Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24746 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 23/11/2011), n.24746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21418/2010 proposto da:

B.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA F. CORRIDONI 23, presso lo studio dell’avvocato ANTONUCCI

ENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato IMBIMBO Massimo giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorreste –

contro

CONSORZIO LOTTERIE NAZIONALI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 653/2010 del TRIBUNALE di AVELLINO del

29/03/10, depositata il 20/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato Massimo Imbimbo difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti e chiede la trattazione in P.U.;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che si riporta

alla relazione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori:

“Il relatore, Cons. Dott. Antonio Segreto, letti gli atti depositati, osserva:

1. Il Tribunale di Avellino, su appello del Consorzio Lotterie Nazionali riformava (con rigetto della domanda) la sentenza del giudice di pace di Avellino n. 653/2010, che aveva condannato l’appellante al pagamento nei confronti di parte attrice B. C. di una somma inferiore ad Euro 1.100,00, quale premio risultante dalla Lotteria istantanea gratta e vinci denominata Las Vegas, sul presupposto che la coppia di carte vincenti poteva essere costituita anche da Asso, Re, Regina e Fante.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte attrice.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

2. Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1342 c.c., in relazione all’art. 339 c.p.c., comma 3, e all’art. 113 c.p.c..

Assume la parte ricorrente che erroneamente il tribunale ha ritenuto che nella fattispecie si trattasse di contratto di massa ex art. 1342 c.c., e che, dovendosi decidere la sentenza del giudice di pace secondo diritto, essa era impugnabile con l’appello ordinario, mentre trattandosi di causa da decidere secondo equità, essa era sottoposta ad appello nei soli limiti di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3.

3.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Anzitutto va osservato che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace avviene in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi dell’art. 10 cod. proc. civ., e segg.) ed all’eventuale rapporto contrattuale dedotto (“contratto di massa” o meno), e non del contenuto concreto della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di diritto), operando, invece, il principio dell’apparenza nelle sole residuali ipotesi in cui il giudice di pace si sia espressamente pronunziato su tale valore della domanda o sull’essere la stessa fondata su un contratto concluso con le modalità di cui all’art. 1342 c.c. (Cass. N. 26518 del 17/12/2009).

3.2. La causa in questione non si prestava a decisione equitativa, a norma dell’art. 113 c.p.c., comma 2, dovendo necessariamente essere decisa secondo diritto, con la conseguenza che l’impugnazione della sentenza doveva essere effettuata con l’appello ordinario e non con quello di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3.

A norma dell’art. 113 c.p.c., comma 2, nel testo vigente, “Il Giudice di Pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 cod. civ.”.

L’art. 1342 c.c., fa riferimento ai “contratti conclusi mediante moduli o formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali”. Va osservato che il modulo non è necessariamente il frutto della predisposizione unilaterale di una delle parti, potendo provenire anche aliunde, (contrariamente alle condizioni generali del contratto di cui all’art. 1341 c.c., predisposte ex uno latere) e costituisce solo uno strumento per disciplinare in maniera uniforme i rapporti contrattuali.

3.3. La ratio della modifica dell’originario art. 113 c.p.c., comma 2, è quella di sottrarre al giudizio di equità, in cui il Giudice di pace non qualifica giuridicamente la fattispecie per individuare la disciplina di diritto applicabile, ma formula “la regola decisoria del caso singolo”, i rapporti giuridici che per volontà delle parti devono essere disciplinati in maniera uniforme, volontà manifestatasi attraverso l’adozione della forma costituita dal modulo o dal formulario. In altri termini, giusta la ratio per cui i rapporti contrattuali disciplinati in modo uniforme, siano anche decisi – in caso di controversia – secondo la stessa regola di diritto e non secondo la regola decisoria equitativa del singolo caso, il rinvio operato dall’art. 113 c.p.c., comma 2, all’art. 1342 c.c., ha solo la funzione di individuare, già in astratto ed in modo certo ed inequivoco, quali siano i contratti che le parti hanno voluto “disciplinare in maniera uniforme”.

