Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24748 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. II, 05/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 23716-2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato Francesco Bonatesta;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso gli Uffici di questa domiciliato in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna n.

1616/2019 del 16 maggio 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso depositato in data 8 settembre 2016, A.A., nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), ha proposto dinanzi al Tribunale di Bologna opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Bologna, sezione di Forlì-Cesena, con la quale era stata respinta la sua richiesta di protezione internazionale.

Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 27 marzo 2017, ha rigettato il ricorso, condividendo il giudizio, espresso dalla Commissione territoriale, di non credibilità del richiedente, per la vaghezza, genericità e contraddittorietà delle dichiarazioni.

2. – La Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 16 maggio 2019, ha rigettato il gravame dell’ A..

2.1. – La Corte territoriale ha confermato la valutazione del Tribunale di non credibilità del racconto del richiedente, in quanto privo di attendibilità intrinseca ed estrinseca. Secondo la Corte felsinea, il richiedente non ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e ha reso dichiarazioni vaghe, generiche e prive di elementi di dettaglio e di riferimenti concreti idonei a contestualizzare gli eventi, nonchè contraddittorie. Il ricorrente ha narrato di essere perseguitato dai fratellastri che volevano appropriarsi della parte di terreno a lui spettante e che i persecutori lo avrebbero picchiato e avrebbero minacciato di ucciderlo e che per questo si sarebbe trasferito a (OMISSIS) e quindi dopo quattro giorni avrebbe abbandonato il Paese. La Corte d’appello osserva al riguardo che il ricorrente non è stato in grado di identificare con precisione neppure i nomi dei persecutori e che le dichiarazioni sono intrinsecamente non logiche, non comprendendosi la ragione per cui l’ A. dovrebbe temere le ritorsioni dei suoi antagonisti quando ormai costoro si sarebbero accaparrati anche la sua parte di terreno. D’altra parte, emergerebbero contraddizioni tra le dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale e quelle rese in udienza: dinanzi all’organo amministrativo, infatti, l’ A. aveva riferito che i fratellastri erano già riusciti a farsi intestare formalmente la sua parte di terreno prima della sua partenza, mentre al giudice egli aveva esposto che i suoi antagonisti si erano impossessati semplicemente del terreno in via di fatto dopo il suo espatrio.

La Corte distrettuale ha poi evidenziato che l’appellante si è limitato a criticare genericamente la decisione di primo grado in punto di credibilità, ma non ha preso posizione con riguardo alle rationes poste a base della valutazione negativa del Tribunale. La Corte di Bologna ha evidenziato ancora che l’appellante non è stato in grado di produrre copia dei propri documenti d’identità o dell’estratto di nascita, pur dichiarando di aver mantenuto contatti con i propri familiari.

La Corte d’appello ha poi osservato che il giudizio di non attendibilità del dichiarante esime il giudice dall’onere di cooperazione probatoria con riguardo all’acquisizione di aggiornate informazioni sul paese di origine del ricorrente. In ogni caso, il giudice d’appello ha escluso la sussistenza di un conflitto armato generatore di violenza indiscriminata che comporti un concreto pericolo per la popolazione civile per il solo fatto di trovarsi sul territorio, richiamando al riguardo le aggiornate fonti di informazione (COI) con riferimento alla zona di provenienza del richiedente.

La Corte di Bologna, anche in considerazione della inattendibilità delle dichiarazioni dell’istante, ha ritenuto che non siano emersi particolari profili di vulnerabilità tali da giustificare il rilascio di un permesso di soggiorno. L’allegata integrazione lavorativa dell’ A. – afferma infine il giudice del gravame – non è di per sè sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria, mancando elementi sui quali poter fondare la comparazione della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna A.A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 5 agosto 2019, sulla base di tre motivi.

L’intimato Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Ad avviso del ricorrente, la valutazione di non attendibilità del richiedente sarebbe stata effettuata in violazione di legge, senza un idoneo supporto motivazionale e senza una verifica della compatibilità del racconto con le fonti esterne e internazionali. Le dichiarazioni del richiedente la protezione dimostrerebbero che questi ha effettuato ogni sforzo per circostanziare la domanda. La storia del richiedente sarebbe attendibile intrinsecamente, essendo stata ben contestualizzata ed essendo in linea con le informazioni generali sul Paese.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

Condividendo la valutazione sul punto effettuata dal Tribunale, la sentenza della Corte d’appello motiva ampiamente sulla inattendibilità del racconto del dichiarante e sulla inidoneità delle dichiarazioni rese a comprovare la sussistenza del pericolo addotto e posto a fondamento della domanda, a tale riguardo sottolineando:

– che l’ A. non ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, avendo egli reso dichiarazioni generiche e prive di circostanze o elementi di dettaglio idonei a contestualizzare e a dare concretezza ai fatti narrati;

– che l’appellante ha criticato genericamente la decisione di primo grado, ma non ha risposto alle analitiche indicazioni contenute nell’ordinanza del Tribunale;

– che l’ A. non ha spiegato perchè non è stato in grado di produrre copia dei propri documenti di identità o dell’estratto di nascita, pur dichiarando di avere mantenuto contatti con la moglie;

– che l’appellante non ha cercato di approfondire e chiarire i fatti con riferimento alle contestate generiche, incongruenti e contraddittorie dichiarazioni sul nucleo centrale della narrazione sul quale ha fondato la richiesta di protezione, e cioè sulla persecuzione da parte dei fratellastri per appropriarsi della sua parte di terreno, e neppure ha fornito i totalmente mancanti riferimenti spazio-temporali dei fatti narrati.

