Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24749 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. II, 05/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 23711-2019 proposto da:

N.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato Federico

Carlini;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna n.

283/2019 del 23 gennaio 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – N.M., cittadino del (OMISSIS), impugnava dinanzi al Tribunale di Bologna la decisione assunta dalla Commissione territoriale di Ancona che gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale.

Con ordinanza in data 31 maggio 2017 il Tribunale di Bologna negava il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria.

2. – La Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 gennaio 2019, ha rigettato il gravame del N..

La Corte d’appello ha premesso che il richiedente, proveniente da Dakar, ha riferito: di essere stato affidato ad uno zio materno che si occupava della vendita di autovetture usate; che lo zio aveva accumulato un grosso debito e che, non riuscendo ad onorarlo, si era dato alla fuga ed era ricercato dai creditori; che i creditori, avendo trovato il N. in casa dello zio, avevano minacciato di rapirlo se non avesse dato informazioni su dove rintracciare suo zio.

La Corte territoriale ha condiviso i dubbi sollevati dal Tribunale in ordine alla credibilità del N., e ciò in ragione delle incongruenze del narrato e delle contraddizioni esistenti tra le dichiarazioni rese, prima, dinanzi alla Commissione e, poi, dinanzi al Tribunale. La Corte di Bologna ha ritenuto inverosimili le ragioni per cui il N. sarebbe stato fermato dalla polizia o arrestato e non plausibile il timore manifestato di subire un ingiusto processo per fatti a lui non riferibili. La Corte d’appello ha sottolineato il carattere generico e non circostanziato del riferimento alla situazione del Paese di provenienza, in quanto del tutto privo di collegamenti alla situazione di vita del ricorrente; pertanto ha escluso che il N. presenti fattori individualizzanti di rischio, rilevando che le motivazioni della migrazione sono in definitiva riconducibili ad una vicenda di carattere privato piuttosto che a motivi di pericolo riconducibili ai presupposti della protezione internazionale, essendo la paventata situazione del Paese di provenienza legata ad uno stereotipo automatismo narrativo.

La Corte di Bologna ha infine escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione di un permesso di natura umanitaria.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso il N., con atto notificato il 22 luglio 2019, sulla base di tre motivi.

L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3) il N. censura che la sentenza della Corte di Bologna sia priva di riferimenti aggiornati al Paese di provenienza del ricorrente e all’attuale grave situazione presente in tutto il territorio del (OMISSIS).

1.1. – La censura è inammissibile.

Infatti, il ricorrente non allega alcuna specifica circostanza idonea a superare le argomentazioni del giudice di merito, che ha ritenuto, da un lato, la non credibilità del richiedente in ragione delle incongruenze di quanto da lui narrato ai fini del riconoscimento della invocata protezione internazionale e della non plausibilità del timore manifestato di subire un ingiusto processo per fatti a lui non riferibili; dall’altro, l’insussistenza, in (OMISSIS), di una situazione di violenza indiscriminata o di insicurezza diffusa rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria, essendo rimasta la paventata situazione del Paese di provenienza legata ad uno stereotipo automatismo narrativo.

Sotto quest’ultimo profilo, se questa Corte ha affermato che il giudice di merito, nel fare riferimento alle così dette fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass., Sez. I, 17 maggio 2019, n. 13449), e che la predetta fonte deve essere aggiornata alla data della decisione (Cass., Sez. I, 22 maggio 2019, n. 13897), pur tuttavia ciò non può valere ad esonerare il ricorrente dall’onere di allegazione delle specifiche circostanze ritenute decisive ai fini del riconoscimento dell’invocata misura di protezione. Ne discende che il motivo di ricorso che mira a contrastare l’apprezzamento delle fonti condotto dal giudice di merito deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre e più aggiornate e decisive fonti qualificate. Solo là dove dalla censura emerga la precisa dimostrazione di quanto precede, infatti, può ritenersi violato il dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni smentite da altri dati decisivi e tratte da fonti non più attuali (Cass., Sez. I, 18 febbraio 2020, n. 4037).

Nella specie, il motivo di ricorso si ferma alla semplice deduzione che la sentenza impugnata sarebbe priva di riferimenti aggiornati al Paese di provenienza del ricorrente (così a pag. 2 del ricorso) e alla generica allegazione delle “tragiche condizioni in cui versa il sistema carcerario e giudiziario” in (OMISSIS) (così a pag. 3 e 4 del ricorso). La complessiva doglianza, prospettando in modo aspecifico l’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dalla Corte d’appello, finisce con il risolversi nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente si duole della mancata valutazione del fatto storico rappresentato dal percorso di inserimento sociale intrapreso dal N. sin dal suo arrivo in Italia e della condizione di forte vulnerabilità che lo caratterizza, circostanze, entrambe, utili a fondare il diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il percorso di radicamento in Italia del N., unitamente al contesto di generale compromissione dei diritti umani fondamentali caratterizzante il paese di provenienza, costituirebbe, ad avviso del ricorrente, un elemento rilevante al fine della valutazione dei requisiti per la concessione della protezione umanitaria.