3.4. Sennonchè, una volta ritenuto che il giudizio secondo diritto da parte del Giudice di Pace deve aversi, indipendentemente dal valore della causa (e quindi anche se non superiore ad Euro 1100,00) ogni qual volta le parti nella loro autonomia contrattuale hanno voluto l’identicità della disciplina, manifestata esclusivamente attraverso la (forma dell’)adozione del modulo o formulario, deve ritenersi che eguale regola processuale operi nel caso in cui l’uniformità della disciplina del rapporto contrattuale dedotto in giudizio è imposta dalla legge, superando la stessa volontà delle parti. Queste sono libere di concludere o meno il contratto, ma, se lo concludono, la disciplina deve essere identica a quella di analogo contratto concluso da altre parti. In questo caso, poichè l’uniformità della disciplina contrattuale discende dalla legge e non dalla volontà delle parti, non è necessario che essa si manifesti attraverso l’adozione di formulario o di modulo.

3.5. Tale disciplina in maniera uniforme dei vari rapporti contrattuali per espresso disposto normativo si verifica nelle ipotesi di monopolio.

Osserva preliminarmente questa Corte che, in realtà, il monopolio, che costituisce il regime opposto alla libera concorrenza, assicura a determinate imprese o enti pubblici, con esclusione degli altri, lo svolgimento di una determinata attività. Quando il monopolio è ammesso dalla legge, come necessario temperamento della soppressione della concorrenza (Rel. min. n. 1046), sono stabiliti a carico del monopolista, l’obbligo di contrattare e quello di osservare la parità di trattamento (art. 2597 c.c.) con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto della sua attività secondo le condizioni generali all’uopo previste, le quali o sono stabilite direttamente dalla legge, ovvero autorizzate nell’atto di concessione (cfr. l’art. 1679 c.c.) o sono predisposte dal monopolista secondo uno specifico procedimento di trasparenza e di criteri predefiniti.

Le norme che disciplinano l’intervento dello Stato o degli enti pubblici nei rapporti economici non presuppongono, d’altro canto, una modificazione sostanziale degli strumenti tradizionali (contratto, negozio), nè una significativa alterazione del carattere privatistico dei rapporti che all’uopo si costituiscono con gli utenti del servizio pubblico che rimane sostanzialmente immutato. Le norme di intervento disciplinano tuttavia questi rapporti, come si è osservato in dottrina, incidendo su situazioni soggettive dei singoli in funzione del tutto diversa dalla mera conformazione di un limite (esterno) all’autonomia privata in quanto influiscono sullo stesso contenuto di quei rapporti. Se è vero che il richiedente il pubblico servizio è titolare di un diritto soggettivo, è altresì indiscusso che per il sorgere dell’obbligo di contrarre del monopolista legale è necessario che la richiesta dell’utente si adegui a quelle esigenze di programmazione ed economicità che caratterizzano la posizione del monopolista legale.

Inoltre, l’obbligo di contrarre osservando la parità di trattamento implica che il medesimo si atteggia con eguale contenuto nei confronti di tutti i contraenti in ciascun gruppo di contratti omogenei. Qui, cioè, la standardizzazione contrattuale non opera a tutela dell’imprenditore ma a tutela dell’utente garantito dall’uniformità del contenuto delle clausole. Ove infatti si prescindesse da quel principio la stessa attuazione dell’obbligo di contrarre del monopolista legale diverrebbe meramente illusoria e sarebbe facilmente eludibile dall’ente attraverso l’unilaterale imposizione di clausole discriminatorie che l’utente difficilmente potrebbe essere in condizioni di accertare.

3.6. Ne consegue che nelle ipotesi in cui il Giudice di Pace decide una causa relativa a rapporto contrattuale sottoposto per legge ad uniformità di disciplina, la decisione deve in ogni caso essere resa secondo diritto, indipendentemente dal valore della causa.

4.1. Nella fattispecie, quindi, poichè la vertenza aveva ad oggetto il pagamento di un premio di lotteria, che è attività gestita in regime di monopolio dal Ministero delle Finanze, nel caso concreto con convenzione con il Consorzio Lotterie Nazionali, ciò comportava che la decisione del Giudice di Pace, data la natura del rapporto dedotto in giudizio, doveva necessariamente essere data secondo diritto, con la conseguenza che la sentenza era impugnabile con l’appello ordinario, e non con quello a contenuto limitato, di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3.