Ora, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, nei giudizi in materia di protezione internazionale, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, o come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., per tutte, Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340).

La statuizione della Corte d’appello circa la non attendibilità del racconto del dichiarante non risulta censurata in conformità con i suindicati principi, in quanto ci si limita a dedurre che la narrazione dell’ A. sarebbe intrinsecamente attendibile, essendo stata ben contestualizzata ed essendo in linea con le informazioni generali sul Paese.

Va pertanto ribadito che la valutazione di credibilità dell’istante per la protezione internazionale costituisce un giudizio demandato al giudice del merito, non censurabile sollecitando una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente prospetta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, comma 2 e 14, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Ad avviso del ricorrente la protezione sussidiaria sarebbe stata negata senza alcuna verifica sulle condizioni della regione di appartenenza, semplicemente sulla base del giudizio di inattendibilità del richiedente. Ci si duole che la Corte d’appello non si sia avvalsa dei propri poteri di accertamento d’ufficio, in contrasto con il principio secondo cui, al fine del rigetto della istanza di protezione sussidiaria, occorre valutare in concreto se nel paese di provenienza sussistono condizioni tali da rientrare nelle ipotesi in cui la legge italiana prevede l’applicazione della protezione in questione.

2.1. – La censura è priva di fondamento.

Non si appalesa pertinente il richiamo al dovere del giudice di cooperare nell’accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale, acquisendo anche d’ufficio le informazioni necessarie a conoscere la condizione della regione di provenienza del dichiarante.

Per un verso, infatti, va ribadito che ove vengano in questione le ipotesi della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in cui rileva la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, non vi è ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione (Cass., Sez. I, 24 maggio 2019, n. 14283).

Per l’altro verso, la doglianza articolata dal ricorrente non tiene conto che la Corte territoriale – con specifico riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), – ha preso in considerazione le più aggiornate fonti di informazione relative alla zona di provenienza del richiedente ((OMISSIS)), confermando l’esclusione della sussistenza di un conflitto armato generatore di violenza indiscriminata comportante un concreto pericolo per la popolazione civile per il solo fatto di trovarsi sul territorio stesso (v. pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata). Ne consegue che il giudice, prima di decidere la domanda nel merito, ha, in definitiva, assolto all’obbligo di cooperazione istruttoria, obbligo che – come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. III, 12 maggio 2020, n. 8819) non può essere di per sè escluso sulla base di qualsiasi valutazione preliminare di non credibilità della narrazione del richiedente asilo.

3. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) il ricorrente lamenta che sia stata negata la protezione umanitaria. La Corte d’appello avrebbe respinto la domanda di protezione senza valutare l’ampia documentazione fornita dal richiedente circa il suo inserimento stabile nel nostro tessuto sociale. Il difetto di credibilità non escluderebbe l’obbligo di fornire una motivazione non meramente apparente. Nel caso di specie la Corte d’appello avrebbe rigettato la domanda relativa alla protezione umanitaria motivando la decisione soltanto sulla base di rigetto delle altre due domande (asilo e protezione sussidiaria), senza alcuna indagine sulle diverse condizioni poste a base del permesso di soggiorno per motivi umanitari, quando ricorrano gravi violazioni dei diritti umani ancorchè non sufficienti ad integrare i requisiti per il rifugio politico e per la protezione sussidiaria.

3.1. – Il motivo è infondato.

La Corte di Bologna ha escluso la ravvisabilità dei presupposti della protezione umanitaria in difetto del riscontro di una condizione di vulnerabilità effettiva.

La sentenza impugnata si appalesa esente dal vizio di violazione di legge denunciato dal ricorrente.

E’ evidente, infatti, che l’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolgono un ruolo importante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel Paese di origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del Paese di origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass., Sez. I, 26 febbraio 2020, n. 5191). La rilevanza di quanto narrato dall’istante è stata, peraltro, esclusa, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi, di per sè, al percorso di integrazione intrapreso dall’ A. in Italia. Questa Corte ha infatti chiarito (Cass., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Non può dunque essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., Sez. VI-1, 28 giugno 2018, n. 17072).

4. – Il ricorso è rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Ministero controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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