Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24744 del 05/12/2016
Cassazione civile sez. VI, 05/12/2016, (ud. 11/04/2016, dep. 05/12/2016), n.24744
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.S., + ALTRI OMESSI
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è
domiciliato per legge;
– resistente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 1097/2014,
depositato il 30 luglio 2014;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11
aprile 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;
sentito, per i ricorrenti, l’Avvocato Andrea Sgueglia, per delega
dell’Avvocato Umberto Coronas.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Genova l’11 luglio 2013, i ricorrenti in epigrafe indicati chiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi al TAR Lazio con ricorso depositato nel giugno 1996, deciso con sentenza depositata il 9 aprile 2010; giudizio volto ad ottenere il riconoscimento del loro diritto, quali appartenenti alle Forze Armate, ad ottenere gli adeguamenti stipendiali già adottati per i sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri;
che l’adita Corte d’appello, con decreto depositato il 30 luglio 2014, rigettava la domanda rilevando che la Corte costituzionale, già con sentenza n. 241 del 1996, ribadita dalla successiva decisione n. 296 del 2000, aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale posta a fondamento delle pretese azionate dai ricorrenti nel giudizio presupposto; dichiarazioni di non fondatezza cui avevano fatto seguito numerose pronunce del Consiglio di Stato di rigetto di ricorsi simili a quello proposto dai ricorrenti;
che, tanto rilevato, la Corte d’appello riteneva che i ricorrenti non potessero avere patito alcuna sofferenza atteso che già nel 1996 la questione dagli stessi sollevata era stata decisa dalla Corte costituzionale in senso a loro sfavorevole; del resto, nessuna istanza sollecitatoria era stata dai medesimi ricorrenti presentata se non nel 2008, e il giudizio presupposto si era concluso con dichiarazione di improcedibilità, avendo i ricorrenti dichiarato che non avevano più interesse ad una decisione dei merito;
che per la cassazione di questo decreto i ricorrenti in epigrafe indicati hanno proposto ricorso sulla base di due motivi;
che l’intimato Ministero non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;
che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano violazione/falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 3, commi 4 e 5, e dell’art. 6 della CEDU, censurando il decreto impugnato per avere ritenuto sussistenti elementi tali da giustificare la insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata, quali la circostanza che la domanda fosse sin dall’inizio fortemente aleatoria e destinata alla reiezione, atteso che l’equa riparazione spetta alle parti del processo a prescindere dall’esito dello stesso; ovvero la definizione del giudizio presupposto con dichiarazione di improcedibilità per carenza di interesse, che non da luogo a una presunzione di disinteresse anche per il periodo anteriore; ovvero ancora la tardata presentazione dell’istanza di prelievo costituendo, questi, tutti elementi che potrebbero al più, ove sussistenti, incidere sulla determinazione dell’indennizzo;
che, d’altra parte, proseguono i ricorrenti, la Corte d’appello non ha considerato che la domanda nel giudizio presupposto non poteva affatto ritenersi sin dall’inizio manifestamente infondata, avendo la stessa Corte ricordato come la Corte costituzionale ebbe a pronunciarsi ancora nel 2000 (ma un’ulteriore decisione era intervenuta nel 2001) e che il Consiglio di Stato aveva esaminato la questione ancora nel 2005;
che, dunque, doveva escludersi sia la temerarietà della domanda che la sussistenza di una condotta di abuso del processo;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, avendo il giudice di merito pronunciato sulla base di una ricostruzione errata e incompleta dei fatti di causa;
che il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente, è infondato, pur se occorre correggere la motivazione del decreto impugnato;
che il decreto impugnato si fonda sulla ratio decidendi secondo cui la domanda proposta nel giudizio presupposto dai ricorrenti era non solo manifestamente infondata, ma addirittura temeraria, atteso che le questioni di legittimità costituzionale prospettate dai ricorrenti erano già state dichiarate non fondate prima ancora della introduzione del giudizio dinnanzi al giudice amministrativo;
che, tuttavia, nel caso di specie, dal decreto impugnato emerge che la Corte d’appello ha desunto la consapevolezza della infondatezza della pretesa azionata nel giudizio presupposto facendo riferimento ad un elemento – la pronuncia della Corte costituzionale n. 241 del 1996 – che non risulta decisivo, atteso che la questione posta nel giudizio presupposto concerneva l’estensione del trattamento retributivo già riconosciuto al personale dell’Arma dei Carabinieri ai sottufficiali dell’esercito, con la medesima decorrenza del primo, e non anche la perequazione dei trattamenti tra vari appartenenti alle forze di polizia;
che in relazione a tale tipologia di controversia, nello scrutinare analoghi ricorsi aventi ad oggetto decreti della Corte d’appello di Perugia concernenti domande di equa riparazione proposte con riferimento a giudizi amministrativi nei quali si poneva la questione della estensione ai militari del trattamento economico previsto – per il periodo 1986-1991 – per i Carabinieri e altri corpi di polizia, questa Corte (Cass. n. 19478 del 2014) ha avuto modo di ritenere immune dalle proposte censure la decisione della Corte d’appello secondo cui la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, che la loro domanda, la quale postulava la proposizione di una questione di legittimità costituzionale, fosse manifestamente infondata e insuscettibile, in quanto tale, di arrecare pregiudizio per la protrazione del processo oltre il limite della ragionevole durata, poteva considerarsi maturata solo nell’anno 1999, per effetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 331;
che appaiono quindi fondate le censure volte ad evidenziare la erroneità della affermazione che la consapevolezza della manifesta infondatezza della domanda – con conseguente temerarietà della domanda stessa potesse essere insorta in capo ai ricorrenti prima ancora della proposizione della domanda, potendo la stessa essere ragionevolmente fatta risalire al 1999, e cioè alla decisione della Corte costituzionale n. 331, la cui motivazione, secondo quanto già ritenuto dalla Corte d’appello di Perugia con decreti risultati immuni dalle censure proposte con il relativo ricorso per cassazione, rendeva evidente la impossibilità di pervenire ad una soluzione favorevole rispetto alle pretese azionate dai ricorrenti anche nei giudizi aventi ad oggetto la decorrenza del disposto adeguamento;
che, tuttavia, dall’affermazione per cui la domanda formulata nel giudizio presupposto non era sin dall’origine temeraria, non discende l’accoglimento del ricorso, atteso che, pur dovendosi affermare una consapevolezza sopravvenuta della impossibilità dell’accoglimento della domanda a far data dal luglio 1999 (data del deposito della ordinanza n. 331 del 1999), il giudizio presupposto, a quella data, aveva avuto una durata superiore di solo un mese a quella ragionevole di tre anni, con la conseguenza che non può ritenersi maturato il diritto dei ricorrenti all’indennizzo;
che, dunque, posto che il dispositivo del decreto impugnato risulta conforme a diritto, il ricorso va rigettato, con correzione della motivazione nei sensi su indicati;
che sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tenuto conto del fatto che la decisione è frutto di orientamenti maturati successivamente alla proposizione del ricorso stesso;
che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2016