2.1. – Il motivo è privo di fondamento.

La Corte d’appello ha escluso la ravvisabilità dei presupposti della protezione umanitaria in difetto del riscontro di una condizione di vulnerabilità effettiva o comunque di violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani, caratterizzanti il Paese di origine e direttamente riferibili alla vicenda personale del richiedente.

A tale esito decisorio il giudice del merito è pervenuto, con congrua motivazione, sia sulla base di una ponderata valutazione di inattendibilità, in generale e nel complesso, delle dichiarazioni del ricorrente, sia tenendo conto della situazione del Paese di origine.

E’ evidente, infatti, che l’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolgono un ruolo importante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel Paese di origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del Paese di origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass., Sez. I, 26 febbraio 2020, n. 5191). La rilevanza di quanto narrato dall’istante è stata, peraltro, esclusa, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

Tanto premesso, la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio non è fondata.

A prescindere da ogni considerazione in ordine al difetto di localizzazione – posto che il ricorrente non indica, nel rispetto delle prescrizioni imposte dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), da quale atto processuale risulterebbe il fatto storico del percorso di inserimento intrapreso dal N. sin dal suo arrivo in Italia – è assorbente considerare che nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi, di per sè, a tale percorso di integrazione. Questa Corte ha infatti chiarito (Cass., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Non può dunque essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., Sez. VI-1, 28 giugno 2018, n. 17072).

3. – Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136. Con esso il ricorrente impugna “il capo della sentenza che ha disposto la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per manifesta infondatezza del ricorso”. Il ricorrente esclude la sussistenza di profili di malafede o colpa grave nella introduzione del giudizio. Le ragioni poste a base della domanda di protezione sarebbero perfettamente fondate sia in fatto che in diritto, essendo corrispondenti a fattispecie per le quali sarebbe stato ben possibile concedere la misura della protezione internazionale o, alternativamente e in via gradata, la protezione umanitaria.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Va premesso che, nella motivazione della impugnata sentenza, la Corte d’appello ha affermato quanto segue: “Le rilevate incoerenze della prospettazione del richiedente, sia nel primo giudizio e conformemente nel presente, comportano la revoca del gratuito patrocinio a spese dello Stato, da disporsi come da separato decreto”.

Tanto premesso, occorre evidenziare che l’inammissibilità del motivo discende dal fatto che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con il separato decreto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 è soggetta al regime impugnatorio, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca sia impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione.

Dando continuità a precedenti arresti delle Sezioni semplici, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315) hanno infatti definitivamente chiarito:

– che il testo unico sulle spese di giustizia non prevede espressamente, nella materia civile, alcun rimedio avverso il decreto di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

– che questo silenzio del legislatore non significa, però, che l’ordinamento giuridico neghi alcuna tutela avverso il decreto di revoca dell’ammissione emesso nella materia civile;

– che, in mancanza di espressa previsione normativa (come quella esistente per il processo penale), il decreto di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è impugnabile mediante l’opposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 avendo tale opposizione, nell’ambito del testo unico, natura di rimedio di carattere generale, esperibile contro tutti i decreti in materia di liquidazione e, quindi, anche contro il decreto del magistrato che la rifiuti;

– che l’opposizione va proposta – come prevede il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 – con ricorso al capo dell’ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato; il giudizio segue il rito sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c. e segg.; l’ordinanza che lo definisce è inappellabile, ma – in ragione della sua natura decisoria e della capacità di incidere in via definitiva su diritti soggettivi – contro di essa è proponibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7;

– che tale regime giuridico non muta qualora la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia stata irritualmente adottata dal giudice con la sentenza che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, in quanto l’irrituale collocazione del provvedimento di revoca in seno al provvedimento che decide la causa (che tuttavia non ne determina la nullità) non ne muta la natura; pertanto, anche avverso la revoca dell’ammissione al patrocinio che sia stata disposta con la sentenza che ha deciso la causa va proposta separatamente l’opposizione ex art. 170 testo unico, dovendosi invece escludere che la parte che voglia dolersi dell’ingiustizia del provvedimento di revoca possa impugnare la sentenza con i mezzi di impugnazione previsti per la stessa, con ciò coinvolgendo nel giudizio di impugnazione le altre parti della causa, estranee al rapporto giuridico instauratosi tra chi ha chiesto l’ammissione al patrocinio e il Ministero della giustizia;

– che, in sostanza, il provvedimento di revoca, comunque sia pronunciato (con separato decreto o con la sentenza che definisce il giudizio), va sempre considerato autonomo rispetto alla sentenza che definisce la causa ed è soggetto ad un autonomo regime di impugnazione.

4. – Il ricorso è, dunque, rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva in questa sede.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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