui gode la polizia per gli arresti arbitrari, gli abusi, le sparizioni forzate, gli atti di tortura nei confronti dei detenuti. Alla luce di ciò, le affermazioni del richiedente circa il timore per la propria incolumità in relazione all’impossibilità di rivolgersi alle istituzioni locali per ricevere tutela e protezione acquisirebbero piena credibilità e attendibilità, venendo confermate e rinforzate dalle risultanze internazionali. Il ricorrente contesta “la vera e propria omessa precisa valutazione del contesto del Paese di provenienza in riferimento alle vicende personali che hanno coinvolto il richiedente”. Sarebbe erronea la decisione del Tribunale che ha escluso la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) avendo il primo giudice omesso l’analisi circa i fattori individuali del richiedente e generali relativi al Paese di provenienza; laddove il F. correrebbe il serio, grave, concreto ed effettivo pericolo di subire trattamenti inumani e degradanti in caso di rientro in patria, versando egli in (OMISSIS) in una condizione di serio rischio per la propria incolumità, in mancanza delle garanzie processuali proprie dello Stato di diritto. Il ricorrente sostiene che, al fine di rientrare nell’ambito dell’art. 14, lett. c), non sarebbe necessaria la rappresentazione coerente di un quadro individuale di esposizione diretta al pericolo per la propria incolumità, essendo sufficiente tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa e indiscriminata non sia contrapposto alcun anticorpo concreto dalle autorità statali. Il mancato approfondimento della concreta realtà della (OMISSIS) per quanto concerne la diffusione delle violenze, l’instabilità politica e governativa, l’assenza delle adeguate garanzie da parte delle forze statuali in un contesto caratterizzato da conflitti di diversa matrice e natura diffusi sul territorio, configurerebbe la denunciata violazione di legge.

2.1. – Il motivo è infondato.

Innanzitutto va precisato che, una volta esclusa dal Tribunale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lettere a) e b), in cui rileva la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento. Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo (Cass., Sez. I, 21 aprile 2020, n. 7999).

Occorre inoltre ribadire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., Sez. VI-1, 2 aprile 2019, n. 9090; Cass., Sez. VI-1, 8 luglio 2019, n. 18306).

Di tale principio ha fatto corretta applicazione il decreto impugnato nell’escludere che la (OMISSIS) rientri tra i Paesi in cui si riscontra una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno tale da porre in serio pericolo la vita o l’incolumità fisica della popolazione civile per il solo fatto di soggiornarvi.

A questa conclusione il Tribunale di Bologna è giunto dopo avere esaminato vari recenti rapporti (v. pagina 6 del decreto impugnato) dai quali si evince che in (OMISSIS) non sussisteva una situazione di violenza generalizzata con pericolo per i civili, pur riscontrandosi scontri politici tra varie fazioni.

Ne consegue che il motivo tende in sostanza al riesame dei fatti valutati dal Tribunale attraverso una prospettata diversa interpretazione del contenuto delle COI esaminate.

3. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 previgenti) ci si duole che il Tribunale non abbia considerato che l’istituto della protezione umanitaria ha carattere autonomo e pone le proprie basi su requisiti più elastici e non necessariamente coincidenti con quelli positivizzati per le misure maggiori, rispondendo in ultima battuta agli obblighi costituzionali e internazionali gravanti sullo Stato italiano di protezione delle concrete vulnerabilità. Avrebbe dovuto considerarsi che il potere-dovere di integrazione istruttoria del giudice deve svolgersi, in via peculiare, nell’accertamento delle condizioni del Paese d’origine, dovendosi appurare se il rimpatrio determini la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

3.1. – Il motivo è infondato.

Va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455), il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., Sez. Un., 13 novembre 2019, n. 29459).

Tale valutazione comparativa è stata compiutamente effettuata dal Tribunale, che ha escluso, con motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici, la ravvisabilità di una condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare, mancando specifici indicatori di necessità di protezione, dal punto di vista soggettivo o oggettivo. A ciò deve aggiungersi che il Tribunale ha altresì considerato che nel Paese di origine si collocano i riferimenti affettivi e familiari del F..

Al di là della formale deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, il motivo finisce con il sollecitare il riesame di apprezzamenti di fatto adeguatamente e incensurabilmente compiuti dal giudice del merito.

4. – Il quarto motivo è rivolto a denunciare il mancato riconoscimento della protezione speciale ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 come richiamato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ovvero del diritto di asilo in relazione all’art. 10 Cost., comma 3. Ad avviso del deducente, dovrebbero valutarsi le conseguenze del rimpatrio. In particolare, il ricorrente prospetta di avere diritto al rilascio di un permesso per protezione speciale: richiama al riguardo il D.L. n. 113 del 2018 e ricorda che con il recente intervento normativo in luogo dell’abrogato permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato introdotto un permesso di soggiorno per protezione speciale. Sostiene il ricorrente che tra i diritti umani inviolabili della persona che la disposizione contenuta nell’art. 10, comma 3 della nostra Carta fondamentale è volta a garantire vi sono il diritto alla vita, all’integrità fisica e alla tutela della salute, da intendersi come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non limitato alla assenza di malattie o infermità, la tutela dei diritti civili e politici e il diritto a ricevere un processo penale giusto, equo e imparziale. Quando, sulla base di concordanti rapporti internazionali aggiornati, anche derivanti da organizzazioni internazionali, si rinvenga un limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona, si dovrebbe concludere che un eventuale rimpatrio dello straniero dove le condizioni di vita sono del tutto inadeguate lo porrebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale.

4.1. – Il motivo è inammissibile, perchè ancora la denuncia di violazione e falsa applicazione di norme di legge ad una erronea premessa in punto di fatto.

Il ricorrente, infatti, dà per presupposto che, in (OMISSIS), sulla base di concordanti rapporti internazionali aggiornati, si rinverrebbe un limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona. Ma non è questa la situazione accertata dal Tribunale, il quale è giunto alla motivata esclusione della ravvisabilità, in capo al F., di alcuna condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare.

5. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

6. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

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