Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24750 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. II, 05/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 23725-2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato Francesco

Bonatesta;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso gli Uffici di questa domiciliato in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna n.

676/2019 del 27 febbraio 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 28 febbraio 2017, ha rigettato il ricorso proposto da A.A., nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), avverso la decisione del 16 agosto 2016 della Commissione territoriale di Bologna, sezione di Forlì-Cesena, che gli aveva negato la protezione internazionale.

2. – La Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 27 febbraio 2019, ha rigettato il gravame interposto da A.A..

2.1. – La Corte territoriale ha giudicato il racconto del cittadino straniero privo di qualsiasi riscontro probatorio oggettivo e non veritiero. Ha osservato la Corte di Bologna che A.A. non ha fornito alcuna specifica descrizione delle modalità operative, dei riti di iniziazione e dei segni distintivi del culto al quale sarebbe stato chiamato ad aderire, essendosi egli limitato a riferire di non avere acconsentito ad una richiesta di entrare a far parte di un culto, proveniente da ragazzi insieme ai quali usciva, senza alcuna specificazione delle modalità attraverso le quali sarebbe dovuto avvenire il suo ingresso nell’organizzazione e in ordine al ruolo che avrebbe dovuto avere all’interno del gruppo. La Corte distrettuale ha ritenuto poco plausibile che ad un invito ad aderire ad un gruppo non si accompagni una illustrazione, almeno sommaria, del modus operandi, delle caratteristiche e delle finalità del gruppo, e ha giudicato generica l’affermazione secondo cui il gruppo era una “banda di strada”, che derubava e rapinava le persone, e non casuale la circostanza che l’ A. abbia riferito, per la prima volta, il nome del gruppo solo in sede di audizione dinanzi al Tribunale. La Corte di Bologna ha poi precisato che le dichiarazioni del cittadino straniero non trovano riscontro nelle informazioni generali e specifiche sulla situazione del Paese di origine: se, infatti, il fenomeno delle confraternite si è diffuso in (OMISSIS) anche al di fuori delle università, tuttavia di tali organizzazioni continuano a far parte giovani appartenenti alle classi sociali più abbienti, laddove l’ A. non appartiene ad una classe sociale elevata, svolgendo l’attività lavorativa di camionista.

Sulla base di queste premesse, la Corte d’appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non avendo il richiedente offerto elementi che ricolleghino l’espatrio al timore di persecuzione personale e diretta per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica. La Corte di Bologna ha del pari escluso la ravvisabilità dei presupposti della protezione sussidiaria, non risultando provato il pericolo dedotto dal richiedente di subire un danno grave: in particolare, il pericolo per la propria incolumità personale per essere esposto alle azioni di vendetta dei membri del culto, del quale era stato chiamato a far parte. Le informazioni provenienti da accreditate fonti internazionali, d’altra parte, portano ad escludere – ha sottolineato la Corte distrettuale – che sia presente in (OMISSIS), stato della (OMISSIS) di provenienza del richiedente, alcun conflitto armato.

Secondo il giudice del gravame, la valutazione di non affidabilità del ricorrente esclude inoltre la sussistenza di una situazione di vulnerabilità o di pericolosità per l’incolumità del richiedente da proteggere con la concessione di un permesso per motivi umanitari.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna A.A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 5 agosto 2019, sulla base di tre motivi.

L’intimato Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Ad avviso del ricorrente, la valutazione di non attendibilità del richiedente sarebbe stata effettuata in violazione di legge, senza un idoneo supporto motivazionale e senza una verifica della compatibilità del racconto con le fonti esterne e internazionali. Le dichiarazioni del richiedente la protezione dimostrerebbero che questi ha effettuato ogni sforzo per circostanziare la domanda; nè andrebbe dimenticato che in (OMISSIS) proliferano le “confraternite” che spesso sono vere e proprie associazioni a delinquere.

Con il secondo motivo il ricorrente prospetta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2 e art. 14, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ad avviso del ricorrente la protezione sussidiaria sarebbe stata negata senza alcuna verifica sulle condizioni della regione di appartenenza, semplicemente sulla base del giudizio di inattendibilità del richiedente. Ci si duole che la Corte d’appello non si sia avvalsa dei propri poteri di accertamento d’ufficio, in contrasto con il principio secondo cui, al fine del rigetto della istanza di protezione sussidiaria, occorre valutare in concreto se nel Paese di provenienza sussistono condizioni tali da rientrare nelle ipotesi in cui la legge italiana prevede l’applicazione della protezione in questione.

1.1. – I primi due motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.

La Corte d’appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e per la concessione della protezione sussidiaria, non solo perchè il racconto di A.A., basato sull’allegazione di aver lasciato il proprio Paese per avere ricevuto minacce da alcuni ragazzi, con i quali giocava e usciva insieme, appartenenti ad un culto, è rimasto privo di qualsiasi riscontro probatorio oggettivo, ma anche perchè la narrazione è risultata assolutamente generica e non circostanziata, oltre che priva di riscontri nelle informazioni generali e specifiche sulla situazione del Paese di origine.

Questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ovvero come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340),

Al riguardo la Corte di Bologna, con motivazione che soddisfa lo standard del minimo costituzionale, ha chiarito le ragioni per cui le dichiarazioni del ricorrente sono state ritenute inattendibili, sia per l’incapacità del richiedente di circostanziare e dettagliare il racconto anche su elementi essenziali e determinanti, sia perchè le dichiarazioni rese sono prive di riscontro nelle informazioni generali e specifiche sulla situazione del Paese di origine.

Sotto il profilo della credibilità del racconto del richiedente, il contenuto della censura articolata dal ricorrente per cassazione attiene ad una diversa prospettazione e valutazione dei fatti rilevanti.

Il ricorso deduce un ulteriore profilo di censura, che concerne la mancata attivazione del potere officioso di richiedere informazioni precise sulla condizione della regione di provenienza dell’ A..

A tale riguardo, occorre opportunamente precisare e circoscrivere il principio secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); invece, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Cass., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3016; Cass., Sez. I, 16 aprile 2020, n. 7876). In particolare è stato precisato che il giudice, prima di decidere la domanda nel merito, deve assolvere all’obbligo di cooperazione istruttoria, che non può essere di per sè escluso sulla base di qualsiasi valutazione preliminare di non credibilità della narrazione del richiedente asilo (Cass., Sez. III, 12 maggio 2020, n. 8819).

A tale principio si è attenuta la Corte del merito, la quale, nel ritenere non sussistente l’ipotesi di cui al citato art. 14, lett. c) ha tenuto conto di aggiornate informazioni provenienti da accreditate fonti internazionali (rapporto Human Rights Watch 2017; Easo (OMISSIS) Country focus lune 2017), le quali portano ad escludere tale ipotesi, non essendo presente in (OMISSIS), Stato della (OMISSIS) di provenienza del richiedente, alcun conflitto armato nella nozione offerta anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

2. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) il ricorrente lamenta che sia stata negata la protezione umanitaria. Il difetto di credibilità non escluderebbe l’obbligo di fornire una motivazione non meramente apparente. Nel caso di specie la Corte d’appello avrebbe rigettato la domanda relativa alla protezione umanitaria motivando la decisione soltanto sulla base del rigetto delle altre due domande (asilo e protezione sussidiaria), senza alcuna indagine sulle diverse condizioni poste a base del permesso di soggiorno per motivi umanitari, quando ricorrano gravi violazioni dei diritti umani ancorchè non sufficienti ad integrare i requisiti per il rifugio politico e per la protezione sussidiaria.

2.1. – Il motivo è infondato.

Occorre premettere che il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che come hanno chiarito le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 13 novembre 2019, n. 29459) – la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge.

Tanto premesso in ordine alla disciplina applicabile ratione temporis, ed assodato che la Corte d’appello ha correttamente scrutinato la domanda dell’ A. sulla base delle norme in vigore al momento della presentazione della domanda, va considerato che il giudice del merito ha escluso la ravvisabilità dei presupposti della protezione umanitaria in difetto del riscontro di una condizione di vulnerabilità effettiva o comunque di violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani, caratterizzanti il Paese di origine e direttamente riferibili alla vicenda personale del richiedente. Il richiedente – ha sottolineato la Corte territoriale – non ha allegato sue specifiche situazioni di vulnerabilità, essendosi limitato ad una generica dissertazione sulla instabilità politica e su episodi di violenza o di insufficiente rispetto dei diritti umani, caratterizzanti lo Stato di origine, senza maggiori specificazioni.

La sentenza impugnata si appalesa, pertanto, esente dal vizio di violazione di legge denunciato dal ricorrente.

E’ d’altra parte erronea la premessa su cui poggia l’articolazione della censura, ossia il rilievo che la richiesta di protezione umanitaria sarebbe stata rigettata “soltanto sulla base del rigetto delle altre due domande (asilo e protezione sussidiaria), senza alcuna indagine sulle diverse condizioni poste a base del permesso di soggiorno per motivi umanitari” (così il ricorso per cassazione, alla decima pagina). Al contrario di quanto denunciato dal ricorrente, la Corte d’appello ha correttamente preso le mosse dalla affermazione che “la protezione umanitaria è una misura residuale che presenta caratteristiche necessariamente non coincidenti con quelle riguardanti le misure maggiori”, condizioni per il rilascio di un permesso di natura umanitaria essendo “il riconoscimento di una situazione di vulnerabilità da proteggere alla luce degli obblighi costituzionali ed internazionali gravanti sullo Stato italiano” (così la sentenza impugnata, a pag. 5); e ha poi deciso il gravame alla luce di tale principio, sottolineando una carenza sul piano della stessa allegazione, non avendo il richiedente neppure dedotto “sue specifiche situazioni di vulnerabilità”.

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Ministero controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

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