5. Con il secondo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta il vizio di motivazione dell’impugnata sentenza per non aver ritenuto, come invece aveva effettuato il giudice di pace, che le “carte da gioco francesi” 10, A, K, Q, J esprimessero tutte le stesso punteggio.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Infatti, questa Corte, interpretando la sentenza impugnata, rileva che nella prima parte della pag. 11 il tribunale ha rigettato la domanda sulla base di altra ragione decisoria e cioè che non risultava che i biglietti pretesamente vincenti fossero tra quelli vidimati, giusto il disposto del D.M. Economia e delle Finanze n. 17138 del 2005, art. 6. In altri termini il tribunale ha applicato, al fine di rigettare la domanda, il principio già affermato da questa Corte, secondo cui nei contratti di lotteria istantanea, c.d.

“gratta e vinci”, disciplinati da regolamenti ministeriali e riconducibili al contratto di lotteria di cui all’art. 1935 cod. civ., la vincita non è subordinata all’evento futuro e incerto della estrazione del numero del biglietto vincente, ma si verifica quando il giocatore viene in possesso di un biglietto che non soltanto deve recare la combinazione vincente, ma deve anche presentare un codice di validazione corrispondente ad uno dei codici segreti preindividuati e inseriti nelle liste depositate presso un notaio (Cass. 17458 del 31/07/2006). Tale ratio decidendi non risulta impugnata.

6.2. Dopo questa prima ragione di rigetto dalla domanda, nella seconda parte della pag. 11, la sentenza impugnata adotta una seconda ratio di rigetto, fondata sull’interpretazione delle regole della specifica lotteria e del punteggio espresso dalle predette carte. Il secondo motivo investe appunto tale seconda ratio decidendi.

Sennonchè la censura è inammissibile, poichè, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. (Cass. 3386 del 2011)”.

Ritenuto:

che il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione;

Ritenuto in particolare che i suddetti motivi non risultano inficiati dalle contrarie osservazioni mosse da parte ricorrente, che si riporta a precedente giurisprudenza di questa Corte, formatasi a seguito di ricorsi per cassazione avverso sentenze del giudice di pace, proposti dal Consorzio Lotterie Nazionali e dichiarati inammissibili;

che tale giurisprudenza, culminata con la sentenza delle S.U. n. 27339/08, per quanto apparentemente vertente su fattispecie analoghe, aveva ad oggetto una diversa questione, sollevata con il ricorso del Consorzio Lotterie Nazionali, assumendosi che, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, le sentenze del giudice di pace, pacificamente pronunziate secondo equità, erano impugnabili con l’appello, allorchè si facevano valere i vizi di cui all’art. 339 c.p.c., u.c., mentre erano ricorribili per cassazione relativamente agli altri vizi; che le S.U., in conformità alla giurisprudenza delle sezioni semplici, statuì che dall’assetto scaturito dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, emergeva che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto dall’art. 339 cod. proc. civ., comma 3, era l’unico rimedio impugnatorio ammesso, anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza ed al difetto di radicale assenza della motivazione; che nelle predette fattispecie portate all’esame di questa Corte non vi era questione tra le parti in merito al punto che la pronunzia fosse stata correttamente emessa secondo equità dal giudice di pace,ma la controversia verteva sul punto se tale sentenza a decisione equitativa avesse 2 mezzi di impugnazione (appello ex art. 339 c.p.c., comma 3, e ricorso per cassazione, proposto dal ricorrente, appunto inammissibilmente).

Che nel presente ricorso, invece, a seguito della statuizione del tribunale, secondo cui la decisione del giudice di pace dovesse essere necessariamente emessa secondo diritto, vertendosi in ipotesi di contratto di massa, la questione sottoposta a questa Corte è diversa ed attiene al punto se si tratti di contratti di massa, con la conseguenza che la decisione debba avvenire secondo diritto ed il mezzo di impugnazione è l’appello ordinario, e non quello a contenuto limitato di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3; che, così correttamente inquadrata la questione, le osservazioni contenute nella memoria di parte attrice vanno disattese;

che conseguentemente va rigettato il ricorso;

Che nessuna statuizione va emessa sulle spese processuali.

P.Q.M.

Visto l’art. 375, c.p.c..

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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