Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24745 del 05/12/2016

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2016, (ud. 11/04/2016, dep. 05/12/2016), n.24745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.E. e A.A., rappresentati e difesi, per procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato Alberto Prosperini,

presso lo studio del quale in Roma, via Gozzadini n. 30, sono

elettivamente domiciliati;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 775/14,

depositato il 19 maggio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

aprile 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per i ricorrenti, l’Avvocato Alberto Prosperini.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia il 7 novembre 2013, A.E. e A.A. chiedevano la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un giudizio svoltosi dinnanzi al Giudice di pace di Roma, iniziato il 7 marzo 2008 e definito con sentenza del 22 marzo 2012;

che il consigliere designato rigettava la domanda, ritenendo che dalla durata complessiva del giudizio presupposto dovesse essere detratto il segmento compreso tra la notificazione della citazione e 1’11 dicembre 2008, data in cui si era perfezionata la notificazione di cui era stata disposta la rinnovazione, sicchè residuava una durata di tre anni e tre mesi, non indennizzabile ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis;

che avverso questo decreto A.E. e A.A. proponevano opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter;

che, nella resistenza del Ministero, la Corte d’appello di Perugia, in composizione collegiale, con decreto depositato in data 19 maggio 2014, rigettava l’opposizione rilevando che dalla durata complessiva del giudizio presupposto avrebbero dovuto essere detratti sette mesi intercorsi tra il 15 ottobre 2008 e il 13 maggio 2009 e necessari al fine di consentire la rinnovazione di una notificazione fatta dal ricorrente e non andata a buon fine, sicchè la durata valutabile era di tre anni e due mesi, non suscettibile di apprezzamento ai fini del riconoscimento dell’equa riparazione;

che, in ogni caso, osservava la Corte d’appello, l’opposizione andava rigettata in quanto la durata complessiva del giudizio era stata inferiore a sei anni e quindi ragionevole, secondo quanto disposto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-ter;

che per la cassazione di questo decreto A.E. e A.A. hanno proposto ricorso sulla base di due motivi;

che l’intimato Ministero della giustizia ha resistito con controricorso;

che i ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 2; violazione dell’art. 1218 c.c. e art. 1227 c.c., comma 1, sostenendo che il giudizio presupposto doveva ritenersi iniziato dalla data della notifica (7 marzo 2008) o meglio dalla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica (4 marzo 2008); profilo, questo, che trova fondamento nella valutazione del comportamento anche degli ausiliari del giudice, tenuto conto che invece, per i procedimenti che iniziano con ricorso, il dies a quo, ai fini della L. n. 89 del 2001, è quello del deposito, sicchè il tempo occorso per la notificazione rientra nella durata del processo;

che, proseguono i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe errato nel detrarre il lasso di tempo compreso tra il 15 ottobre 2008 e il 13 maggio 2009, atteso che il rinvio avrebbe potuto essere addebitato solo in parte ad essi ricorrenti, e comunque non essendo ravvisabili profili di colpa nell’omessa notifica della citazione;

che con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 2-bis sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che il termine ragionevole, anche per un giudizio svoltosi in unico grado, fosse di sei anni;

che il primo motivo di ricorso è infondato;

che, infatti, se è vero che, ai fini della individuazione del dies a quo della durata del giudizio di cui si lamenti la irragionevole durata, occorre avere riguardo alla data di notificazione della citazione ovvero di deposito del ricorso, è altresì vero che, allorquando la incompleta o erronea notificazione dell’atto introduttivo sia imputabile alla parte, non può addebitarsi all’amministrazione della giustizia la necessità di procedere alla rinnovazione della notificazione o alla integrazione del contraddittorio;

che tale è la situazione sussistente nel caso di specie, in cui è stata disposta la integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario, sicchè dalla durata complessiva del giudizio presupposto, pari a circa quattro anni, correttamente la Corte d’appello ha detratto il segmento corrispondente al tempo occorso per la necessaria integrazione del contraddittorio;

che, conseguentemente, la durata complessiva del giudizio presupposto rilevante ai fini della valutazione di ragionevole durata è superiore sì a quella di tre anni, ma l’eccedenza è inferiore a sei mesi, sicchè la stessa non può ritenersi indennizzabile ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2;

che il rigetto del primo motivo di ricorso comporta la inammissibilità del secondo per carenza di interesse, trovando applicazione il principio per cui “qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass. n. 2108 del 2012);

che, dunque, il ricorso deve essere rigettato;

che, quanto alle spese, le stesse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 700,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2016

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